Blog / Nuccio Gambacorta | 03 Novembre 2016

La Lettera di Hermes – Condannati a non poter amare

Ciao a tutti. Ultimamente ho avuto a che fare con un concorso di pittura. Son stato presidente di commissione d’una giuria preposta ad esaminare opere pittoriche sul tema dell’accoglienza. Ci sono andato col mio amico del cuore che ha fatto parte del pubblico mentre con me in giuria ci stavano un pittore, una pittrice, una restauratrice e un professore di Storia dell’Arte. Abbiamo seguito con interesse un filmato relativo ai volontari che periodicamente vanno in zone povere del mondo a portare istruzione e civiltà e mi son detto: qui si fanno fatti e non parole. In cuor mio ho ammirato molto queste persone che magari avranno anche loro dei problemi personali ma trovano il tempo e la voglia di fare del bene. Ho detto la mia ringraziando tutti i partecipanti alla mostra e gli organizzatori, ribadendo il concetto che l’arte è un potente mezzo di comunicazione comprensibile ad ogni latitudine e “testimonial” di valori quali la solidarietà che non devono morire mai, pena il fallimento dell’intera società. In queste occasioni, si sa, si fanno bei discorsi anche lunghi e il tempo passa in fretta perciò fattosi tardi ed essendo io e il mio amico senza un mezzo per rientrare ognuno di noi nelle nostre case (mentre all’andata ci aveva dato un passaggio un’altro mio amico lasciandoci là ma non potendo rimanere con noi) ci accompagna il prof di Storia dell’Arte che già aveva una certa amicizia sia con me che col mio amico del cuore. Per primo se ne va il mio amico e poi continuiamo il breve tragitto sino alla mia città. In questo lasso di tempo decido di parlare col professore della mia condizione esistenziale supponendo che lui, persona di cultura e anche molto preparato sull’arte e difensore della diversità, possa ascoltarmi con interesse e senza prevenzione alcuna. Gli dico di me della mia giovinezza, dei miei ideali, del fatto che ho avuto anche una fidanzata e alfine del mio sentimento per l’uomo che definisco “amico del cuore”. Il discorso che scaturisce dalla bocca del prof tira in ballo quel concetto di disordine che molti accomunano all’omosessualità. Rimango perplesso e cerco di seguire l’opinione del professore pur facendo degli sforzi per convincermi che lui è contrario a questa realtà. Com’è possibile che un uomo così preparato, così disponibile alle diversità proprio lì su quel certo tipo di differenza si blocca e non riesce a digerire il tema da me proposto e da me vissuto. Secondo lui tra le varie conseguenze del peccato originale ci sta pure l’omosessualità, ma da quel che mi risulta quando Dio creò le varie specie animali ne fece alcuni con strani comportamenti sessuali e questo prima del famigerato peccato di Adamo ed Eva, quindi i conti non tornano. Sentirmi dire che il fenomeno gay è indice di disordine mi fa regredire e mi catapulta in quel mondo “ipercattolico” per cui il sesso serve solo ed esclusivamente a fare figli. Onde per cui io e quelli come me saremmo condannati a non poter amare perché se amo un uomo mi merito la squalifica di “disordinato” Guarda un pò… e tutti gli altri sono ordinati tutti gli altri che rubano, che tradiscono, che corrompono, che ammazzano? Premesso che la persona che così si è espressa rimane pur sempre una persona che stimo, epperò non capirò mai come possano esserci nella mente umana certe barriere così pesanti che impediscano di vedere le cose nella loro globalità. Un bambino Down, un disabile, un carcerato vengono compresi molto più di me che semplicemente sono una persona dalle pulsioni omosessuali. Signori miei, vorrei dire, o siamo razzisti o non lo siamo e se lo siamo mandiamo nelle camere a gas tutti ma proprio TUTTI i diversi come fece quell’esaltato di Hitler con i suoi campi di concentramento, oppure accogliamo tutti ma veramente tutti senza tirare in ballo il catechismo o il decalogo che non dicono di condannare nessuno.