Blog / Libri recensiti dal blog | 21 Aprile 2016

Giovanni Nicolini – Visitare i carcerati

Sarà che nel libro è citato il nostro Carmelo Musumeci, sarà che l’autore, Giovanni Nicolini, è sacerdote come me, sarà che anche lui cura una rubrica di posta su un giornale, sarà per tutti questi motivi ma anche questo libro mi ha colpito molto.
Il solito formato e stile agevole e chiaro degli altri libri che abbiamo commentato. Inizia con una considerazione che è la chiave di lettura di tutto il libro e la chiave di comprensione di questa opera di misericordia. Da Dio ci separa solo il peccato, le sbarre non possono dividerci da lui, la libertà interiore non va mai sotto processo in tribunale. Il cristianesimo ha usato, nei secoli, provvedimenti contro i condannati molto più duri di quelli vigenti oggi.
Quindi ci vuole molta mitezza e umiltà per varcare le porte di un carcere. Il carcere è una realtà necessaria ma va sempre ripensata perché ce ne dobbiamo far interrogare. Il solo entrarci per poter compiere questa opera di misericordia, richiede di sottoporci a regole molto rigide e diverse da quelle del mondo di fuori. Umiltà e mitezza aprono queste porte per chi desidera entrare.
L’autore di queste pagine ci ricorda e ricorda a sé stesso che ci vuole fantasia per essere di aiuto ad un carcerato le cui ore sono vuote di affetti, di lavoro, di svago. È un’opera, quindi, molto creativa.
Lui ci entrò, tanti anni fa, per una Messa (questo libro infatti è anche una cronaca della sua esperienza). A quella Messa nel carcere di Bologna parteciparono anche non cristiani e atei, tutti alla ricerca di vita e lui così scrive descrivendo la sua paura di essere inadeguato nell’esprimersi nell’omelia: “ (mi) cadono i pensieri già preparati e mi viene incontro la memoria di un mio ritorno a casa”. E racconta di sé: l’unico modo di donare qualcosa agli altri è sempre donarsi. Donare sé stessi. Da quell’esperienza ormai lontana nel tempo,  la certezza sempre presente che “noi continuamente celebriamo il vangelo…parlare del vangelo era parlare di loro. Di me e di loro. Di noi….”.
La prigionia nei secoli è cambiata. Prima era luogo e tempo di attesa della pena, una specie di “sala di aspetto”. Poi si finiva ad galera, ad metalla, ad patibulum. Oggi la prigione è diventata la pena, ed è durissima.
Come la parola evangelica può entrare in questo luogo e tempo di pena? Lo fa con il bene perché ritiene che la giustizia più severa sia quella che al male risponde con il bene. Questo, il bene, è talmente opposto al male commesso che accumula “carboni ardenti” sul capo del colpevole.
La nostra costituzione richiede per legge che questo “bene” entri nel carcere perché legifera che il carcere sia per il recupero della persona e il suo reinserimento nella società. La nostra fede per fare ciò usa la chiave del perdono che apre tutto. Il perdono è una reazione al male, molto “severa”. Cambia il condannato in profondità. La giustizia umana è vendicativa, non nel senso che agisce per vendetta ma nel senso che si paga per quanto si è fatto. In proporzione. La giustizia divina è salvifica. “Risponde al male commesso con un dono di salvezza”. E a chi pensa di non essere Dio e quindi che non può salvare nessuno, viene da rispondere che però siamo figli di Dio e, da sempre, i figli assomigliano ai padri. Proviamoci. Per l’uomo la pena è la fine del peccatore. Per Dio è l’inizio. Nella seconda parte del libro si entra in un carcere. Il lettore è avvisato che si troverà davanti ad un piccolo mondo. Ci sono i ricchi e i poveri. C’è una suddivisione sociale. E ci sono relazioni diverse a seconda delle classi a cui si appartiene. Come fuori.
Qui in carcere, nel tempo, le relazioni con l’esterno si assottigliano fino a scomparire. Rimangono solo le donne in parlatorio: le mogli e le madri. Ecco perché è un’opera di misericordia molto importante. Copre un vuoto relazionale altrimenti incolmabile. A volte ai volontari è chiesto solo di fare una visita. Niente parole. Niente doni materiali. Solo rimanere insieme. Ci sono poi elencati tanti esempi di aiuto. Teatro, laboratorio di lettura, scuola di sartoria, yoga, studio. Insomma il carcerato è il povero dei poveri. E aspetta noi. Anche il più povero tra noi è più ricco di lui. Che aspettiamo? Ricordiamoci che andremo in visita “ a un condannato non ad un colpevole…Quello che incontrerò è un mio fratello.” Siamo tutti dei salvati.

Giovanni Nicolini, Visitare i carcerati. La misericordia libera più di ogni pena, (EMI 2016)