Blog / Lettere | 31 Agosto 2013

Le lettere di Paolo Pugni – Un passo dopo l’anno

Rientro ora dalla consueta processione dell’Assunta qui a Trinité. L’evento in sé è semplice, ma coinvolgente. Sarà perché forse ha una grande tradizione, sarà perché è forse l’unico momento pubblico in un paese che è ancora rude, ruvido e selvaggio, ma la partecipazione è quasi totale. Il corteo che segue la statua della Madonna è folto e ogni anno si allunga, e chi non cammina guarda dalle finestre, dalle verande degli hotel. E per me ogni volta è un momento duro e profondo, di quelli che sanno scavare solchi nella tua vita. Perché nella lunga camminata con canti e rosario c’è tempo per riflettere e soprattutto per accorgersi di tutti coloro che camminano con te, facce che conosci. Quasi tutti. Così riscopri intorno le persone del film della vacanza, un serial che dura da 15 estati, e come nella scena finale di una pellicola in cui si vedono tutti i personaggi, hai l’occasione per rivederli tutti. E per sentirti sempre più misero e peccatore. Scorrono come una memoria che si srotoli lenta e non dimentichi nessuno, come gli attori che tornano sul palcoscenico per un ultimo applauso prima di scomparire, insieme al loro personaggio, dietro le quinte. C’è la coppia a cui lo scorso ottobre è morta suicida una figlia di 25 anni, i ragazzi a cui è morta la madre, la moglie che ha perso il marito, quella invece che il marito ha piantato per la giovane (ar)ra(m)pante d’ordinanza. C’è la ragazza che lo scorso anno era qui con i suoi e oggi sfoggia una fede al dito e un marito al braccio, e subito pensi ai tuoi di figli e quelli degli amici che entro dodici mesi saranno sposati. Ci sono nuovi bambini. Ci sono coppie note. Altre nuove. Bambini che crescono, adolescenti che sbocciano, anziani che avvizziscono. Qualcuno manca. E non perché è andato in villeggiatura altrove. Ci sono persone che scuotono le tue tentazioni, quella che ti turba, quella che ti irrita, quella che ti scatena invidia, ira, sdegno. Che la prenderesti a sberle. Chissà perché poi. Ecco per tutti loro io vorrei pregare e chiedere a lei di fare altrettanto e per noi, per me per le mie fragilità. Perché così è la vita, un lungo corteo dentro il quale scivoliamo finché non verrà il turno di restare così indietro da volgersi verso un’altra patria.

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