Blog / Renato Pierri | 21 Aprile 2016

Lettere di Renato Pierri – In nome di Dio si può andare contro Dio

Un giovane scrive sul blog “Come Gesù” del prete e scrittore Mauro Leonardi: “Buongiorno don Mauro… le vorrei dire in poche parole la mia storia…sono omosessuale, ho una tenera amicizia con un bravo musulmano…..come posso conciliare il mio amore per Gesù e la mia sessualità?….ora vivo in castità …….faccio bene? “.

E quale sarà stata la risposta? Ovviamente il sacerdote gli ha detto che fa bene a vivere così il suo amore. Poteva mai dirgli altro come sacerdote cattolico? Ma c’è stato anche chi gli ha detto che deve prendere la sua croce, secondo le parole di Gesù: “Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. Ed ha fatto una bella confusione. Gesù, infatti, non parlava di croce inutile, ma di croce necessaria, inevitabile qualora sia conseguenza di un comportamento improntato a verità e giustizia. Il sacrificio della castità per il giovane innamorato è perfettamente inutile, non è assolutamente necessario. Fargli credere che deve rassegnarsi alla castità, perché così vuole Dio, è una inconsapevole crudeltà. Ancora oggi può accadere che si possano compiere azioni cattive in nome di Dio.

Un cristiano di indole buona, intelligente, in teoria non dovrebbe mai nuocere ad alcuno, almeno volontariamente, ed anzi nei limiti delle sue possibilità dovrebbe impedire che qualcuno soffra inutilmente. Un non credente, di indole buona, intelligente, ugualmente in teoria non dovrebbe far del male al prossimo, e alleviare sempre nei limiti del possibile, la sofferenza altrui. Accade però, a differenza del secondo, che il primo in alcuni casi possa nuocere al prossimo, o perlomeno non alleviare la sua sofferenza, pur avendone la possibilità. Infatti, pur essendo intelligente, in alcuni casi rinuncia alla ragione a causa della fede in un falso dio, in un dio in qualche modo malvagio.

Se si è fermamente persuasi, ad esempio, che abortire, in caso di concepimento a seguito di stupro, oppure nel caso in cui il concepito sia portatore di gravissime malformazioni, vada contro la volontà di Dio, automaticamente ci si libera della responsabilità morale verso la donna che non desidera portare avanti una gravidanza diventata per lei un tormento. E’ Dio che vuole così, e la responsabilità in qualche modo è di Dio. Ugualmente, se si è persuasi che interrompendo le cure ad un malato terminale, oppure procurando la dolce morte a colui che la invoca disperatamente, si vada contro la volontà di Dio, non ci si sente moralmente responsabili del protrarsi della loro inutile sofferenza. Così può avvenire che un Testimone di Geova possa lasciar morire un figlio, essendo fermamente persuaso che Dio non voglia trasfusioni di sangue, e non sentirsi responsabile della sua morte. In passato non ci si sentiva responsabili delle sofferenze immani di eretici torturati e mandati al rogo: non torturarli e non condannarli avrebbe significato andare contro la volontà di Dio. Certo, tra lasciar soffrire in nome di Dio, e far soffrire in nome di Dio c’è differenza, ma l’atteggiamento è identico: ci si sottrae al problema morale nei riguardi di colui che soffre. Oggi accade ancora, presso popoli d’altre religioni, che si possano compiere azioni crudelissime e non sentirsene minimamente responsabili. Tutti in buona fede. Tutti persuasi di fare la volontà di Dio. Intanto però nei riguardi delle vittime si calpesta il comandamento dell’amore verso il prossimo. Si è in buona fede. Si è persuasi che Dio così voglia. In nome di Dio si può andare contro Dio.
Francesca Ribeiro

 

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