José Tolentino Mendonca – Ammonire i peccatori
Fin da subito questo libro contiene semi che meritano giorni e giorni di riflessione. Ve ne do un assaggio con una lunga citazione. “Anche nelle relazioni personali esiste la tentazione del correttore automatico. Quando, per esempio, ci aggrappiamo alla lettera della legge come si farebbe con un totem, o al dettato di una tradizione, o agli stretti termini di un punto di vista senza guardare al altro, come se stesse lì la soluzione a tutti i problemi che possano insorgere. O quando ci agitiamo a correggere gli altri per tutto o per niente. O quando andiamo avanti a ricette o clichè. Non abbiamo neanche bisogno di guardare gli altri: ci basta citare macchinalmente il numero della regola che in quel momento stanno infrangendo, o la nostra prescrizione astratta che risolve tutto. Senz’altro in questo modo si risparmia tempo. Ma sappiamo che la vita non è così. La vita è una costruzione paziente. La sua maturazione, non solo esterna ma anche interiore, avviene con un processo delicatissimo. I suoi fili sono tenui e fragili anche quando paiono lunghi e indivisibili. Quanta scienza è necessaria per l’accompagnamento di una vita! Se vogliamo arrivare alla fonte nascosta di un cuore, dobbiamo accettare di andare molto adagio. Può essere un esercizio anche estenuante, ma non c’è altro modo. ‘Se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due’ disse Gesù Mt.5,41. E lui sapeva di cosa parlava.”
Segue poi un’analisi di testi e di vocaboli attraverso i quali si evidenzia che “l’atto di correggere necessariamente implica, affetto, attenzione, cura, relazione. È una cosa che si fa da pari a pari. La correzione fraterna, nel puro senso evangelico, avviene solo quando la preoccupazione per il peccatore si sovrappone alla preoccupazione per il peccato” e quindi il correggere non è un atto ma un cammino: “Abbiamo bisogno di camminare. E il cammino comporta necessariamente correzione. Chi, per esempio, ha fatto un’ esperienza di pellegrinaggio a piedi, lo sa bene … Viene un momento in cui il pellegrino capisce che o si lascia correggere dal cammino o deve abbandonare il viaggio. Il cammino corregge chi cammina.”
Correggere è un’arte e non è mai un fine. “Aiuta a essere. Niente più di questo. E dobbiamo sempre evitare che la correzione sia la nostra unica forma di relazione con qualcuno.”: il fine della correzione è unire, non mandare via la gente per la sua strada dopo avergliela indicata.
“Cediamo con grande facilità alla tentazione di chiudere porte, consumare rotture, rassegnarci (o anche cinicamente rimanerne sollevati) a certe perdite. Se assimiliamo come regola di vita il pragmatismo insito nel modo di dire :”Nessuno è indispensabile”, non capiremo come il pastore, nella parabola di Gesù, possa lasciare le novantanove pecore nel deserto per partire in cerca di quella perduta.”
Come fare? Un modo molto importante è sedersi a tavola. La tavola è il luogo in cui ci si rilassa, si condivide, ci si passa il cibo, ci si serve a vicenda. “Quando sfogliamo i Vangeli, ci accorgiamo che sono imbastiti sulla memoria di molti pasti”. La tavola unisce.
“Per i farisei e gli scribi, Gesù spingeva la sua convivenza troppo in avanti, sedendosi a tavola con i peccatori, dato che la comunità di tavola stabilisce legami di convivialità e condivisione, unendo in certo qual modo i commensali tra loro”.
Un bel libro, un buonissimo libro.
José Tolentino Mendonca, Ammonire i peccatori, Emi 2016