Blog / Lettere | 01 Novembre 2013

Le Lettere di Vittoria Patti – Quello? è un cretino!

Non sono mai stata di spirito corporativo e non lo sarò mai. Per me è inconcepibile parlare bene a priori della categoria a cui appartengo solo perché vi appartengo. In questo sono… poco italiana, lo so benissimo, e mi capita spesso di sentirmi “strana” in certi contesti, quando questa mia idiosincrasia viene fuori in qualche modo.
Detto questo…
Non ne posso più, ecco, sono proprio stufa degli insegnanti che disprezzano e insultano costantemente i loro studenti. E non parlo di teorici insegnanti che ipoteticamente… no, parlo dei miei colleghi, quelli che ti ritrovi gomito a gomito negli scrutini, che si siedono alla stessa cattedra da cui ti sei appena alzato tu, che ti offrono il cafferuccio al bar, che commentano con te l’ultima circolare mentre ripongono i registri nell’armadietto della sala docenti.
Questi individui mi paralizzano. Posto che mettiamo la collegialità in tutte le salse, e va bene ed è giusto e sacrosanto, quale territorio comune può esserci, quale possibile collaborazione, fra me e un collega che pensa che i nostri comuni alunni siano una massa di stupidi? Che ci faccio, io, a fianco di gente così? Cos’ha a che fare il suo lavoro col mio? Come si può costruire qualcosa assieme?
Stupidi, li chiamano. Glielo dicono pure in faccia. Li disprezzano, a parole e con i fatti: non fanno nulla per nascondere il loro profondo fastidio per l’esistenza stessa dei loro studenti. Non lasciano loro tempo e modo di spiegarsi. Li accusano spesso di mentire, di imbrogliare, di inventarsi scuse. Li dileggiano per come si vestono, o si pettinano, o per gli errori che commettono leggendo. Non chiedono scusa quando risulta evidente che si sono sbagliati. Si sentono ontologicamente superiori, non come ruolo – il che sarebbe giusto, ma per poterli servire – ma proprio come persone. Tu che sei appena nato, tu che sei ignorante, tu che non capisci niente… quante volte gliel’ho sentito dire.
Ecco: avevo bisogno di raccontare tutto questo. Certo, esiste anche l’abuso opposto: tanti episodi di mancanza di rispetto e di aggressione da parte dei ragazzi, il bulletto che minaccia l’insegnante inerme, la supplente che va a casa piangendo per la violenza con cui le è stato impedito di lavorare, e il preside che non la difende perché «insomma, la professionalità della docente deve saltar fuori in questi casi, impari a farsi valere…» che tradotto vuol dire “si arrangi, io non posso farci nulla, il cliente ha sempre ragione”.
Ma di questi mali si parla già molto: delle mancanze di rispetto di tanti insegnanti verso gli alunni, invece, si parla pochissimo. Se i ragazzi le denunciano, li si accusa di inventarsele, di essere in malafede. La loro rabbia sorda viene presa per cialtroneria. Ma io vedo certi colleghi, li sento, e non posso far finta di niente solo perché faccio il loro stesso mestiere. No.
Un educatore non può mai disprezzare colui che educa: se lo fa, perde istantaneamente le sue prerogative, perché educare presuppone il riconoscimento del valore dell’altro: educare vuol dire innanzitutto affermare in modo implicito, ma forte, che nel ragazzo c’è qualcosa di grande e prezioso, che attende di essere aiutato a crescere, che vale la pena di coltivare.
Se pensi davvero che i tuoi alunni siano una massa di cretini, tu che ci stai a fare lì? A chi parli? Persino gli allevatori di mucche o maiali sanno provare simpatia e misericordia per le proprie bestie. Un insegnante che disprezza i suoi alunni farebbe meglio a cambiare mestiere, e alla svelta.

Insegnante arrabbiato

Insegnante arrabbiato

 

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Articolo già pubblicato su Oggi che si fa, prof?