Christian Albini – Sopportare pazientemente le persone moleste
Strano iniziare un libro religioso con Voltaire. Eppure in questo libro sull’opera di misericordia sopportare pazientemente le persone moleste, succede questo. Ci accoglie una frase di Voltaire, secondo cui “siamo tutti impastati di errori e debolezze”, per cui la prima legge di natura è perdonarci reciprocamente le nostre balordaggini.
Ma chi è il molesto? Da questa domanda nasce e cresce nel libro, una risposta non scontata. Deriva dal latino e ha la stessa radice di moles: mole, massa, peso, pericolo.
Le persone moleste sono le persone che ci pesano addosso. La Bibbia ci aiuta a definirli. Ne individua 4 tipi.
1. I molesto dannosi: quelli che procurano disagio.
2. I molesti scomodi: che disturbano i nostri privilegi e svelano i nostri egoismi e ipocrisie con le loro richieste che sono per lo più richieste di giustizia.
3. I molesti provocatori: ci disturbano con la loro sola presenza e esistenza che costituisce un appello alla nostra responsabilità
4. I molesti detestabili: diversi da noi per la loro identità, le loro convinzioni, i loro comportamenti. Di solito cerchiamo di ignorarli.
Solo il primo genere di molesti è una categoria di “ cattivi”, gli altri ci interrogano molto profondamente. A volte consideriamo molestie, alcuni mali dei quali potremmo essere corresponsabili. Cosa vuol dire allora fare misericordia? Soprattutto vuol dire che non dobbiamo adorare noi stessi.
Ci completiamo a vicenda. Dobbiamo imparare a vivere insieme. Amare tutti perché siamo tutti molesti. Ciascuno di noi è la persona molesta di qualcun altro. Come possiamo non essere più molesti? Vedere il bisogno dell’altro, saper donare ciò che abbiamo, non pretendere, umiltà e gratuità nelle relazioni, non abusare delle nostre posizioni di potere, non prevaricare, guardare chi è di intralcio al nostro quieto vivere, non rimanere indifferenti.
L’autore fa rientrare tra le persone moleste anche le persone disabili, per le quali oggi c’è molta sensibilità “ma solo finchè non escono da certi confini che sembrano recinti”.
Ma stare ai margini come il cieco Bartimeo, ci dice l’autore, “consente di vedere quel che la prospettiva dei privilegiati occulta“. Viene anche sfiorato il doloroso discorso delle persone omosessuali. L’autore si limita a dire ”… preliminarmente a tutte le considerazioni teologiche e dottrinali, se qualcuno nella comunità cristiana non si sente ben accetto e sostenuto nella sua vita, ma sminuito, c’è qualcosa che manca e che non corrisponde al senso del vangelo”. Ma c’è un pericolo nel vivere questa opera di misericordia. Sopportare con pazienza non deve essere un precetto che si compie con uno sforzo di volontà. Così la trasformerei non più in un’opera di misericordia ma in un’opera della mia bravura. È invece un’ ”arte della relazione” che impariamo da Gesù. Il problema è che per noi, oggi sopportare vuol dire subire, stare sotto. Sopporta chi è costretto a subire. Non è così nella sua etimologia greca dove richiama un significato attivo e positivo: è uno stare eretto di fronte a qualcuno o a qualcosa con fermezza. Nella sacra scrittura, poi, chi sopporta è Dio.
Il testo dei Numeri ci dice che Dio sopporta perché è lento all’ira e grande nell’amore. Dio è sempre fedele al Suo essere misericordioso perché Dio è verità. Verità, misericordia e fedeltà sono la stessa cosa “con buona pace di coloro che oppongono queste due realtà e comunque sembrano quasi provare fastidio verso la misericordia, come se fosse una diminuzione della verità”. Ecco perché dobbiamo capire cosa vuol dire che dobbiamo farci imitatori di Cristo. È la Sua misericordia che dobbiamo avere nella nostra vita. Siamo misericordiosi perché pieni della misericordia di Dio che ha affogato i nostri peccati. Nelson Mandela diceva che nutrire risentimento è come bere veleno e sperare che uccida i tuoi nemici. Ma c’è un altro nome di Dio che ci dice come sopportare: Dio è Paziente. È la pazienza la virtù della sopportazione. E l’ira di Dio di cui parla la Bibbia? Spazzata via? L’autore cita il cardinale Martini:
“È Dio stesso che nel Figlio si lascia scacciare dalle conseguenze del peccato realizzando il massimo dell’ira e il massimo della misericordia”.
In Dio l’ira è occasione di misericordia. Dio non fa nulla “a noi” o “per noi”. Ma sempre e solo “con noi” e “dentro di noi”. Questa esperienza di misericordia che dobbiamo vivete guarendo le nostre relazioni non è qualcosa solo del fedele ma è un’espressione di saggezza umana.
Parlando da un punto di vista teologico “Dio è relazione in sé e fuori di sé”, e la nostra relazione con il Signore plasma le nostre relazioni con gli altri. Avere fede, come amare, è sempre un uscire dal nostro io.
Certo che poi dobbiamo modulare le modalità della pazienza a seconda dei casi. Un cliente molesto è diverso da una madre molesta o da un uomo violento. Diciamo che non dobbiamo mai a volere il male dell’altro.
La pace si fa così:” con l’umiltà, l’umiliazione, cercando sempre di vedere nell’altro l’immagine di Dio.