Articoli / Blog | 20 Settembre 2016

FaroDiRoma – Lettera ai genitori di Viola, bambina malata terminale

A proposito di eutanasia su minore, per rispondere ai commenti al mio pezzo sul sussidiario (tra l’altro apparsi oggi sul Corriere)la lettera di Renato Pierri ho pensato di immaginare una Lettera ai genitori che stanno accanto ai propri bambini malati. E ne ho conosciuti tanti in trent’anni da prete

Ciao.
Già iniziare questa lettera è stato difficile. Siete miei amici e vi stimo e vi voglio bene da sempre ma dopo avervi visto in questi anni, e soprattutto in questi mesi, portare sulle spalle e nel cuore l’indicibile, la parola amici mi sembra troppo piccola per voi.
Siete talmente grandi per me che mi sento un po’anche io figlio vostro. Mi state insegnando il senso di parole che ho detto tante volte ma solo con voi sto scoprendo quanto grandi erano.
Allora ho scritto solo Ciao. Come ad un amico che scopri più intimo di quanto pensassi.
Ciao, come da figlio a padre, in corridoio la mattina dopo una brutta nottata. Solo che per noi, per voi, la nottata è ancora qui. Buia.
Vedervi accanto a Viola giorno dopo giorno, notte dopo notte, speranza dopo speranza, mi ha dato un vocabolario nuovo per parole antiche.
“Nel bene e nel male”: quante volte l’ho sentito, detto, predicato?
Pensavo fosse come un’alternanza di vita, giorno dopo giorno. Un calendario di bene e male, a susseguirsi, un po’alla rinfusa, ma comunque ordinato: se c’è il bene, non c’è il male come se avessi capito che gramigna e grano crescano nello stesso campo sì, ma in filari separati, paralleli, in campi seminati ordinati e precisi, vicino alla vostra casa al mare.
Vi vedo e capisco che tutto è avvinghiato in questa vita. Come i fili e i tubi che aiutano Viola a combattere in quel lettino di ospedale. Bene e male stanno lì, nelle nostre vite, avvinghiati. Il male getta ombra sul nostro bene e il bene illumina il nostro male.
Non siamo mai tutti cattivi o tutti buoni me lo avete insegnato voi.
Vi ho visto amarvi con rabbia. Ho visto Rosa appoggiarsi a te, Francesco, stritolandoti le dita di una mano come se fosse colpa tua non riuscire a fermare tutto quel dolore fisico straziante. Ho visto che il dolore unisce anche con la rabbia e l’impotenza. Ho visto due ragazzi passare dall’aperitivo in centro, al caffè della macchinetta giù ad oncologia, e li ho visti ancora sorridere.
Ho visto i baci appassionati tra voi prima di Viola, trasformarsi in un bacio lungo e prolungato sulla tua fronte, Rosa, come se Francesco ti appuntasse in fronte un post it fatto di labbra: non molleremo. Ce la faremo.
Ho visto in Francesco la disperazione del corridoio farsi speranza solamente avvicinandosi al vetro della terapia intensiva. Pochi passi dalla panca al vetro e come Harry Potter, che piace tanto a Viola, fare una magia. Sorridere a quel groviglio di tubi che tiene la figlia in coma farmaceutico per soffrire meno.
Un sonno finto come facevi tu quando facevi finta di addormentarti vicino a lei.
Cari Rosa e Francesco, prima che arrivasse Viola con la sua malattia, pensavo che la speranza fosse una virtù teologale – e lo è – ma pensavo scendesse dal cielo nel cuore di chi la chiedeva.
E invece  la speranza è fatta di una mano da passarsi su una barba lunga di giorni senza rasoio, senza bagno.
Ho visto Dio che, nella mano di Rosa, ti accarezzava rudemente il viso e ho visto la speranza che ti rimetteva in piedi. Ho visto Francesco e ho visto Rosa e ho visto che i figli sono voi: una sola carne, non è roba da sposini, è roba di Dio.
È che non ti puoi amputare la carne ma puoi solo curarla, accarezzarla, lasciarla andare quando tutto finirà. Ma fino allora è la tua carne e a lei ci pensi tu, anche da dietro un vetro, anche da impotente.
È la tua carne. Sei tu.
La vita è una lotta: altra bella frase che evoca una lotta eroica, rumorosa. Ora, guardandovi, vedo una lotta sconosciuta. Nessuno scontro. Tanti consulti. Tante parole: diagnosi, terapie, posologia, consulti. Tante parole.
E poi voi zitti.
Mi avete insegnato la fiducia. Fidarsi non è scegliere questo o quello ma non avere scelta.
Avere solo quello. Quel medico. Quel reparto. Quell’ospedale. E affidargli tutto.
Sì. I figli sono tutto. Questo lo sapevo e me lo avete confermato. Nessun clangore di armi. Anche piangere si fa in silenzio. Anzi, vi ho sentito spesso ridere e anche Viola, quando stava meglio. Le faceva male la gola. È stata intubata. Ma le risate sono come l’acqua. Scavano e trovano sempre un modo per venire a galla. Nessun esercito schierato. Siete soli. Siamo soli di fronte al dolore.
Mi avete insegnato che esiste un tempio che Dio predilige: il silenzio, la solitudine. È la Sua cattedrale.
Trincee non ce ne sono. Perché qui nessuno si può nascondere dal nemico. Perché il nemico è dentro Viola e Viola non la molliamo mai. Siamo tutti qui per lei con lei.
Nessuna trincea. Se ami qualcuno esiste solo la prima linea.
Mi avete insegnato che il dolore non annulla tutto, anzi, rende ogni secondo di presente, importantissimo.
Ho visto Rosa, farsi dare il cambio e andare dal parrucchiere, prima di andare a dormire.
Perché la vita è bella e una donna viva va dal parrucchiere a farsi bella.
Una tregua di bellezza per far vincere la vita. Ho capito che il desiderio di pace può essere scandaloso, disumano. Quale pace può esserci da desiderare di fronte a questa lotta contro il male di Viola? Qual è l’unico modo per salvare Viola e finire la guerra?
Che Viola muoia.
Me lo avete detto voi quella sera. Quella sera che ero venuto a fare il prete consolatore. È il mio mestiere. E sono crollato io. Vedere Viola è stato morire.
Vedere che mi sorrideva con un occhietto solo aperto mi ha fatto sentire padre per la prima volta.
E mi avete detto quella frase. Quella sulla morte come pace. E non c’è modo di riscriverla perché sarebbe offensivo, scandaloso, tanto era bella e ora a dirla sarebbe brutta.
Io so solo che parlare, tacere, non giudicare, sono temi difficili da spiegare a lezione ma voi siete la figura che spiega il concetto. Una tavola vivente di tutta la teologia del mondo. Questo ospedale è vicino al mare come la vostra casa. E di Viola felice mi vengono in mente solo immagini al mare. Ricordi di mare.
Rosa è bellissima, Francesco. Lo pensavo all’altare mentre vi sposavo.
Lo penso ora che la vedo con il camicie e gli zoccoloni di plastica verde e i capelli di parrucchiere nella cuffia di carta.
E tu amico mio sei sempre il più figo del liceo. Rimani seduto ancora sulla panca. Ti prendo un caffè giù ad oncologia e poi ti alzi e te ne vai al vetro. La speranza è una virtù teologale che va avanti a caviglie forti e caffeina.
Viola e Rosa: i fiori più belli di Francesco.

Tratto da Faro Di Roma