Articoli / Blog | 04 Agosto 2016

MIO n. 30/Un prete per chiacchierare – Non si gioca col demonio

Mauro Leonardi (Como 1959) è sacerdote dal 29 maggio 1988 e abita a Roma presso l’Elis centro di formazione per la gioventù lavoratrice sito accanto alla parrocchia di san Giovanni Battista in Collatino. È cappellano del Liceo dell’Accoglienza Safi Elis. Da anni pubblica racconti, articoli, saggi e romanzi. Scrive su internet su The Huffington Post e su ilsussidiario.net. Il suo blog si chiama Come Gesù. Il compenso per la rubrica, questa settimana va a una famiglia povera del quartiere di Casalbruciato (Roma) che ha bisogno di indumenti. Il compenso di questa settimana andrà ancora a un carcerato bisognoso di vestiti
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Caro don Mauro, fortunatamente si sente sempre meno parlare di satanismo. E’ una mia impressione o dopo la triste vicenda delle cosiddette Bestie di Satana il fenomeno si è attenuato?
(Massimo, Lodi)

Carissimo Massimo non penso proprio il fenomeno si sia attenuato, anzi. Mi capita spesso di parlare con vescovi, sacerdoti ed esorcisti che mi dicono invece il contrario. Mi riferisco al satanismo in senso stretto, cioè quello che celebra Messe blasfeme – le cosiddette “Messe nere” – che hanno la profanazione dell’Eucarestia e delle persone, tanto da arrivare alla violenza sessuale, allo stupro, alla tortura e all’omicidio. Bisogna stare attenti a non giocare mai con il demonio, neppure con riti banali tipo quello “del bicchiere” o cose simili, come i tarocchi e l’astrologia. Col demonio non si scherza. Egli è omicida e ci fa sempre del male. Non bisogna iniziare neppure per curiosità: si rischia davvero di rimanere invischiati in qualcosa di pericolosissimo. Sicuramente le cronache non hanno registrato ultimamente casi dolorosi come quelli che videro protagonisti le Bestie di Satana tuttavia il demonio esiste e il suo apparente silenzio non ci deve tranquillizzare. Il male non fa sempre rumore ma fa sempre male. La nostra libertà è sempre sotto tiro, tentata. Usarla per fare del bene e farci del bene è l’unica arma per vincere il male.

Gentile don Mauro, sono stata a una festa di compleanno organizzata nel salone di un oratorio e, parlando con i presenti, mi hanno fatto notare che i ragazzi, appena poco più che adolescenti, hanno la tendenza a smettere di frequentare questi luoghi che li hanno visti crescere. Come te lo spieghi? (Lella, Trapani)
Gentile Lella, l’adolescenza è il tempo delle fughe per principio. Se eri bambino all’oratorio, fuggirai dall’oratorio. Se eri bambino appassionato di uno sport, fuggirai da quello sport. È molto lontana l’epoca in cui la società impediva che ci fosse questo allontanamento fisiologico. Oggi l’adolescenza è una sorta di terra di mezzo tra ciò che non si è più e ciò che non si è ancora. La sua lingua è la contestazione. Un ragazzo che non ha una crisi adolescenziale mi preoccupa più di un ragazzo che scappa e rinnega tutto quello che è stato fino ad ora. Non dobbiamo avere paura che vadano via dagli oratori: li abbiamo voluti liberi e ora lo sono. Dobbiamo preoccuparci che sappiano dove trovarci quando torneranno, perché un ragazzo che ha amato le persone che ha incontrato, torna da loro, perché seppur andato via, quelle persone, quegli incontri li ha portati con sé. E se non tornano? Li andremo a cercare e li aspetteremo sempre.

Carissimo don Mauro, ho letto con estremo interesse la tua lunga intervista su MIO dopo i fatti di Nizza e l’incidente dei treni in Puglia. Non è da tutti i religiosi ammettere di aver vissuto momenti di debolezza nel proprio credere. (Milena, Pietrasanta – Lucca)
La fragilità, la debolezza, la mancanza, le abbiamo nel nostro dna umano. Non per altro amare ed essere amati è l’unico modo di vivere. Abbiamo bisogno, sempre. La crisi di fronte ad un dolore, ad una fatica, ad una crescita, ad un cambiamento, è la manifestazione acuta di questo nostro essere, fragile e bisognoso. La vera forza di un uomo, religioso o no, è conoscere e riconoscere le proprie fragilità e da lì ripartire. Ripartire è possibile solo se ci si è fermati.
Grazie per le tue parole.