Blog | 14 Maggio 2012

LA SUORA E PADRE ALDO cap. 4 [data originale: 14.05.2012]

Arrivati al cap. 4° non copio gli ultimi commenti dell’altro capitolo perché forse è superfluo.
In sintesi mi sembra che la Discussione stia vertendo soprattutto sul fatto che il matrimonio è indissolubile e il celibato è sempre dispensabile.

In concreto ci sono stati molti approfondimenti su cosa significhi l’indissolubilità del matrimonio:

a) tra due cristiani che si sposano quando c’è?
b) tra due non cristiani che si sposano quando c’è?
c) se si sposano due persone di cui una è cristiana e l’altra no, c’è o non c’è?

Un aiuto a dare risposta a qualcuna di queste domande è il Vademecum “Casi difficili del matrimonio” pubblicato nel settore 07. Materiali dottrinali.

200 risposte a “LA SUORA E PADRE ALDO cap. 4 [data originale: 14.05.2012]”

  1. Paola ha detto:

    “il matrimonio è indissolubile e il celibato è sempre indispensabile”

    direi che c’è un errore di battitura: il matrimonio è indissolubile e il celibato è sempre dispensabile.

  2. la sciagurata rispose ha detto:

    eheh paola tesoro amore stellina cip cip.. ti eri presa un colpo eh? :-)

  3. Paola ha detto:

    io avrei scritto: il matrimonio indissolubile vissuto da innamorata perenne è indispensabile per essere felici …

  4. Giaa Paolo Colò ha detto:

    Alle domande di d. Mauro le risposte sono semplici e complesse allo stesso tempo.
    La condizione per tutti e tre i casi è che i coniugi abbiano intenzione di contrarre un vero matrimonio.
    a) dopo la consumazione il matrimonio diventa indissolubile. Prima della consumazione, in certi casi ( matrimonio rato e non consumato ) il Papa può sciogliere il vincolo ancora imperfetto;
    b) c’è, l’indissolubilità quando intendono celebrare un vero patrimonio, è più difficile provare questa volontà in caso di crisi: se uno dei due si battezza e l’altro coniuge rimasto pagano non vuole vivere in pace, il Papa può sciogliere il matrimonio e permettere al battezzato di contrarre un nuovo matrimonio,canonico
    c) se contraggono il matrimonio, come sopra, avendo accolto tutte le richieste prudenziali che il diritto canonico rivolge al coniuge non cattolico circa l’educazione dei figli, il matrimonio è indissolubile.
    La Chiesa raccomanda molta prudenza nel contrarre il matrimonio con persone di altre religioni o atee militanti perchè la dimensione religiosa diversa può creare molte difficoltà circa un progetto comune di vita. come per altro anche in tante altre situazione di radicale difficoltà di estrazione culturale ( ai giovani di oggi questa affermazione fa orrore; certo non è assoluta, ma l’esperienza spesso la suggerisce )
    A mio avviso, il diritto ingessa e congela il calore dell’adesione personale però è un principio di ordine che non va trascurato data la portata pubblica e sociale del matrimonio.
    Esposizione barbosa da arricchire di umori vitali. Pregate per i miei due amici sposati che stanno tornando insieme. Buona notte

  5. Mauro Leonardi ha detto:

    @Paola
    Grazie per avermi segnalato l’errore di battitura, che c’era. Chissà se era solo un errore o un lapsus freudiano…

  6. Mauro Leonardi ha detto:

    @Paola
    Grazie per avermi segnalato l’errore di battitura, che c’era. Chissà se era solo un errore o un lapsus freudiano..

    @Gianpaolo
    Anche tu come errore freudiano non scherzi quando dice che bisogna voler contrarre un vero “patrimonio”… hai visto che carino il documento nella sezione 07? il nostro vicariato di Roma….

  7. Tres ha detto:

    Non lo corregga Don Mauro, lasci “indispensabile”, si capiva, anzi si capiva “di più”. E anche patrimonio/matrimonio non è male. Sono errori che vibrano.

  8. fefral ha detto:

    finalmente sono riuscita a leggere un po’ di commenti di oggi (giornataccia, adesso voglio solo il letto). Grazie per gli approfondimenti, ma ancora non mi è chiaro il discorso del sacramento per il matrimonio misto. Come fa a essere sacramento se uno dei due non è cattolico? Lo è solo per il coniuge cattolico? Non parlo dell’indissolubilità, che quella c’è se ci sono le condizioni perchè il matrimonio sia valido, ma proprio di quel “di più” che don Mauro ci ha detto essere il sacramento.

    Don GianPaolo e Paola… intendiamoci… quando parlo di innamoramento intendo quella roba che arriva tipo la varicella, cioè indipendentemente dalla propria volontà, quella cosa che non fa dormire, non fa mangiare, che ti fa sentire in grado di spaccare il mondo, che non fa ragionare. Ecco basare un matrimonio su una cosa così è imprudente. Illudersi che questo stato di esaltazione possa durare tutta la vita è quantomeno ingenuo. Addirittura perdere tempo ed energie per perpetuare questo stato di ebbrezza credendo che senza di esso un matrimonio non possa funzionare secondo me è decisamente stupido.
    Eppure quanti ne conosco a 40, 45, 50 anni che per innamoramenti di questo tipo hanno mandato a puttane un matrimonio o una vocazione!
    Amare è qualcosa che con questo tipo di innamoramento non c’entra nulla. Il problema è che mentre ci stai dentro non vuoi sentirtelo dire. Dici che sono gli altri, poveri sfigati, a non aver conosciuto il vero amore. Io di veri amori così ne ho vissuti un po’, abbastanza per rendermi conto che prima o poi passano, e quindi non è possibile farci affidamento per costruire un matrimonio.

    Paola, è vero che una bella sbronza ogni tanto può anche essere divertente, ma la vita si assapora molto meglio da sobri. Il vino piace anche a me, anche se preferisco il rosso (il bianco mi fa venire mal di testa). Ma mezzo bicchiere a pasto, non di più. Il troppo fa perdere gusto al pranzo, rende ogni piatto simile all’altro. Vale a tavola e vale anche con gli uomini. Concordo con Domenica che in tempo di crisi molto meglio una birra, ma pure un bicchiere d’acqua fresca va benissimo se il pranzo è buono.
    Buonanotte, sono cotta!
    (Sciagu, ma hai finito di fare il filo alla principessa? Lo sai che è sposata con uno strafigo che va in palestra e non ha la pancetta? )

  9. La sciagurata rispose ha detto:

    Dai frufrù la gelosia non é una bella cosa!
    Apriamo un topic su questo?
    Non su frufrù s’intende.. Per quello non basterebbe un forum.

  10. fefral ha detto:

    gelosa del marito strafigo di Paola? mhh… no, direi di no. Piuttosto della tata e il filippino!
    Bel tema quello che proponi, sciagu, un bel forum su di me intendo, farebbe bene alla mia autostima :-)
    No, dai, ho dormito poco e male, ma la gelosia è un bell’argomento. Però non fermiamoci alla banale gelosia in amore. Parliamo anche della gelosia nei rapporti d’amicizia, molto più subdola e devastante, almeno per me (è uno dei motivi per cui ho più amici maschi che femmine: gli uomini sono gelosi e possessivi nei rapporti d’amore, a volte, ma quasi mai nell’amicizia. Le donne invece tante volte pretendono di controllare la vita delle persone a cui sono legate)

  11. Giaa Paolo Colò ha detto:

    Metto una notizia per farvi pregare e per sapere che avete un nuovo amico…globale. Ieri alle 18,30 è morto d. Francesco Contadini, un sacerdote di 88 anni,gran confessore, gran direttore spirituale,sempre più disponibile e laborioso con il passare degli anni, simpatico, affettuoso ma gran rompiscatole con la precisione del vocabolario, più pronto a perdonare mille insulti che un errore di traduzione, grande ammiratore del teologo Ratzinger di cui aveva letto e accuratamente glossato anche la nota della lavandaia, persona coltissima ( un suo amico/fratello, siculo ironico, dotto giurista gli diceva sempre “Lei, don Francesco sa tutto e….nient’altro” ). E’ morto per una caduta…sul campo di battaglia, perchè pur reggendosi male sulle gambe, ma sempre lucido e vigile, voleva andare a confessare, predicare e celebrare la Messa a tutti i costi. Pensate che negli ultimi anni era diventato così buono che perdonava persino gli errori e le imprecisioni linguistiche e cercava appassionatamente vocazioni fedeli al celibato e al matrimonio.
    Mentre lo vegliavo poco fa mi sono domandato”Ma tu sei mio fratello, mio amico e cosa….?” La risposta è stata confusa: un po’ mi veniva in mente” Abbiamo lo stesso sangue”. Un po’ mi veniva in mente ” Siamo commilitoni” ma “Siamo amici” mi stava un po’ stretto. Devo approfondire. Questo lo lascio per l’antologia di d. Mauro.
    Ho pensato anche tra la generazione degli anni 40-50 e quella degli 80-90 c’è una notevole differenza. La famiglia ha perso di peso e l’amicizia è diventata esistenzialmente più importante; può essere questo un contributo alla scoperta di certe differenze. Arrivederci

  12. Paola ha detto:

    L’innamoramento non è una statica situazione che ti cade inaspettata sulla tua vita (coma la varicella). L’innamoramento è il dinamismo generatore di forze belle per affrontare l’ordinario della vita. Dinamismo generatore per chi è innamorato ma soprattutto per chi ti sta intorno.

    Again, è come le rose sull’altare; non cambiano la natura e la forza del sacramento ma sono un segno della bellezza dell’umano e aiutano in maniera non necessaria il sacramento.

    Per tornare al vino, penso proprio che dobbiamo chiedere, per il mio e il tuo matrimonio, non mezzo bicchiere ma “sei giare di pietra”, proprio come a Casa. E a maggior ragione dopo i 40 anni. Tuo marito, non i tuoi amici maschi o femmine, è la via del cielo per te. Se le nostre energie intellettuali e fisiche non ci aiutano a trovare sapore/profumo/innamoramento del matrimonio, allora ci vuole davvero un miracolo. Ma non è necessario. E’ meravigliosamente superfluo.

    Poi una nota sullo stile: tanto mi hai sottolineato che il mio stile faceva venire i nervi. E il tuo riferirti alle 3 cose che ho detto sulla mia vita persale col sarcasmo cinico da birreria, ti pare gradevole?

  13. Antonio ha detto:

    @don Gianpaolo:

    Qualche anno fa mi chiesero di scrivere la recensione di un libro di Roberto Volpi – statistico, fondatore del Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza del Ministero del Welfare – dal titolo drammatico: “La fine della famiglia”, ed Mondadori. Sono andato a ripescarla perchè il suo intervento me lo ha fatto tornare alla mente (la riporto più sotto).

    In merito a quanto scrive lei … non penso che la situazione dell’amicizia sia brillante oggi. La capacità di amicizia si sviluppa nella famiglia, se la famiglia va in crisi, va in crisi anche l’amicizia.

    Don Francesco non lo conoscevo personalmente, anche se ne avevo sentito parlare. Era venuto qui in Calabria l’anno scorso a predicare due corsi di ritiro per sacerdoti … Dio lo ricompenserà.

    ——————-
    Questi trent’anni sono stati caratterizzati da due fenomeni la cui importanza è andata, nel tempo, crescendo: la “rarefazione della famiglia”, formata da un numero sempre più ridotto di persone, e “l’individualizzazione delle logiche familiari”, ossia il rifiuto di armonizzare in un ambito più ampio caratteri, progetti, ambizioni e visioni del mondo.

    – Esiste una crisi della coppia formata ma esiste anche una crisi della coppia che non si forma. Le persone giovani crescono al riparo della famiglia rimandando il loro ingresso nel mondo fino a quando ciò possa avvenire senza correre rischi. La famiglia è sempre più anziana.
    – I figli sono sempre più inessenziali nel sentirsi famiglia: la coppia vive per se stessa e le cose (beni, viaggi, …) prendono il posto dei figli nel dare un senso di pienezza alla vita; i figli diventano un ostacolo alla piena realizzazione di sé.
    – La conflittualità tra genitori e figli è in diminuzione grazie al fatto che i genitori sono meno esigenti: essi non chiedono più ai figli di sforzarsi per studiare, lavorare, metter su famiglia, fare la loro vita. Si accontentano che non facciano danni, che non diano preoccupazioni e li sollevano da ogni vera responsabilità. I figli non sono tallonati dal bisogno, non hanno motivo di sforzarsi.
    – Fare un figlio è diventata una impresa. La maternità non è più un evento naturale per una donna ma una esperienza alla quale ci si sente inadeguati, in cui comanda l’apparato medico-sanitario e in cui tutto è artificio, verifica, esame continuo …
    – Le trasformazioni culturali hanno indebolito nelle persone il senso della continuità biologica e l’istinto di sopravvivenza della specie; c’è come una paura del futuro e la famiglia è sempre più un riparo dai pericoli del mondo piuttosto che una palestra per affrontare la vita futura pieni di speranza di riuscire.
    – La famiglia, in virtù della sua pochezza quantitativa – di poca varietà umana – e di una tendenza all’individualizzazione che ne indebolisce la forza, è predisposta a una percezione allarmata della società che vincola i figli a non voler uscire da essa.
    – La famiglia si costruisce facendo in modo di dover rinunciare il meno possibile alle ambizioni personali: si pensa di sprecare le proprie potenzialità se le si mette al servizio di progetti che non siano ricalcati sul proprio esclusivo tornaconto. E’ meglio che la famiglia non abbia molti figli: è più facile andare d’accordo, conciliare interessi reciproci, conciliare lavoro e impegni.
    – Per quanto detto in precedenza, la famiglia rifugio, con pochi figli, non è più un insieme di individui differenti (per età, attitudini, …) che cercano di vivere in armonia sviluppando le singole capacità e nel contempo legandosi agli altri con vincoli di solidarietà. Non è funzionale a preparare la persona a vivere una serena vita di relazione.

  14. Dory ha detto:

    @don GianPaolo – “per Dory, che si è cimentata in un lungo e articolato discorso, dico: la realtà naturale del matrimonio è importantissima e più in generale tutto ciò che è umano è importantissimo per il cristiano. C’è un famoso proverbio che suona così: “La donna che lascia i fornelli per la Chiesa è mezza donna e mezzo diavolo”. Nella mia prospettiva tutto ciò che è umano fa bene al matrimonio cristiano, sempre che sia umano autentico e non umano corrotto dal peccato. ” – Sono d’accordissimo con Lei, ma le assicuro che ho bussato a parecchie porte (di Chiesa) e quello che mi veniva proposto era lontanissimo da quanto dice Lei qui. E da quanto mi pare dica don Mauro nel libro…E cioè che l’umanità quotidiana, di tutti i giorni ( con dolori e gioie) ha molto a che fare con Gesù e che è partendo dal nascosto particolare quotidiano e rimanendovi ancorati possiamo trovare un senso Trascendente a tutto. Però mi permette? Non voglio essere offensiva assolutamente e se mi sbaglio o ho percepito male le Sue parole Le chiedo scusa, ma quando lei parla di “vedove spirituali”o qui di donne tutte Chiesa e niente fornello non crede di essere un pò irrispettoso verso il mondo femminile? Non so che donne conosca Lei…Ma io per esempio conosco tante donne la cui dimensione spirituale è fortemente incarnata nell’impegno quotidiano di mogli, madri, spose, come le due facce di una medaglia…In quanto alle vedove spirituali…A parte le invasate (ma anche gli invasati) che sempre furono e sempre ci saranno…Io credo, mi scusi, che quando si parla così si sia un pò ingenerosi e si tenda, forse per prudenza, per carità, a pensare sempre male…Ci saranno sicuramente tante “vedove e vedovi spirituali”, per carità, ma spero e credo che normalmente si stabiliscano normali rapporti di affetto, stima, gratitudine tra un uomo o una donna (per me è proprio o stesso!!!) e il proprio direttore spirituale… Sentimenti che magari noi donne – in genere più portate ad esprimere il nostro intimo rispetto ai maschietti – semplicemente manifestiamo in modo, forse, più evidente, ma senza perdere di vista – almeno se si parla di donne sane e normalmente intelligenti – la considerazione razionale , libera, equilibrata e responsabile (di cui anche noi donne, “incredibile”, siamo capaci…) del corretto modo di relazionarsi con un “maestro” ( di scuola, un sacerdote, una persona per noi importante e carismatica)…Non è che Tolkien l’ha infettata con il discorso del rapporto tra donne e Maestri??? No, perchè a me quella idea lì…proprio non va nè su nè giù…Mi scusi di nuovo se in qualche modo Le ho mancato di rispetto…Ma davvero…Credo che a volte si esageri con questa idea della donna “mobile qual piuma al vento” che cerca in chicchessia la figura del “padre” (idea vecchiotta anche questa, non trova?)

  15. Giaa Paolo Colò ha detto:

    Dory, Dory, perdono, perdono perdono. Il vecchio proverbio citato ha i suoi limiti e vuole semplicemente esprimere il fatto che la vita di pietà non può distogliere dai doveri familiari e ora aggiungerei civili, ecc. Per gli uomini in passato forse di sarebbe dovuto dire “Chi trascura la casa per l’osteria è tutto diavolo”
    Con l’espressione “vedove spirituali” ( purtroppo ho un estro ironico che va ben aldilà delle mie intenzioni. Una preside ( monumentale per prestigio e saggezza ) mi bacchettava spesso con queste parole ” d. Gian Paolo, niente ironie, per favore!”) io intendo descrivere un atteggiamento di dipendenza che a volte si riscontra tra persone che perdendo un direttore spirituale sembra come se diventassero orfane o vedove ( hai ragione possono essere anche uomini ), come se non avessero già una ricchezza spirituale che non dipende dal consenso altrui o come se non potessero avere (e spesso lo hanno già ma non se ne accorgono ) un rapporto ricchissimo con Dio senza bisogno di mediatori.
    Per me questo bisogno del consenso maschile da parte delle donne, resta un mistero che temo di non poter veder svelato su questa terra. D’altra parte, anche negli uomini ci sono misteri che non riesco a decifrare, per esempio, come mai non si accorgano di cose che hanno sotto il naso ( dalla saliera a tavola alla nuova pettinatura della moglie che magari l’ha scelta con il desiderio di compiacerli ).
    Io, da una vita, cerco di porre rimedio a questa che tu chiami idea ma che a me sembra un fatto spesso sperimentabile della ricerca del consenso maschile e con poco esito. Per questo mi metto spesso da parte quando vedo che sto diventando un guru o un direttore spirituale “consacrato”.
    Per altro debbo anche dire che ci sono “maestri spirituali” che fanno di tutto per accreditarsi come indispensabili nella vita dei loro “diretti”. Io mi diverto a dire che per me non ci sono “diretti nè accellerati” perchè non sono Trenitalia!
    Sapessi quanto mi da fastidio, mi imbarazza e mi riempie di vergogna quando qualche donna mi dice “Ah, don Gian Paolo se non ci fosse lei……”, anche se spesso sto zitto e la butto sul ridere perchè forse in quel momento serve, ma poi ce la metto tutta per far vedere che la persona è in gamba, autonoma e capace di portare pesi che io non saprei portare.
    Quindi stiamo dalla stessa parte della barricata, anzi ti ringrazio
    per aver dato l’occasione di precisare questo pensiero e di aggiungere un tratto ai lineamenti della mia fisionomia sul blog. Adesso ci siamo meglio chiariti?

  16. fefral ha detto:

    no, so di non essere gradevole, e non mi sforzo di sembrarlo. Cerco di diventare buona ma non ci riesco quasi mai.
    La via del cielo per me è il prossimo che mi ritrovo accanto in ogni momento della mia vita, quindi certo, in primis mio marito. Ma anche tu sei il mio prossimo.

  17. fefral ha detto:

    lo sguardo di un uomo può risultare molto utile ad una donna per scoprire qualcosa di sé stessa, quindi una prima ricerca del consenso maschile non la vedo di per sé assolutamente da scongiurare. E’ la dipendenza da questo consenso che diventa un problema. In generale questo vale per tutti, uomini e donne. E’ spesso grazie a come ci vede qualcun altro che riusciamo a guardarci da noi senza paura. E per questo l’amicizia intesa come condivisione della propria intimità spirituale è un trampolino che aiuta molto la crescita nella consapevolezza di sé. Ma il rischio di dipendenza dal consenso altrui è sempre dietro l’angolo.

    “Per altro debbo anche dire che ci sono “maestri spirituali” che fanno di tutto per accreditarsi come indispensabili nella vita dei loro “diretti”. ” Questo è vero, ed è molto triste e molto grave. Un direttore spirituale che aspira a questo rischia di diventare un manipolatore di anime. E’ una forma di seduzione a mio parere molto più pericolosa e grave della seduzione sensuale. E molto più subdola

  18. Giaa Paolo Colò ha detto:

    Antonio: grazie per le parole che hai inserito e che mi sembra descrivano una situazione di grande portata per il bene stesso della sopravvivenza della nostra civiltà ( la metto giù un po’ dura ma i sintomi, qua e là, sono veramente inquietanti ). Mi capita sempre più spesso di aver a che fare con trentacinque-quarantenni che esitano a farsi una famiglia, anche se ne avrebbero la possibilità. “Eh, fijo bello e che aspetti?” mi viene da dirgli alla romana, “così diventerai nonno dei tuoi figli, seppure arriverai ad averne”. E’ proprio questa inconsistenza del progetto e dell’incapacità di progettare che costituisce un pericolo per il futuro del matrimonio e una minaccia per la sua indissolubilità, quindi per la sua stessa essenza. E nel quadro che tu descrivi – secondo me – si iscrive anche il problema della fedeltà oggi, in tutti i gradi dei rapporti interpersonali. Ci si potrebbe ragionare per anni e io sono sempre disposto a parlarne. Però dovremmo coinvolgere anche altre persone in questi discorsi.Oggi è la festa dell’autonomia siciliana, la scuola è chiusa e quindi posso spendere un po’ di tempo in questi discorsi che mi appassionano davvero. Continuerò a pensare sulla tua recensione perchè offre molti spunti e vorrei sapere che cosa ne pensano anche gli altri.

  19. Antonio ha detto:

    E’ quello che ho provato a dire anch’io quando ho risposto allo sfogo di @donGianpaolo. Penso che chi va in giro (consapevolmente o inconsapevolmente) in cerca di “guru” ( … si può essere guru anche inconsapevolmente, senza volerlo …) sia maggiormente a rischio infedeltà.

  20. Tres ha detto:

    “Fastidio?Imbarazzo?Vergogna? Per un “se non ci fosse lei”? Ma io quando lo dico voglio dire:”Che bello che ci sei”. E’ un modo per esprimere amore. Guardi che essere felici che ci sia un altro non è un’indice di debolezza, di non essere in gamba o autonoma o di non sapere portare pesi. Quella persona che le si rivolge in quel modo non vuole che lei ce la metta tutta, ma vuole lei, tutto. Non dobbiamo sempre aiutarci o sentirci più o meno capaci di chi abbiamo davanti, basta che stiamo insieme.

  21. Tres ha detto:

    Don Gian Paolo scusi il mio commento era per lei, ma mentre lo scrivevo se ne sono aggiunti altri e ora appare un po’sospeso. Ma era idealmente sotto il suo.

  22. Giaa Paolo Colò ha detto:

    Fefral Vero quello che dici sul consenso e sul fatto che abbiamo bisogno degli altri. Io lavoro,predico, divento più creativo, se mi sento stimato, accettato, considerato utile, ecc. Una delle fonti principali della decadenza nella vecchiaia e l’essere considerato “fuoricorso” da chi ci sta vicino.
    E’ il mettersi nelle mani di un altro/a ciecamente che va vigorosamente combattuto e io questo volevo dire.
    Per quanto riguarda l’innamoramento hai ragione circa il perdere la testa però – qui tiro in ballo la famosa intelligenza – è così bello “contemplare” la presenza dell’altro, lo sguardo, il sorriso, anche le rughe e intenerirsi anche per i segni di un invecchiamento gestito con eleganza, non manipolato o occultato in un modo artificiale che invece di nasconderlo lo rivela in modo quasi osceno. E’ la contemplazione del cantico dei Cantici in cui gli amanti si osservano discretamente e senza contorcimenti passionali. Credo che questo “casto connubio” di intelligenza, sensibilità e sentimento andrebbe insegnato e praticato di più anche tra coniugi che spesso invece si divertono a sfottersi o a pizzicarsi o si immergono in problemi pratici o nei loro hobby. Bisogna saper perdere tempo a pensare all’altro e cogliere le sfumature del cuore dell’altro/a.
    A proposito, ci può essere un adulterio con un blog non per mezzo del blog, ma innamorandosi del blog ?
    Anche questo può essere un tema, ma quello della gelosia mi pare ottimo, soprattutto se si parla anche del telefonino come luogo privilegiato delle gelosie di oggi.

  23. Giaa Paolo Colò ha detto:

    Si, si ho capito e ho capito anche quello che vuoi dire e lo condivido ma io aggiungo: “Basta che non mi metta al posto di Dio e pregando Dio che prima o poi non le/gli cada il cielo in testa, accorgendosi dell’abbaglio che aveva preso” Ma poi come ho detto accetto pure di fare da “abbaglio” e non me ne dispiace perchè siamo un po’ tutti vanitosi.

  24. Giaa Paolo Colò ha detto:

    Mamma mia, donne, non ve le mandate a dire….Cannonata alzo zero. Mi edifico e imparo

  25. scriteriato ha detto:

    più pronto a perdonare mille insulti che un errore di traduzione,
    MI PIACE
    grande ammiratore del teologo Ratzinger di cui aveva letto e accuratamente glossato anche la nota della lavandaia,
    MI PIACE (repetita iuvant)
    Pur non conoscendolo, questo sacerdote m’ha conquistato. Volentieri pregherò per lui.

  26. scriteriato ha detto:

    purtroppo ho un estro ironico che va ben aldilà delle mie intenzioni

    Purtroppo, come purtroppo? Questa ai miei occhi è una grandissima qualità, un enorme pregio!!
    E’ il buon vecchio ‘castigat ridendo mores et lamponis’

  27. MM. ha detto:

    Il celibato è sempre dispensabile..questo è qualcosa che ho scoperto non da molto tempo, diciamo che è una libertà che ho ritrovato. Nel senso che se questo vale giuridicamente (perchè è vero che per andarsene dalla “mia comunità” basta un ok di chi comanda ai vertici) purtroppo io “sono stata cresciuta”, da giovane vocazione, a suon di frasi come “chi va via tradisce Dio e fa del male alle altre persone, cui si è legati dalla stessa vocazione”.. allora se me ne fossi andata, la mia era un’infedeltà come quella in un matrimonio?

    A me il celibato sembrava indissolubile.

    E poi: “Dio ti ha scelta fin dall’eternità, può sbagliarsi Dio? Dio non cambia idea..se te ne vai sei tu che sei infedele..che non sei generosa” Dunque altro che cercare la verità su se stessi di chi se ne va..un po’ di terrorismo c’è, almeno c’è stato, anche dalle mie parti. In alto, il celibato è sempre dispensabile..ma poi più scendi più hanno paura di aiutare persone così a cercare la loro verità. ma su qs c’è già stata una discussione.

    Poi ho scoperto che il mio Dio è il mio prossimo più prossimo e che amando gli altri amo Lui..e allora quanto più amo gli altri tanto più amo Lui, e allora voglio amare sempre di più gli altri, soprattutto chi amo già infinitamente! Così amerò ancor di più il mio Dio! e ripeto: la mia fedeltà sono gli altri e Dio. Dipendo dagli altri, proprio così. e mi piace.

    @Dory, scusami, non ho risposto al tuo post..mi sono accorta tardi! Scriverò! Grazie:)

  28. Polifemo ha detto:

    @Gianpa’
    Scusa Gianpa’ da quarche parte ai detto che c’avevi paura de me. Ma guarda che io so dalla parte tua. Grande Gianpà! Uno che alla tua età riesce a dì c’ha sbajato coll’amicizia je faccio tanto de cappello e me metto all”npiedi. Bravo. E poi sei amico de don Ma’ no? e che paura c’hai’?! Vai vai… che sei forte. E raddrizzalo pure ‘n po’ ‘sto don Ma’ ch’ogni tanto sincasina.
    Ciao!

  29. Domenica ha detto:

    “Mio marito è la via del Cielo per me?”…ma anche no, o meglio, non propriamente. Basta con questa idea che mio marito è una croce…se mai chiediamoci: ma chi cavolo mi sono sposata? ma questo è un altro discorso e ci vorrebbe un altro blog.
    Io con mio marito voglio andare in Cielo, voglio incontrarlo anche là (anche se saremmo tutti insieme e non ci saranno parentele, io se vado in cielo, lo vado un attimo a cercare) Mio marito non è la mia croce…ecco perché mi sono commossa a leggere in Come Gesù che don Mauro scambia la parola croce con la parola amore. Vino? birra? ( l’avevo consigliata in un altro intervento solo perché meno costosa del vino!) meglio rimanere sobri e accettare la realtà. Credo che vivere significhi diventare grandi e liberi…è difficilissimo, ma si può fare. Un vero maestro d’anime, un vero maestro spirituale, è indispensabile quando davvero aiuta le persone a diventare libere. Ma siamo umani, per fortuna, e solo un robot non può non voler bene a quel maestro che ci aiuta. Quando poi la vita ce lo toglierà, piangendo forse ringrazieremo Dio di avercelo dato e lo costringeremo a darcene un altro ancora migliore. Togliamoci tutti la maschera della vita splendida splendente…nessuno ce l’ha! Ognuno ha la sua vita, ma tutti abbiamo i nostri guai. Se incontro un’amica e le racconto che mi è morto un caro, le spacco la faccia se dice che prega per me. Mi deve solo abbracciare. Non ci sono sempre spiegazioni a tutto, anzi. Se mio marito è stronzo, è stronzo! se la mia amica è un’egoista eccentrica, è un’egoista eccentrica. Non devo sempre capire il buono nascosto perché a volte di buono nascosto non c’è proprio niente. E allora ecco che arriva la libertà…quella che tocca sudarsi. E ci accorgeremo che un poco l’avremmo ottenuta quando senza vino, senza birra, senza acqua, con un marito stronzo e un’amica eccentrica, ti va ancora di andare al mare e fare l’orazione dicendo a Gesù “ma che stai a fa’?”

    p.s. chiedo scusa per la parolaccia, ma quando ce vo’, ce vo’…

  30. Giaa Paolo Colò ha detto:

    Riposo e statte commodo. A raddrizza d. Ma’ro c’ho provato ma è de lassù, è de Como e so’ duri, mo’ hanno tirato fori pure i…. Maroni. Oddio, so’ un prete ‘ste cose nun se ponno di’. Ciao bello

  31. Anonymous ha detto:

    Quelli di Como sono molto in gamba !

    Almeno quelli che ho conosciuto io fin’ora

    un cristiano

  32. Giaa Paolo Colò ha detto:

    e io scherzo, no ?

    A Polife’ e mo’ venuto er senzo de corpa. Ho detto ‘na parolaccia e qua ce stanno le signore ma la corpa è che io prima facevo er medico e me rimasto er vizio de parla’ da medico. Vabbe’ che pure le signore ogni tanto je scappa ‘na parola che nun è secondo l’intenzione der santo Padre come dice ‘na vorta un monsignore. Scusa che oggi so’ in vacanza e poi ho perso n’amico e so’ po’ triste e m ‘ariconzolo stanno co l’amici Ciao e scusa per l’imitazione del romanesco è peggio del siciliano di Camilleri.

  33. Giaa Paolo Colò ha detto:

    No, niente scusa. Anzi mi consolo perchè ne ho scritta una qui sotto per fare lo spiritoso con Polifemo e temevo che don mauro mi potesse cacciare. Dici delle cose molto sagge e mi suggerisci una considerazione che mi è ritornata spesso in mente ma che non ho mai fatto. Oggi si propaganda troppo una felicità fasulla e non si riesce ad essere contenti delle cose di ogni giorno. Sono d’accordo: ma come mai in tutte le latitudini si associa la parola marito a quella…. parola lì !!! Un amico palermitano più colto chiamava la moglie la “Divina Provvidenza” “perchè spesso affligge ma non abbandona mai” eppure per il resto aveva un vocabolario fiorito!!!!

  34. fefral ha detto:

    Domenica, ho una crisi di identità! Ma che sei me, o io sono te? Che bello trovare un’altra che scrive le parolacce e non vede l’ora di andare al mare e qualche volta fa l’orazione dicendo a Gesù “ma che stai a fa’?”
    Mi piace ‘sto commento avrei voluto scriverlo io, ma oggi sto sotto un tram!

  35. fefral ha detto:

    A me don Gianpa’ sta diventando simpatico. E se non fosse prete l’abbraccerei per consolarlo della morte di questo sacerdote di 88 anni che lui non sa se chiamare amico.
    Quello che leggo tra le righe è un affetto profondo… forse sforzarsi di codificare l’amore e schematizzarlo è inutile, quello che conta è che un giorno, guardandosi indietro potremmo dire che abbiamo passato la vita a cercare di volerci bene (questa non è mia, l’ho rubata a una persona che mi è molto cara e con cui qualche tempo fa ci si interrogava sul senso delle nostre vite)

  36. Paola ha detto:

    Io vorrei capire se sono l’unica donna al mondo (almeno del blog) che pensa che la relazione col marito sia una meravigliosa avventura ordinaria che ti porta una gioia non paragonabile a nessuna gioia umana. Sono l’unica?
    Perché se sono davvero l’unica, allora colgo la proposta che mi ha fatto oggi la mia amica Carlotta davanti ad un caffé e apriamo un altro blog. Il nome? Donne amanti (del marito)

  37. Domenica ha detto:

    Bè Fefral, allora posso dirti che in effetti concordo su tutto quello che scrivi. Polifemo sei un taglio, solo un poco “eccessivo”, ma sei forte. Tres è l’amica che vorrebbero tutti. Mi dispiace Fefral che stai sotto un treno…non ti rasserenerà, ma pure io non sto messa tanto bene.

  38. fefral ha detto:

    eggià MM. e quella della stella dei magi che poi scompare ma anche se non la vedi c’è?
    E il piatto di lenticchie?
    E e ecc…!
    Bello quello che scrivi, sulla paura di aiutare persone a cercare la loro verità. E’ la paura la vera fregatura! E’ sempre una gran fregatura! La paura della libertà e la paura della fedeltà.

  39. Domenica ha detto:

    Su questo concordo con te Paola. Ma senza cavallo, senza principe, senza scarpette alla Cenerentola…la vita non è una fiaba. Mò devo salutarvi!

  40. Paola ha detto:

    forse è davvero di più . . .
    qualcuno che ha cambiato la mia vita diceva: sognate e la realtà supererà i sogni

  41. fefral ha detto:

    no, Paola, non sei l’unica. Ma ci sono tesori che condivido con gli amici, altri che preferisco godere pudicamente nell’intimità.
    Se poi qualcuno dall’esterno si fa l’idea che io non ami mio marito magari mi interrogo sul perchè posso dare quest’impressione, ciò non toglie che l’impressione è sbagliata. La gioia dell’amore coniugale non è paragonabile ad altre. Ma anche la gioia della maternità non puoi paragonarla ad altre. E quella dell’amicizia idem. E quando riesci a vivere l’amore filiale per davvero è lo stesso. Perchè accontentarsi di amare una sola persona quando puoi amare tanti? Uno solo è il marito, e uno solo amerai come marito, ma gli altri amori non sono da meno, sono solo diversi (e qua guai a chi fa battutacce, non c’entrano i gay)

  42. fefral ha detto:

    per fortuna i treni come arrivano passano :-)
    Solo che a volte so’ lunghiiiii

  43. Mauro Leonardi ha detto:

    Questo commento è stato eliminato dall’autore.

  44. Antonio ha detto:

    Questo commento è stato eliminato dall’autore.

  45. Mauro Leonardi ha detto:

    @GianPaolo scusa…
    Anche se ci divertiamo e commuoviamo tutti quando interviene Polifemo, io ancora un po’ mi vergogno (dai Polife’ non te la prendere…). Comunque, Gianpaolo, se ti interessa capire chi è Polifemo vai a

    http://mauroleonardi.blogspot.it/2012/02/il-cuore-il-mio-cuore-umano-di-carne.html#more

    è la Discussione “Il cuore -il mio cuore umano di carne – ” al giorno 12 febbraio: è il suo primo intervento.

    @Fefral
    Matrimoni misti (cioè matrimoni in cui uno solo dei due è cristiano…): potenzialmente è sacramento per entrambi ma diventa sacramento in atto solo per chi lo accoglie, il cristiano. Se l’altro dovesse accoglierlo cioè convertirsi, diventerebbe sacramento anche per lui.

    @MM.
    “Fin dall’eternità” non ha una connotazione temporale perché Dio è al di fuori del tempo. Dio viene prima del tempo in senso ontologico, non cronologico perché è Lui a creare il tempo. Per Dio eterno tutto è presente. In questo “gioco” sta il mistero della predestinazione. Comunque credo veramente che la soluzione sia nel fatto che “fedele” e “vero” in Dio sono la stessa cosa

  46. Antonio ha detto:

    Questo link dovrebbe andare proprio sul … primo intervento di Polifemo :-)

  47. Mauro Leonardi ha detto:

    Mi permettete tre piccole citazioni?

    Sapete che in Come Gesù io sostengo che il celibato apostolico è una particolare armonizzazione di amicizia, filiazione divina, e laicità (chissà quando parleremo di laicità…); sostengo anche che il matrimonio è indissolubile perché si crea un “nuovo solo corpo”. Queste due cose sembrano irriducibili nei discorsi sulla fedeltà nel matrimonio e la fedeltà nel celibato. Ora, un po’ lo sono, ma bisogna anche aver presente che in Dio “tutto si tocca” e che se fossimo rimasti nel paradiso terrestre tutti i conti sarebbero tornati. Il fatto è che le parole che dice Gesù del rapporto tra lui e il Padre ( e questa “cosa” si chiama filiazione divina) e quella della Genesi sul matrimonio, sono quasi uguali: «Io e il Padre siamo una cosa sola» (Gv 10, 30; Gv 17,11.22 ecc) e: «e i due saranno un’unica carne» (Genesi 2, 24). E’ vero o no che sono veramente molto simili?

    Il fatto è che la distanza tra fedeltà e verità (che in Dio sono una sola cosa per questo Dio è l’unico ad essere fedele veramente) è segnata dall’inadeguata idea di libertà che spesso ciascuno di noi ha. “«Qual è la mia strada? Come faccio a capire il mio cammino?» La metafora della vocazione come cammino (via, strada),
    così tradizionale e così utile per tanti versi, ha il limite di trasmettere l’idea che la vocazione sia qualcosa che esista esternamente a chi si interroga. (…) Il limite principale dell’immagine della via è che essa contiene un’inadeguata nozione di libertà. In pratica la libertà a cui ci si riferisce nella metafora del sentiero è semplicemente quella di decidere se cominciare o non cominciare e, una volta cominciato, se proseguire, arrestarsi o tornare indietro. Ma quest’ idea di libertà, anche se utile per certi versi, è troppo misera per un essere umano perché nell’uomo il senso ultimo della libertà sta nell’amore: la libertà è la condizione previa dell’amare, del donarsi.” (Come Gesù p. 240)

  48. Mauro Leonardi ha detto:

    Noi non lo diciamo a Polifemo… ma ho saputo che c’è qualcuno che fa il copia incolla di tutti i suoi interventi…

  49. Antonio ha detto:

    La libertà è una possibilità per l’uomo di essere migliore … diceva Camus.

    A me veniva in mente che la coppia sponsale … in fondo … è celibe. Sta nel mondo da celibe, sono solo i coniugi ad essere sposati.

    “L’amicizia è il modo con il quale Cristo ha scelto di amarci” … è una frase che ho letto nel blog. Non è una frase troppo “umana”? Non è che in Cristo Eros, Amicizia e Carità sono la stessa cosa?

  50. Antonio ha detto:

    Anche se il mio preferito è : “Don Ma’… per me scrptum e scrittum so’ uguali”

  51. La sciagurata rispose ha detto:

    Si dai apri un blog dal titolo ‘donne amanti ‘ !! Vedrai che avrà successo ;-)

  52. Dory ha detto:

    @ Don Giampaolo…Sì ci siamo spiegati; apprezzo quello che ha detto e Le chiedo scusa se ho usato toni un pò vivaci, ma sul tema diciamo che sono un pò sensibile!.
    Ancora però non mi convince questa sua convinzione della dipendenza della donna dall’uomo…Guardi che nel matrimonio è spesso il contrario. Spessissimo. Intelligenti pauca.
    In ogni caso, le consiglio di vedere due film illuminanti a proposito: “Vertigo – La donna che visse due volte” e ” Io ti salverò”: sono due bellissimi film e in ambedue la fascinazione del femminile sull’uomo è travolgente. Per non dire che quasi tutta la letteratura è dominata da donne ora angeli (Beatrice, Laura, etc), ora demoni (Angelica, Armida, Petra) che hanno addirittura determinato la genesi di capolavori…Insomma. Non sono convinta. Quello che dice Lei forse vale, purtroppo, ancora per alcune zone in cui la donna stessa viene ancora educata e allevata all’idea della sottomissione all’uomo…E non è un bel segnale. Dio ha creato la donna traendola fuori dalla costola dell’uomo: cioè in termini non simbolici… Dandole pari dignità. Se avesse voluto che fosse superiore sarebbe nata dalla testa; se l’avesse voluta inferiore e sottomessa dai piedi. Ma viene dalla costola…Deve stare a fianco dell’uomo. Non più indietro. Non più avanti.

    @Antonio – Cosa intendi dire quando asserisci che: “A me veniva in mente che la coppia sponsale … in fondo … è celibe. Sta nel mondo da celibe, sono solo i coniugi ad essere sposati.”? Non ho capito il senso. Potresti spiegarmelo? Grazie!

  53. Anonymous ha detto:

    Vedo il problema della libertà, del cammino e del tempo come aspetti di una stessa realtà.

    Il problema è che non sappiamo cosa sia il tempo.

    un cristiano

  54. Antonio ha detto:

    @dory: Il discorso che fa Gesù a proposito del matrimonio … non sono più due ma una carne sola … è misterioso. Dal matrimonio sembra dover nascere una nuova realtà sovrapersonale trinitaria (formata dai coniugi e da Cristo stesso) a immagine, almeno così sembra a me, della Santissima Trinità. Anche questa realtà, la coppia, ha una sua vocazione nel mondo … una vocazione a cui deve essere fedele non per natura (il matrimonio è indissolubile per natura) ma per volontà (ti ricordi il giovane ricco … se vuoi essere perfetto) . Il coniuge deve essere fedele all’altro coniuge per “natura” … la coppia deve essere fedele alla sua vocazione per volontà. Questa seconda fedeltà mi sembra somigliare alla fedeltà richiesta a chi ha vocazione al celibato. Una coppia non può più diventare una carne sola con qualcos’altro … in questo senso è celibe.
    Non so se sono riuscito a spiegarmi … d’altra parte non è completamente chiaro neanche per me. E’ uno di quei casi in cui dico ciò che sento … senza sapere bene se ciò che sento abbia un fondamento di verità.

  55. Mauro Leonardi ha detto:

    Ti firmi “anonimo” con “un cristiano” nel commento per scelta o perché non riesci a lasciare il nick in nome/url?

  56. Mauro Leonardi ha detto:

    E’ proprio così. Guarda cosa scrivevo nell’introduzione alla meditazione di GP2 in Come Gesù:

    “Il dono in quanto tale, come accade per ogni relazione (che è molto di più che una generica «condivisione»), ha bisogno di due estremi diversi. Per questo Dio, quando iscrive la legge del dono nella creatura umana ha bisogno di creare una coppia in cui unelemento abbia i caratteri della mascolinità e l’altro quelli della femminilità.” (p. 288)

    “Il dono in quanto tale” ha il suo fondamento nella Trinità.

  57. Antonio ha detto:

    Allora è vero che ho la “leonardite”, come dice un mio amico barese :-)

  58. Domenica ha detto:

    Sì, ma “la testa in Cielo e i piedi per terra”…

  59. Anonymous ha detto:

    Ovviamente….per scelta

    un cristiano

  60. Giaa Paolo Colò ha detto:

    Dory. Sono convintissimo di quello che dici tu circa la fondamentale importanza del ruolo della donna, in ogni epoca e in ogni situazione. Mi piacerebbe che i fans dell’emancipazione della donna dall’Ottocento in poi potessero disporre di studi che mostrino l’influenza della donna sulla storia degli uomini ( economica,politica, artistica, ecc. ) come ispiratrici e spesso come protagoniste della storia. Però mi pare che la storiografia sia stata fatta dagli uomini e gli uomini spesso si “accorgono” di una cosa sola su cui sono concentrati, mentre tante altre ne accadono intorno a loro, di cui non si rendono conto e che forse sono orchestrate da donne.
    Forse le donne non si sono dedicate a fare la storiografia perchè erano troppo impegnate nel compito quotidiano di prendersi cura dell’uomo e quindi di “fare la sotria vera” e perchè avevano già capito che la storia non le fanno le battaglie ma le vicende quotidiane.
    Non credere che in Sicilia le cose siano andate diversamente. Le famiglie nobili del secolo scorso cercavano per le donne una istitutrice tedesca che ne faceva persone d’acciaio, pilastro della famiglia, mentre i mariti passavano il tempo al circolo erodendo piano piano il patrimonio familiare difeso dalla moglie. Si tratta di generalizzazioni, certo, ma che andrebbero approfondite. Vorrei avere altre 7 vite per poter approfondire queste cose, ma la mia generazioni – o almeno a me è capitato così – ha dovuto passare più tempo a costruire la vita, più che a studiarla.
    La mia osservazione di si riferisce al fatto di una dipendenza soggettiva, intima, spesso nemmeno tanto consapevole, delle donne dal giudizio dell’uomo che non di rado resiste ad ogni tentativo di ridimensionamento da me posto in atto. E’ uscito ora un libro di una pediatra e psicologa americana sull’importanza del ruolo del padre nell’educazione della figlia che ho cominciato a leggere e che sembra confermare , anzi accentuare in modo sorprendete la mia convinzione.
    Insisto su questo tema perchè mi sembra vitale nel momento di evoluzione della cultura antropologica che stiamo vivendo. Non so che lavoro tu faccia, ma se fossi insegnante mi pare che potresti fare un lavoro bellissimo e fornire a tutti noi un materiale utile anche per i temi del blog. Totalmente solidale, anche se sempre con un pizzico di mito del cavaliere.

  61. Giaa Paolo Colò ha detto:

    Intuizione folgorante e inquietante che giro a tutti ( forse l’avete già risolta ): non starò facendo un “grande fratello” psico-spirituale?

  62. Mauro Leonardi ha detto:

    @Gianpaolo, a proposito della tua paura…
    Poiché è chiaro che questo è “il blog di tutti” oso dire una cosa bella che non va attribuita a me ma a tutti no. Sono già parecchie le persone che mi ringraziano in via privata perché il blog le sta aiutando a vivere meglio la propria vocazione, e a ritornare sulla scelta di “lasciare”. Non sto parlando solo di persone che hanno deciso di dare la vita a Dio nel celibato apostolico o nel matrimonio. Parlo anche di monache di clausura (più di una), o di gente “qualsiasi” (che brutta parola: siamo tutti qualsiasi…). Persone costrette al celibato perché abbandonate dal marito (e viceversa) o omosessuali. So poi di amicizie che stanno avvenendo attraverso e oltre il blog. Questo è normale perché attraverso facebbok (le mie pagine su fb sono totalmente aperte e pertanto chiunque può guardare cosa c’è) o la mia mail “pubblica” si facilitano i rapporti. Rapporti che – ovviamente – vanno oltre me.

    Questa premessa – necessaria – mi permette di risolvere il dubbiosi Gianpaolo. Su questo blog ci sono molte persone che hanno competenze “specifiche” in campi che vengono toccate dalle Discussioni, ma quando intervengono lo fanno non da “esperti” ma da amici. C’è stato qualche esperto (soprattutto psichiatri… e non sto pensando al mio amico Francesco Cecere…) che si è infastidito, ma abbiamo lasciato che si infastidisse… Un sacerdote quindi, Gianpaolo, non è altro che un “esperto” di certe cose che però viene qui semplicemente da amico. Cosa intendo con ciò, se permetti, lo spiego semplicemente con la citazione di Come Gesù che metto qui sotto, perché riguarda la differenza tra l’amicizia e la direzione spirituale. Grazie!

  63. Mauro Leonardi ha detto:

    “A mio parere il punto decisivo della soluzione, comunque spesso faticosa e impegnativa, è evitare di parlare tra amici del proprio rapporto con Dio cercando consigli come se si parlasse con il direttore spirituale. Come ho già detto, amicizia e direzione spirituale sono due cose diverse. Non bisogna dimenticare che l’amicizia è una relazione paritaria, di reciprocità, mentre la direzione spirituale non lo
    è, anche se certamente l’amicizia di un cristiano veramente cristiano e veramente amico presenta molti aspetti di continuità con la direzione spirituale e a volte ne è la premessa. Perciò se parlo con i miei amici del mio rapporto con Dio non lo faccio per ricevere o dare consigli, perché la confidenza che ho con loro non è dello stesso genere di quella che ho con il mio direttore spirituale. L’amicizia non è dare consigli. Per lo meno non nello stesso senso in cui si parla di «consigli» nella direzione spirituale (e va bene usare il sostantivo «consigli», perché la virtù della direzione spirituale è la docilità non l’obbedienza). L’amicizia è «passeggiare», come dicevo più sopra. E rimango convinto che il miglior modo di definire l’amicizia usando una sola parola sia proprio questo: passeggiare. Farsi compagnia con tutti i propri limiti, senza preoccuparsi di mostrarsi migliori o di nascondersi. Ci facciamo compagnia vivendo la nostra vita e cercando di essere noi stessi. Chi capisce che cosa intendo senza ombra di dubbio capirà quanto è diversa dalla direzione spirituale. La vita non è facile per nessuno.
    Ognuno ha i suoi pesi e le sue battaglie e le più diffidili sono quelle che combattiamo dentro di noi e da soli. Non è amicizia caricare i propri pesi sulle spalle dell’amico (ma invece spesso carichiamo sulle spalle del nostro direttore spirituale tanti nostri pesi). E neppure caricarsi in senso sbagliato sulle proprie i pesi dell’amico (ma se siamo direttori spirituali tanti pesi degli altri dobbiamo caricarceli).
    Questa seconda cosa poi può essere anche più difficile della prima. Eppure è chiaro che dare la vita per gli amici non vuol dire sostituirsi a loro. Vuol dire dare loro la parte più vera di noi. Cioè lasciarci
    conoscere e amare. Ed essere disposti a conoscere e ad amare quello che l’altro ci offre di sé. A volte ci sono amici che sembrano voler fare di tutto per farsi del male. E noi siamo lì a raccogliere le loro confidenze: come amici intendo, non come direttori spirituali.
    (continua)

  64. Mauro Leonardi ha detto:

    Io, quando mi succede, mi sento una cosa sola con l’amico e mi sento in colpa come se fossi io in prima persona a vivere quel male che mi racconta. E mi sento tradito da quel suo farsi del male, non perché credo che l’altro mi debba qualcosa, ma perché mi fa arrabbiare. E mi sento impotente perché nulla posso fare se non lasciargli lo spazio che vuole perché se lo prenda quando vuole ed essere disposto a che questo spazio rimanga vuoto. Succede. È bello essere casa per i propri amici. È riposo. È compagnia. Anche se può non piacere rimanere una casa vuota che aspetta e che raccoglie, e che a
    volte raccoglie solo spazzatura o avanzi. Che poi uno lo sa che magari quegli avanzi sono la cosa più bella che può custodire ed è un privilegio poterli raccogliere. Ecco, tutto questo con la direzione spirituale c’entra ben poco, perché un direttore spirituale i consigli li deve dare. Per questo bisogna aver presente che il consiglio di un amico non è come il consiglio del direttore spirituale (ora ci sarebbero da fare tutte le precisazioni «tecniche» cui alludevo sopra, ma queste sì che non possono essere sviluppate qui). Il consiglio di un amico è il suo punto di vista, che può servirmi da spunto, oppure non servirmi a niente. Parlare con lui è una cosa bella in sé stessa, perché è bello avere qualcuno che mi ascolta e che mi dona il suo punto di vista, ma il senso del confidarsi dell’amicizia non sta nel consiglio che ricevo dall’amico, ma nell’affidargli qualcosa di mio e nel suo custodire la mia confidenza. E che questo avvenga vicendevolmente. Ma, ripeto, questa reciprocità non è propria del rapporto con il direttore spirituale perché con questi la mia confidenza è di un’altra qualità (non dico migliore o peggiore, dico che è un’altra). Ecco perché l’amicizia è paritaria e la direzione spirituale non lo è. Nell’amico non cerco né una guida né una luce. Cerco compagnia. Poi magari a volte mi si accende anche una luce. Ma non vado dall’amico per farmi dire cosa fare o farmi confermare nelle mie scelte. Quello, per le cose del mio rapporto con Dio, per la mia vita interiore, lo faccio con il direttore
    spirituale. Che per ciò ha una grazia tutta particolare che l’amico non ha. Così come il direttore spirituale non ha la grazia tutta particolare che ha l’amico. La grazia dell’amico è quella di stare sul mio stesso piano, dell’essere immischiato nella mia stessa vita. Se non si fa attenzione a queste sottili ma importanti differenze, si corre il rischio di fraintendimenti che possono portare proprio i cristiani che vogliono prendere Cristo sul serio, a espellere Gesù dalla loro amicizia reciproca. Ma allora che amicizia sarebbe? Mi vengono in mente i discepoli di Emmaus che camminando parlano tra loro di Gesù (cfr Lc 24, 13-35). Si confrontano, si comunicano la loro delusione da amici. Parlano tra loro di Gesù ma da nulla si evince che uno abbia una particolare autorità rispetto all’altro. Lo fanno
    come lo fanno gli amici. E proprio grazie a questo confidarsi reciproco e amicaleappare loro Gesù.
    Se avessero parlato solo del tempo o della partita di calcio o di quanti sono venuti all’attività, come sarebbe andata (Come Gesù pp. 200 – 201)

  65. Giaa Paolo Colò ha detto:

    Mauro. Con il passare degli anni sono sempre più refrattario a due aspetti che riguardano da una parte lo studio teorico, LA DISTINZIONE e dall’altra il costume del nostro tempo, L’ESPERTO.
    Io concepisco il mio rapporto con gli altri in termini il più possibile sintetici: cioè chiunque si rivolge a me troverà sempre me, sia che mi cerchi come esperto, come amico, come direttore spirituale o come volubile tifoso che cambia squadra continuamente.
    Pensare di essere un “ruolo” mi fa venire i brividi e me ne vergogno profondamente quando mi accorgo che mi sono nascosto dietro il “ruolo” fosse pure il ruolo dell’AMICO di ruolo ( Dio ci liberi da questi amici ).
    Se ti riferisci al mio dubbio circa il blog come possibile grande fratello volevo riferirmi al fatto che essendo visibili a tutti mentre non ci intratteniamo con tutti ma con uno in particolare, si può corre il rischio di sconcertare il curioso, che si accosta per la prima volta e assiste dall’esterno ai dialoghi che sono in corso. Si tratta solo di un interrogativo privo di qualsiasi retro-pensiero. E’ semplicemente dire :Toh, potremmo sembrare il Grande Fratello e la domanda “Ci avete mai pensato?” vuol dire proprio ” Ci avete mai pensato?”
    Io penso, invece per quanto riguarda l’amico o il direttore spirituale, penso che tutto confluisca nella coscienza personale che opera liberamente una sintesi e decide. La cosa importante è non usare il direttore spirituale contro l’amico o l’amico contro il direttore spirituale e non tradire l’amico, il direttore spirituale, il marito o la moglie o il proprio rapporto spirituale con Dio con il….blog, assunto a oracolo postmoderno. Ma sono tutte riflessioni culturali, che esprimo non come dubbi, sospetti o riserve, ma come riflessioni perchè i contenuti e le problematiche culturali, spero non troppo tecniche, fanno parte del mio mondo personale.
    Per esempio, a volte succede che arrivano persone che hanno lasciato la famiglia per una conoscenza via chat che non hanno mai visto e questa cosa che sotto un certo profilo mi allarma e mi addolora molto sotto un altro profilo mi mi suscita una curiosità antropologica ( un “stupor” ) che pare sia l’inizio di una conoscenza nuova o più approfondita.
    Tu mi dici che il blog è successo e succede il contrario e me ne rallegro e spero di giovarmene.
    Torno dal funerale di d. Francesco, con la partecipazione di molta gente, nonostante il giorno feriale e l’ora e ho pensato a quanti frutti può portare una vita fedele anche a quasi 90 anni. Buon pranzo.

  66. Tres ha detto:

    “Ci avete mai pensato?” ci chiede @Don Gian Paolo. In effetti proprio in termini di Grande Fratello non mi ero mai soffermata a pensarci. Forse lì, diciamo, che la noia del far nulla in un ambiente finto e la necessità di audience”vizia”velocemente l’aria. Qui non corriamo questo rischio perchè siamo in un certo senso tra di noi, con argomenti che nascono da spunti letterari e di vita e poi si sviluppa tutta la discussione. Essendo una discussione e non una serie di interventi guidati tipo convegno, effettivamente un lettore casuale può trovarsi spiazzato: non c’è un programma della giornata di studi, perchè non lo è. E poi secondo me c’è anche proprio l’impratichirsi dell’uso del mezzo. Io ho notato una cosa Don Giampaolo: sono più le persone come me che hanno un ricordo della vita senza nick name, senza profili, senza amici di fb, senza un’immediata e continua comunicazione che si pongono quesiti e riflessioni. Quando parlo con i miei figli adolescenti e soprattutto guardo l’uso che ne fanno, scopro che loro hanno assolutamente integrato la loro vita di relazione faccia a faccia e quella profilo a profilo. Per loro l’amicizia ha più vie di accesso. Però è veramente interessante questo nuovo mondo di relazioni e mette sul tavolino tante cose date per acquisite: io devo dire sono molto curiosa.
    Un’ultima cosa:sono contenta che il funerale sia stato bello, è così commovente stare uniti. Le sono vicina, da questo computer, nel suo dolore e un pensiero per il suo amico.

  67. Tres ha detto:

    @Don Gian Paolo, io la chiamo così perchè immagino che Giaa Paolo non sia il suo nick name ma un errore. Giusto?

  68. Giaa Paolo Colò ha detto:

    Giusto.
    Grazie delle preghiere e della vicinanza. Dobbiamo trovare il modo e la via per far sì che queste nuove generazioni trovino la via della fedeltà e della donazione, anche quando costa sacrificio. Le preghiere sono fondamentali ma bisogna anche capire.

  69. Ester ha detto:

    Il celibato dispensabile! Hai ragione MM spesso e volentieri nessuno parla mai di questa realtà. Il terrorismo di cui parli è una forma di paura ed il modo migliore per far scappare la gente, i giovani di oggi soprattutto… scrivo questo perché ho fatto una chiacchierata interessante con la ragazza che è arrivata da qualche mese qui da noi e sta cercando di capire se questa sia la sua vocazione. È quella per intenderci che mi ruba un po’ del mio tempo ultimamente per andare a correre o per stare un po’ insieme a ‘far niente’…
    Il succo del discorso che mi ha fatto è stato più o meno questo: “io qui sto proprio bene, sento che la mia libertà sta crescendo e che si sciolgono in me nodi e dubbi… però non riesco ancora a dire ‘questo è il mio posto’. Non voglio neppure darmi un tempo per decidermi, voglio solo vivere dentro questa storia e intanto provare a donarmi”.
    Se di fronte a queste affermazioni le avessi detto ‘senti prima o poi bisogna decidersi’ o ‘una chiamata è una chiamata ed è irrevocabile’, probabilmente le avrei fatto solo del male… le ho detto semplicemente ‘fammi un po’ pensare a questa cosa’.
    E allora sto pensando…a quel ‘stare nella storia e provare a donarmi’… mi piace questa affermazione, ma come la coniugo con le istituzioni i tempi… c’è qualcuno che mi aiuta?!

  70. fefral ha detto:

    “Io, quando mi succede, mi sento una cosa sola con l’amico e mi sento in colpa come se fossi io in prima persona a vivere quel male che mi racconta. E mi sento tradito da quel suo farsi del male, non perché credo che l’altro mi debba qualcosa, ma perché mi fa arrabbiare. E mi sento impotente perché nulla posso fare se non lasciargli lo spazio che vuole perché se lo prenda quando vuole ed essere disposto a che questo spazio rimanga vuoto”
    @don Mauro leggendo queste parole e anche quelle che seguono sembra che l’amicizia sia più faticosa e difficile della direzione spirituale. In fondo il direttore spirituale ha un compito e un ruolo nella sua relazione con il “diretto”. L’amico invece no.
    Mi viene da pensare ad alcune persone concrete che non riuscendo a relazionarsi in amicizia con quelli che hanno accanto (parlo di persone che vivono vocazioni specifiche in cui magari capita loro di avere anche incarichi di direzione spirituale) si fanno scudo del ruolo di direttori spirituali. Per cui con queste persone è difficilissimo avere un rapporto alla pari e fatto di reciprocità gratuita, perchè l’unica cosa che fanno è dare consigli e spiegare la verità.

  71. Giaa Paolo Colò ha detto:

    Ester io credo che occorre incoraggiare la persona in questione a parlare con Dio chiedendogli di vedere con pazienza e con speranza. E’ Gesù che ha detto che il Padre celeste darà con sollecitudine lo spirito buono a chi glielo chiede. E’ Dio che chiama e che aspetta con le braccia aperte la persona. Ho sentito raccontare da un giapponese, pagano, da poco battezzato, che sull’orizzonte della coscienza era apparsa la possibilità di abbracciare il celibato; gli fu consigliato di parlarne con il Signore nell’orazione personale e nel ringraziamento dopo la comunione. Adesso è felicemente sacerdote e ha fatto cose bellissime. Credo che dobbiamo consigliare di dare spazio al Signore che il protagonista di tutte le vicende vocazionali. La presenza fraterna e amichevole può solo incoraggiare la persona a non ripiegarsi su se stessa a fare calcoli ma a mantenersi aperta all’azione di Dio. Mi ha sempre convinto l’argomento di pensare che se uno si butta nelle braccia di Dio certo dio non si scansa e gli lascia sbattere il naso per terra. Se uno prova a donarsi e a confidare certo il Signore non lo abbandona. Nel mio caso personalissimo ha funzionato. Però un po’ di rischio bisogna pur correrlo. Io credo anche che rivolgersi a Gesù e dirgli:”Mo’ che le diciamo ?” può essere una buona strada. Auguri. Farò il tifo per te e per la ragazza.

  72. MM. ha detto:

    @Ester..secondo me la ragazza sa benissimo che non può continuare in eterno aspettando di stare nella storia. Lei sa già quello che deve fare, ha bisogno di sentire che non sta “lì dentro” solo per Dio (che magari in questo momento sente lontano, ma non lo so..) ma che ci sta perchè per esempio ci sei tu, che le vuoi bene a prescindere ed è felice di condividere con te questa vocazione perchè è felice quando ci sei tu con lei. Poi magari scopre che veramente quello non è il posto per lei, e allora? Meglio così. Tu la stai accompagnando nella scoperta della verità su se stessa. Poi ci sono le istituzioni e i tempi..non so che dirti, cioè io direi che l’istituzione dovrebbe sostenere la persona, quindi forse i tempi si possono allungare???

  73. Mauro Leonardi ha detto:

    @Ester
    Secondo me la risposta che hai dato alla ragazza è meravigliosa… nel senso che è vera! Poi è bellissimo “stare nella storia” perché solo lì si sperimenta veramente la pazienza di Dio, ovvero che Lui è il Signore della storia vera, la nostra storia personale. E’ nella storia vera, reale quotidiana, dove fedeltà e verità si toccano, cioè dove incontro l’unica vera possibilità per me di essere fedele: entrando nella fedeltà di Dio. Magari un’altra volta ti racconto quella che io chiamo “la teologia del sentierino”. Aggiungo una bellissima citazione di Josemaría Escrivá: “Se la mia testimonianza personale può avere qualche interesse, posso dire che ho concepito il mio lavoro di sacerdote e di pastore di anime come un compito volto a porre ciascuno di fronte a tutte le esigenze della sua vita, aiutandolo a scoprire ciò che in concreto Dio gli chiede, senza porre alcun limite a quella santa indipendenza e a quella benedetta responsabilità personale che sono le caratteristiche proprie della coscienza cristiana. Questo spirito e questo modo di agire si basano sul rispetto per la trascendenza della verità rivelata e sull’amore per la libertà della creatura umana. Potrei aggiungere che si basano anche sulla certezza della indeterminazione della storia, aperta a molteplici possibilità che Dio non ha voluto precludere Seguire Cristo non vuol dire rifugiarsi nel tempio, scrollando le spalle davanti allo sviluppo della società, alle conquiste o agli errori degli uomini e dei popoli. “(E’ Gesù, n. 99)

    Capito? La certezza della indeterminazione della storia, aperta a molteplici possibilità!!!

  74. Mauro Leonardi ha detto:

    @Fefral
    Tenderei proprio a darti ragione… anche se è vero che poi per ciascuno…. ma comunque è proprio vero che essere sul serio amici avvolte coste proprio tanto!!!

  75. MM. ha detto:

    Ora capisco perchè piuttosto che lasciarsi andare alla “indeterminazione della storia, aperta a molteplici possibilità” è più semplice dire “Dio ti ha scelta dall’eternità”..dà un certo senso di sicurezza! e di controllo. :) ma ti fa morire dentro. Grazie Ester e dMauro! e dGianpà!

    Una cosa vorrei dire su direzione spirituale e amicizia..quando un direttore spirituale conosce tanto bene i meandri di un’anima, può essere che quest’anima, che ha anche un corpo, voglia farsela una passeggiata con il direttore spirituale, perché gli vuole un gran bene..

  76. fefral ha detto:

    MM. eppure quello che scrivi non mi convince fino in fondo. E’ bello e vero che Dio lo ami nelle persone, lo trovi nelle persone. Ma la vocazione è per ognuno la propria storia di amicizia con Dio. Se uno vive una vocazione al celibato (parliamo di vocazione per motivi religiosi, non un celibato per ragioni umane) non può dire che non sta dove sta solo per Dio. Se non è per Dio che l’amica di Ester rimane dove sta allora meglio se va via subito. Se non è Dio la ragione profonda della sua vita, l’amicizia di Ester può farla star bene per un po’, ma non può bastare.

  77. fefral ha detto:

    nooo, io andarmene a passeggio con un prete vestito da prete non ci vado, anche se è mio amico :-)
    Però chissà, magari una birra!

  78. fefral ha detto:

    non è solo che costa, don Ma’. E’ che a volte è proprio difficile. Cioè è molto più facile mettersi a dare consigli che non darne, è molto più facile provare a controllare, dirigere, spiegare, che semplicemente accogliere e condividere e amare l’altro per come è.

  79. Paola ha detto:

    Pensavo a quanto scrivo da MM e all’amica di Ester all’indissolubilità del matrimonio e alla dispensabilità del celibato.

    Ma il cuore umano è sempre lo stesso! nel celibato e nel matrimonio

    Il mio matrimonio pur indissolubile o me lo scelgo ogni giorno o non sto vivendo.
    E ci sono giorni il cui Dio ti chiede davvero qualcosa di più che tu pensi proprio di non farcela. O ti chiede di stare in quella situazione inaspettata e tu stai proprio sognando di essere altrove.
    E allora anche tu, decisamente non celibe, hai paura di vivere il tuo adesso, di prendere il largo perché sempre nella tua vita non sei tu a segnare il tragitto della tua barca. Tu puoi solo attrezzarti per non scarrocciare.

    E’ proprio come la “dolorosa notte” dell’anima di Madre Teresa di Calcutta; lei, santa, e quindi felice anche nella dolorosa notte, si aggrappava alla preghiera, da cui non riceveva consolazioni, e soprattutto si spendeva nella vita degli altri.

    Così io, quando non ce la faccio, mi perdo nello sguardo di mio marito e dei miei figli (miei è un errore sostanziale posto che io a 20 anni, studentessa d’economia, andavo fermamente sostenendo che non volevo figli) così come l’amica di Ester si perde nello sguardo della sua amica.

    In fondo perdersi è l’unico modo per trovare un posto introvabile (da: I pirati dei Caraibi).

  80. Antonio ha detto:

    Non so se questo tema che sottintende @fefral del celibato dei religiosi e del celibato “per ragioni umane” sia stato affrontato già in qualche altra discussione. Naturalmente è un tema affrontato da @donMauro nel suo libro.
    Ascoltando una video intervista molto bella concessa qualche anno fa da Andrea Feehery, una numeraria ausiliare dell’Opus Dei(l’intervista è sul web, si può ascoltare cliccando qui) si comprendono molte cose.
    Lei parlando di sè dice: “questa è la mia vocazione: essere a disposizione degli altri”. Questo essere a disposizione può significare, per alcuni, essere chiamati a “vivere il celibato” … ma non “per distinguersi” da chi non lo vive (ossia per testimoniare agli uomini che non esiste soltanto una realtà terrena … testimonianza quanto mai necessaria!). Direi che la vocazione al celibato “per motivi umani” è finalizzata ad avere tutto il tempo che occorre per aiutare i cristiani comuni (che in gran parte sono “sposati”) a vivere in modo sempre più pieno la loro vocazione. Questa vocazione dei cristiani comuni poi non è che sia diversa da quella dei cristiani che vivono il celibato per motivi umani: anche le persone sposate devono “essere a disposizione degli altri” … ma non soltanto come singolo, come famiglia.
    Se non ci fosse il matrimonio, la vocazione al celibato “per motivi umani”, secondo me, non avrebbe senso, mentre avrebbe senso la vocazione al celibato per motivi religiosi.

  81. Giaa Paolo Colò ha detto:

    fefral. Stiamo andando molto d’accordo, ma non te lo dico sennò tiri fuori gli aculei…..Mi piacciono le risposte che dai a MM e le condivido in pieno, compreso l’andare a passeggio con un prete perchè ti capisce tanto e ha un corpo. Accontentiamoci che abbia un cuore, una esperienza umana e la metta a disposizione. In ogni caso, se si va a passeggio con un prete è meglio che sia vestito da prete; anzi che sia vestito sempre da prete anche nei nostri pensieri. E’ solo uno strumento di Dio, attraverso cui Dio ci fa arrivare la sua parola con inflessioni umane. E poi meglio della birra….è un bel gelato!
    Credo che occorra pregare per tutte le persone che hanno ruoli orientativi perchè non mettano il cuore nell’armadio e prendano in mano i regolamenti.
    Guarda però che questo succede anche ai genitori che a volte si nascondono dietro ai ruoli o addirittura al codice civile.
    Ci sono le frasi celebri ” Questo a tuo padre non lo devi dire. Io sono tuo padre e mi devi ubbidire ”
    Spesso se uno si riduce a questo, vuol dire che non stato in grado di guadagnarsi i galloni di padre o meritare il rispetto dei figli oppure che in quel momento ha un black aut di autorevolezza ed è meglio lasciar perdere per un altro momento.
    La cosa più bella che ho scoperto da poco, è l’assurdità di una frase che sentivo da una vita: ” Quando avrai 18 anni potrai fare quello che ti pare ma fino ad allora dovrai fare quello che ti dico”. che tradotto per me suona così” Il bene e il male sono stabiliti dal calendario e dal codice civile. Io sono un uomo e un padre per l’autorità conferitimi e nei termini stabiliti dalla repubblica italiana. I valori in cui credo e che ti ho insegnato, hanno una scadenza come lo yogurt e poi si possono buttare”.
    Enfatizzo un po’, forse esaspero ma voglio dire che tutti debbono stare attenti perchè possono cadare dall’umanità al ruolo.
    Forse a volte, chi deve esercitare l’autorità deve puntare i piedi e fare la voce grossa, ma se non lo fa con le lagrime agli occhi e con il cuore ridotto a un pizzico, non otterrà alcun frutto, nè per gli altri nè tanto meno per sè. Grazie dunque Fefral

  82. Antonio ha detto:

    Ho dimenticato di raccontare un episodio personale … ho sentito tante volte la frase “occorre mettere Dio al primo posto”. Questa frase a mia moglie dà fastidio. C’ho pensato su e ho deciso che ha ragione lei … è una frase da religiosi.
    Per me al primo posto c’è lei … solo che devo imparare a guardarla come la guarda Cristo (e non è tanto facile). Questo significa che continueremo a litigare e ad abbracciarci come sempre (anche per Gesù un comportamento da stronzi è un comportamento da stronzi) … ma lo faremo, come dire, da un altro punto di vista.

  83. Tres ha detto:

    No, vi prego, nessuna vocazione sia un essere a disposizione per gli altri ma, come dice Andrea, un farlo perchè mi piace. Dio vuole non che facciamo le cose per Lui ma perchè abbiamo la vita e l’abbiamo in abbondanza. Non sono in missione per conto di Dio, non ti devo orientare e mettermi a disposizione. Andrea, con i suoi pranzetti e la casa ben tenuta e pulita morirebbe in una giornata da casalinga o casalinga/lavoratrice non perchè non saprebbe esserlo o farlo ma perchè non le piacerebbe, non è quello il suo “nome”. Lei, lo dice splendidamente, con lo sguardo,sta bene dove sta: questa è la vera vocazione, secondo me. Totalmente compatibile con quello che ci siamo detti fino ad oggi: niente maschere splendide splendenti, ma vita che sta, a volte sotto i treni, a volte simil favola.

  84. Mauro Leonardi ha detto:

    @Antonio
    Hai scoperto il modo di inserire un link!!! è già la seconda volta che lo fai… Mi spieghi come si fa?

  85. Mauro Leonardi ha detto:

    Con Apple…

  86. Giaa Paolo Colò ha detto:

    Sono a scuola vicino al PC e aspetto persone che vengano a confessarsi – secondo una disponibilità che dò durante la settimana- ma dato che siamo a fine trimestre, le preoccupazioni sono altre e quindi mi resta tempo. Non pensate che sia sfaccendato, clericus vagus o pensionato in cerca di riempire il tempo. Rispondo quindi a vari. D’altra parte- d. Mauro sia lodato-il blog mi aiuta anche a chiarirmi le idee e mi serve come corso di aggiornamento professional-pastorale.
    Antonio. Sei un angelo; mi hai fatto trovare la discussione a cui mi rimandava d. Mauro che intitolerei “Polifemo-gli inizi”. Non l’avrei mai trovata con quella sfilza di sigle che mi aveva dato d. Mauro non pensando al mio semianalfabetismo informatico. Grazie
    Mauro. Ho letto l’intervento di Polifemo e mi ha fatto una grandissima simpatia. Nei miei 10 anni di vita a Roma da studente di liceo e di medicina ho respirato quel clima culturale e ne apprezzo tutto il sapore come della porchetta, di una fojetta e dello sputare le bucce delle “fusaje” dall galleria sulla platea al cinema Trastevere. Perciò Polifemo, magister di umanità, hai tutta la mia simpatia. In Sicilia ci sono altri tipi di sapienza popolare non da caput mundi come quella romana, ma da “semidei” al pane e panelle, alla meusa e alle stigghiole. Se venissi in Sicilia te le farei assaggiare, insieme con i cannoli e la cassata e con un vino straordinario, altro che birra! Non sono un prete crapulone, sia ben chiaro ma anche questo è cultura e fa incarnare l’intelligenza. Fine delle comunicazioni e dei ringraziamenti. Di seguito, se ce la faccio, una considerazione più seria, sul dolore e sulla felicità, nel celibato e nel matromonio, pietra di paragone e scandalo del nostro tempo.

  87. Antonio ha detto:

    No … se voglio creare un link a http://www.corriere.it devo scrivere così:
    Link
    e otterrò: Link

  88. Tres ha detto:

    Che sono meusa e stigghiole?

  89. Antonio ha detto:

    Essere in missione per conto di Dio è una frase che non piace neanche a me, non userei mai questa espressione … eppure l’ “ite missa est” con cui si conclude ogni celebrazione liturgica è la testimonianza che per i cristiani il mondo è terra di missione. L’ultima frase della Messa non è la sigla finale dello spettacolo (… tipo la Messa è finita, buon pranzo a tutti …) ma è un impegno per il futuro. Poi cosa concretamente questo significhi per ciascuno di noi è un problema che dobbiamo risolvere personalmente con chi ci ha dato questo “incarico” (significa credere di essere creatura di fronte al creatore). Che il giogo sia soave è ciò che crediamo per fede … ma secondo ragione il giogo pesa. Non è che Abramo si sia divertito a lasciare la sua casa per andare in giro in cerca della terra promessa … penso che gli piacesse di più stare a casa sua … però sentiva di essere chiamato a farlo e lo fece. E alla fine della sua vita è stato felice di aver fatto quella scelta … ma solo alla fine, quando tutto era compiuto. Durante la sua vita era tutto un gran casino.
    Ora io non sono Abramo, ma le mie cose da lasciare alle spalle nella mia vita ce le ho anch’io … e non mi fa tanto piacere lasciarle.

  90. Tres ha detto:

    Sono sicura @Antonio che hai capito benissimo quello che volevo dire.

  91. Tres ha detto:

    Ite missa est: andate e siate messa. Che ne dici come traduzione?
    La terra è la nostra casa, il nostro hic et nunc di vita eterna.
    A Mosè gli sarà scappata una risata anche in corso d’opera? Ha visto Dio faccia a faccia, parlava con Lui, durante. Altro che felice a fine vita. Però da dove l’hai visto l’argomento del “giogo” che dicevi nel mio commento?

  92. Tres ha detto:

    Scusa, ho parlato di Mosè invece che di Abramo. Ma pure Abramo è stato felice solo a fine vita?

  93. Paola ha detto:

    Tres, credo che ti debba rassegnare alla missione.

    Ite missa est.

    Un approfondimento teologico dell’interpretazione precedente vede nel congedo l’invio in missione del fedele che ha partecipato al rito, ovvero dell’intera assemblea. Spiega Papa Benedetto XVI che nel saluto “Ite, missa est” «ci è dato di cogliere il rapporto tra la Messa celebrata e la missione cristiana nel mondo. Nell’antichità “missa” significava semplicemente “dimissione”. Tuttavia essa ha trovato nell’uso cristiano un significato sempre più profondo. L’espressione “dimissione”, in realtà, si trasforma in “missione”. Questo saluto esprime sinteticamente la natura missionaria della Chiesa. Pertanto, è bene aiutare il popolo di Dio ad approfondire questa dimensione costitutiva della vita ecclesiale, traendone spunto dalla liturgia. »

    (Esortazione Apostolica post-sinodale Sacramentum caritatis, 22 febbraio 2007, n. 51)

  94. Giaa Paolo Colò ha detto:

    Vedo che si va cercando nel matrimonio come nel celibato “propter regnum coelorum” una specie di benessere psicologico, di armonia, un trovarsi bene, una pienezza di affetti che – comprensibile certo e in certo modo frutto della nostra cultura emotiva, salutistica e analgesico-tranquillante – può far perdere il senso della realtà umana e anche cristiana.
    Penso al Vangelo, penso alle storie dei santi, penso alle storie di tante persone che conosco celibi e sposati, penso alla mia storia e a quelli che vivono con me e accanto a me, e tutta ‘sta felicità non la vedo da nessuna parte, anzi vedo una infelicità indotta o accentuata dalla pretesa della felicità.
    Allora ben vengano tutte le delicatezze amichevoli del cuore gentile di d. Mauro, ben venga la difesa robusta dell’amicizia di Fefral, la rispettosissima attenzione di Tres, o l’appassionata difesa delle gioie della famiglia di Paola o la silenziosa cortesia di Antonio, nume tutelare della moderazione e della temperanza nel blog ( non sono etichette, sono affettuosi tentativi di scoprire il vostro identikit spirituale, certo molto poco definito e impreciso ) ma il dolore, la lotta, lo scontro con le proprie e altrui miserie non può essere a mio avviso evitato o attenuato in nessun modo, dovunque ci si trovi e qualunque scelta si sia fatta.
    Quante volte io avrò deluso le persone che stavano con me, le avrò ferite, non le avrò capite anche se ho sempre considerato un mio cavallo di battaglia l’occuparmi degli altri e il voler bene!!!
    Il vangelo è pieno di robusti inviti alla penitenza, al sacrificio, al lasciare, alle potature, alle porte strette, al farsi violenza, alla vigilanza gratuita per l’attesa del padrone, ai servi inutili,ecc.
    Le storie dei santi sono piene di vicende umanamente assurde come la vicenda del beato Scupoli, autore di unfamoso trattato Sul Combattimento spirituale, sospeso per anni da ogni attività pastorale per una accusa infamante e ingiusta ad opera di un santo come s. Alfonso dei Liguori. La storia di Teresa d’Avila presa per vecchia rimbambita da Antonio di Gesù a cui aveva insegnato tutto, s. Giuseppe Calasanzio, cacciato dalla Congragazione da lui fondata :potrei fare un elenco infinito di potature dolorose per portare frutto o la storia di s. Giovanni della Croce rapito e fustigato dai carmeitani calzati i la storia di s. Margherita Alacoque, costretta per anni da una superiora ( che noi definiremmo giustamente nazista e che d. Mauro metterebbe, anche con il mio aiuto al rogo dopo che Fefral le ha mangiato il cuore – scherzo per sdrammatizzare ) a mangiare formaggio che le procurava un vomito irrefrenabile,ecc .
    Tra tutte, potrei citare per le mogli infelici s.Elisabetta Canori Mora tradita e sfruttata da un marito donnaiolo e spendaccione che dopo la sua morte si converte e si fa prete.
    E poi potrei evocare la serie infinita di mariti e di mogli che hanno sofferto per essere fedeli ad un patto mal onorato dall’altro coniuge, per stare accanto a figli cattivi, ingiusti, indegni o dei sacerdoti e religiosi che hanno speso la vita tra gente ingrata, che sono morti per arrivare in missione, prima ancora di cominciare. Tra tutti mi fa una gran simpatia s. Pietro Chanel ( che io nominerei protettore dei…profumi ) che è morto in una sperduta isola dell’Oceania, distrutto dalla fatica di servire i selvaggi che la abitavano, senza riuscire a convertirne nessuno. Lo chiamavano “l’uomo buono” ma questo non ha impedito loro di martirizzarlo.
    Non voglio fare il panegirico del “dolorismo” che non è cristiano: faccio un ritratto di fatti raccolti dalla storia. ( continua )

  95. Giaa Paolo Colò ha detto:

    La meusa è la milza e le stigghiola sono intestini di bue fritti; c’è anche il quarume, intestini lessati. Io ho resistito a tutte le tentazioni. Ho assaggiato solo la meusa e sono statomale solo due giorni.

  96. Tres ha detto:

    Era solo un’opinione e un modo di viverlo mio. Mi sa Paola che ti devi rassegnare alle opinioni e ai modi di vivere degli altri. Grazie per il memorare dottrinale.
    Rassegnare alla missione: godere della missione, lo preferisco.

  97. Antonio ha detto:

    E’ una bella traduzione, femminile … un invito a essere. Assieme all’invito alla missione … che è un invito a fare, c’è la spiegazione del perchè al mondo ci sono uomini e donne. :-)

    La frase “un farlo perché mi piace” che hai scritto mi ha suggerito il paragone … perchè penso che possa essere intesa male. Ci sono tante cose che non mi piacciono ma so che devo farle. Poi hai ragione: “La gloria di Dio è l’uomo vivente!” … non l’ha creato per rompergli le scatole.

    Anch’io penso che non sia compito del direttore spirituale quello di “orientare e mettersi a disposizione” ma solo di “mettersi a disposizione”. Sono io che uso il direttore spirituale, non il contrario. E’ lo strofinaccio che uso per spolverarmi.

    Il direttore spirituale non sa qual è il motivo per cui è al mondo la persona che “dirige” … a meno che questa, per quanto è possibile, non decida di rivelarglielo. Lui non deve creare un uomo nuovo, magari “copiandolo” da un modello che ha in mente, che gli piace … deve fidarsi di quello che ha davanti.

  98. Antonio ha detto:

    Non volevo dire questo … dico che la spiegazione di molte cose che non capiamo un giorno ci sarà … forse sarà domani, forse tra un anno … come dice Jobs nel suo discorso di Stanford, i puntini possiamo unirli solo alla fine.

  99. Giaa Paolo Colò ha detto:

    Peraltro vi è una branca della teologia morale che si chiama teologia spirituale che studia con molta attenzione le vicende della vita affettiva nel rapporto con Dio, nel tempo della vita su questa terra, e riconosce come necessario passare attraverso purificazioni dell’affettività e dell’intelligenza che io ho sempre più chiaramente riferito a quanto previsto nella parabola del seminatore. Mi è capitato di riscontrare la presenza di questo processo di purificazione nella vita di celibi religiosi o nel mondo e di coniugati.
    E la solitudine o l’incomprensione dei buoni è una di queste prove. Si veda, p.e. la testimonianza sintetica ma estremamente espressiva dell’esperinza di s. Josèmaria Escrivà nell’omelia Verso la santità, contenuta nella raccolta Amici di Dio.
    Purtroppo ho visto soccombere diverse persone a queste prove, abbandonando il campo o lasciandosi inaridire e chiudendosi in se stessi, acidi e amreggiati dentro e fuori.
    Insomma non bisogna aver paura di soffrire per essere fedeli al cammino intrapreso con coscienza e non è sempre previsto che la fraternità o l’amicizia o l’affetto del coniuge o dei figli siano l’anestetico sempre a disposizione. Vorrei sapere che ne pensate. Io considero questo come un dato di esperienza assodato, non come una teoria ascetica o spiritual-disincarnata. E mo’ la pianto. Ah, Mauro c’hai fatto a fa’ entra’ nel blog ‘sto chiacchierone.

  100. Paola ha detto:

    Leggi oltre le righe e garbatamente lanci giudizi sulle persone. Io scriveva della rassegnazione riguardo alla traduzione letterale dal latino (missa est) e mai mi sarei permessa di giudicare la tua opinione su come vivi la tua missione che poi al vertice it’s your business in life not in the web.

  101. Paola ha detto:

    No l’anestetico ma una carezza di Dio nella nostra vita

  102. Tres ha detto:

    @Antonio grazie (avevo ringraziato solo Paola perchè non ero tornata “su” a leggere.).
    Don Gian Paolo ha notato che qui, e pure fuori, ogni volta che qualcuno parla di un po’ di fatica un altro gli ricorda la gioia, se qualcuno parla di gioia subito arriva il “ricordati che devi morire”? Sto esagerando i termini però è interessante come persone diverse la pensino uguale e persone uguali la pensino diversa, a giorni alterni, a commenti alterni. Bello secondo me. E molto vivo e vero.

  103. Tres ha detto:

    Paola devo scappare ma non voglio che rimaniamo acidule. Lo sai quanta santità ci abbiamo dovuto mettere io e Dio per quel “garbatamente”? Prima lanciavo giudizi a tortorate, ora garbatamente…grande! Non mi sono sentita giudicata e il tuo aiuto dottrinale era bello. In inglese che volevi dirmi?

  104. Giaa Paolo Colò ha detto:

    Che bella la frase di s. Ireneo che citi. Ci ho messo molto tempo a capirla fino in fondo ma adesso mi aiuta molto: sto diventando “antonista”.
    Devo però manifestare il mio disagio di fronte alle distinzioni: io vado da una persona a cui riconosco la capacità di aiutarmi per farmi aiutare. Poi come finsce si conta, diciamo noi. Qualcosa il Signore farà venir fuori; nello stesso modo accolgo chi si rivolge a me.

  105. Antonio ha detto:

    Come finisce si conta … mi piace. La direzione spirituale non è un intervallo nella vita, anche lì accadono cose … ciò che conta è che sia chiaro che il protagonista della mia direzione spirituale sono io.

  106. Tres ha detto:

    Ok! Io prendo pane e panelle e passo..

  107. MM. ha detto:

    @fefral concordo con te che l’intimità con Dio è necessarissima per perseverare, perchè un’amicizia può non bastare e deve essere Dio la mia ragione profonda, che mi fa perseverare anche se mi separo dalle persone che amo..ma credo che solo Dio non basta, proprio perchè io ho un’anima e un corpo e ho bisogno di sentirmi amata da qualcuno, anche se vivo il celibato e il mio cuore è tutto per Dio. Potrà essere tutto per Dio se è tutto per tutti!
    Mi piace quello che ha scritto Antonio: al primo posto c’è lei. Ecco per me è così:al primo posto c’è Dio, ma Dio nelle persone accanto a me. Non posso amare Dio che non vedo se non amo il prossimo che vedo. Non posso sentire che Dio mi ama se non mi sento amata così come sono.

  108. Paola ha detto:

    bello MM, proprio bello. sono davvero fortunate le tue amiche ad averti vicino

  109. Ester ha detto:

    Grazie degli aiuti… ieri quando ho scritto avevo appena finito di guardare negli occhi questa compagna di viaggio ed ero un po’ con l’animo sospeso. C’è uno spazio di intimità nella vita di ciascuno di noi che nessuno può varcare, ed è lo spazio della preghiera o dell’amicizia con Dio, e chiamiamolo come ci piace. In questo spazio io non posso entrare, posso solo togliermi i sandali come Mosè davanti al roveto ardente, appartiene al mistero e alla vita del volto che ho davanti. Dunque so benissimo che la decisione di rimanere o andare di questa persona appartiene solo a quel suo spazio… Mi faceva semplicemente pensare quel suo porsi in ascolto della storia e della libertà con cui vuole ‘perdere’ tempo per provare a donarsi. Io penso che questa cosa sia sana e se in questo suo giocarsi nella storia ci sono anch’io, allora son qui non per dare consigli (sarebbe un bel guaio!), semplicemente per esserci.
    Antonio è un po’ imprecisa quella vicenda di Abramo. Non è che Abramo ha lasciato la sua terra perché Dio lo ha chiamato, è che Abramo aveva già lasciato Ur dei Caldei con il padre per dirigersi verso Canaan…(Gen 11,31)
    Sembra una sottolineatura un po’ inutile, ma invece è molto bello pensare che Dio interviene nella vita di Abramo e rende nuovo il significato di ciò che lui stava già facendo…. La vocazione non è una cosa che ci piove dal cielo ad un certo momento della nostra vita…. È che ad un certo momento essa si rende ‘evidente’, ma c’era già…
    Grazie MM di quel tutto a tutti!

  110. Antonio ha detto:

    Grazie per la correzione che è utile a sottolineare un fatto importante.

  111. Antonio ha detto:

    Anche se in Gen 12,1 ….

  112. Mauro Leonardi ha detto:

    @Ester
    A me di quello che racconti piace soprattutto una cosa, anche se forse sbaglio nell’immaginarla. Poiché tu l’altro giorno hai scritto che “… ho fatto una chiacchierata interessante con una ragazza che è arrivata da qualche mese qui da noi e sta cercando di capire se questa sia la sua vocazione…”, immagino che “qui da noi” voglia dire una cosa tipo un posto per suore (scusa se sono un po’ approssimativo, e non voglio che tu sia più precisa perché non voglio farti uscire dall’anonimato). Gianpaolo ti ha già detto che le devi dire di pregare, e come consiglio mi sembra buono. Io voglio solo aggiungere che in questo “implicarti” nella vita di quella ragazza c’è la prospettiva di una crescita di relazione: cioè, detto semplice, diventerete amiche e vi vorrete bene. Ecco, sono arrivato al dunque: io penso che a te l’idea che lei un domani possa andare via, cioè che possa non rimanere lì, e quindi ci sia a prospettiva di una separazione, costi moltissimo. E mi sembra bellissimo che tu abbia deciso di volerle bene nonostante ciò. Avresti potuto dire: prega, mortificati e poi decidi liberamente. Farle qualche sorrisino e avvicinarti a lei solo quando si è decisa a rimanere. Sennà tanti saluti e grazie. Ecco il fatto che tu abbia deciso di aprirti all’amicizia, e quindi di soffrire domani una sua possibile assenza mi sembra un modo meraviglioso di pregare per te. E quindi di pregare anche per lei. Grazie a te Ester!

  113. Mauro Leonardi ha detto:

    @Gianpaolo, scusa davvero. Sai che dissento senza rancore. Assolutamente. Ma queste cose mi fanno troppo soffrire….
    Le cose che dici mi sembrano giuste, ma l’impostazione non mi sembra buona. Purtroppo non hai detto – così racconta Edith Stein in Scientia Crucis – che le più grandi sofferenze San Giovanni della Croce le ebbe dai suoi “nuovi” fratelli scalzi, quelli del nuovo ordine, non solo quelli vecchi, ai quali lui si oppose perché volevano centralizzare (regolamentare in qualche modo) la direzione spirituale. Ma non possiamo scrivere un libro, un blog, non solo per lodare san iovanni della Croce che muore dimenticato in un monastero dove il suo peggior nemico spirituale lo angaria, ma anche per dire che hanno sbagliato quelli che si sono comportati così? Ester- nel commento là sopra – ama la nuova entrata non perché ama la croce ma perché vuole essere amica, amare una persona. “Vedo che si va cercando nel matrimonio come nel celibato propter regnum coelorum una specie di benessere psicologico, di armonia, un trovarsi bene, una pienezza di affetti che – comprensibile certo e in certo modo frutto della nostra cultura emotiva, salutistica e analgesico-tranquillante – può far perdere il senso della realtà umana e anche cristiana.” Non so se stessero succedendo queste cose nella Discussione ma Ester sta cercando di essere amica della nuova entrata, e accetta il rischio di soffrirne la sua assenza futura. La croce è conseguenza dell’amare le persone. Io non so se eri amico di quel sacerdote che è morto. Eri amico? E’ una domanda che mi faccio spesso, e spessissimo risondo che non lo sono: e qualche volta non lo sono non per colpa mia ma perché con i “fratelli di viaggio” non è facile parlare del nostro sogno alla pari, cioè non nel senso che lui spiega a me o che io spiego a lui. Sono contento che tu dica “chiunque si rivolge a me troverà sempre me, sia che mi cerchi come esperto, come amico, come direttore spirituale o come volubile tifoso che cambia squadra continuamente.
    Pensare di essere un ruolo mi fa venire i brividi e me ne vergogno profondamente quando mi accorgo che mi sono nascosto dietro il ruolo fosse pure il ruolo dell’AMICO di ruolo ( Dio ci liberi da questi amici ).” Temo però che non basti dire “in me troverà sempre l’amico e non un ruolo”: i ruoli sono molto più insidiosi di quanto si pensi…

  114. Mauro Leonardi ha detto:

    Ripropongo un mio commento degli inizi di questa Discussione:
    … se viene da me una monaca di clausura che mi dice che nel suo monastero “la vita di comunità è insopportabile, altro che carità” io, dopo che gli ho dato i consigli spirituali, da chi la mando? da nessuno. E non perché loro essendo di clausura non vanno da nessuna parte, ma perché il problema è causato da noi preti e frati che alle suore di clausura, invece di dare “anche” consigli soprannaturali, diamo “solo” quelli soprannaturali (parlo per conoscenza diretta e per conoscenza indiretta di altri sacerdoti che seguono altri monasteri). So di un monastero che, al freddo di quest’inverno, è stato dieci giorni con – 4° gradi in casa (non in tutta la casa ma in buona parte sì). Non era in alto adige ma in una cittadina del centro italia: e avrebbero i soldi per comprare il gasolio perché hanno il riscaldamento, ma non lo fanno per povertà; uno dove le monache che vivono astinenze e digiuni rigorosissimi, hanno il colesterolo perché a volte regalano loro il formaggio, e mangiano solo formaggio per tre mesi: e avrebbero i soldi per comprare altro ma non lo fanno “per povertà”; alcune hanno tumori che non curano perché “come si fa a andare in ospedale?”: e non ci vanno per amore della croce; usano utensili per tagliare l’erba di settanta anni fa: e non li cambiano per povertà; trattano il rapporto con le famiglie di origine come quando le famiglie erano di dieci figli, non come adesso dove al massimo di figli ce ne sono due, e quello che è rimasto a casa si disinteressa nel modo più completo dei suoi vecchi: e non cambiano perché devono essere “distaccate”; non riescono a parlare tra di loro di nulla, perché quando avrebbero da parlare di qualche problema la risposta c’è già: prega, offri, la Croce. Che sono le risposte che diciamo noi preti quando facciamo loro le nostre belle omelie. Non so se la lettera di Padre Aldo è vera. Sulla parte dell’innamoramento non credo tanto. Per carità, ce ne sono suore che se ne vanno innamorate: ma sono soprattutto i frati e i preti che se ne vanno con le catechiste – quando va bene e non se ne vanno con le donne sposate – non tanto le suore. Le suore, semplicemente, non ce la fanno più ed escono. Escono in tante sai? Non come dice Avvenire. Escono proprio tante. Ma – spero di non scandalizzare – ce l’avessero un uomo che le abbraccia! Non hanno nessuno. Non hanno un lavoro, perché non sanno fare niente. Non hanno neppure i documenti più minimi. Non hanno una casa. Non hanno dei parenti perché loro, le suore, i propri parenti li hanno abbandonati, magari non sono neanche andate ai funerali. E chi la rivuole in casa una donna di cinquant’anni che non ha un euro, che è mezza depressa, che non sa fare nulla e che è pure brutta (nei monasteri non ci sono le beauty farm). Escono e cominciano a girare. Vanno alla Caritas. Ogni tanto qualche prete le aiuta. E poi, se va bene, finiscono in un ospizio. E si sentono dire che devono guardare a Cristo da qualcuno che non ha capito proprio nulla di chi è Cristo perché secondo me non l’ha mai guardato, che non ha idea di cos’è la civiltà che Gesù Cristo ha fatto nascere dalla propria morte e resurrezione. Una civiltà che accoglie tutti. Anche quelli che a Cristo non ci credono. E questa sai cos’è Molti No? È pigrizia di noi preti, pavadità di noi frati, paura di guardare dentro la nostra proprio anima, e nessuna voglia di interrogarsi davvero quando preghi. La sai la barzelletta del bagnino che mangia gli spaghetti sulla spiaggia quando vede arrivare il naufrago? Questi lo guarda mentre mangia e il bagnino gli chiede: “hai mangiato?”. Il naufrago illudendosi che il bagnino stia per rifocillarlo geme con un sorriso incerto: “no!”. “Allora puoi tuffarti” dice il bagnino.

  115. Mauro Leonardi ha detto:

    Gianpaolo lo dico per me non per te.
    Dobbiamo smetterla di dire che la caratteristica essenziale del cristianesimo è l’amore alla croce. La caratteristica essenziale del cristianesimo è l’amore a Dio attraverso l’amore al prossimo, cioè dare la vita a Dio dandola al prossimo. Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi. Se io do la vita, muoio. Ecco dove nasce la croce. La croce è la conseguenza dell’amore. Ma cerco l’amore non la croce. Il Verbo non si è incarnato per amore della croce ma per amore degli uomini. Anzi per dare la vita al Padre, nel tempo, dandola agli uomini. Per questo ha trovato la morte. Perché l’uomo viva. Perché questa è la volontà del Padre.
    Grazie.

  116. Giaa Paolo Colò ha detto:

    Caro Mauro, sono troppo ferito per rispondere: scuso tutto, anche la croce di non essere capito e frainteso per un pregiudizio diverso da quello che dico. Chiedo agli altri di dirmi se ho scritto quello che dalla risposta di d. Mauro, pare che abbia scritto. Io non mando nessuno ad annegarsi con la scusa della Croce. Poi risponderò ma sinceramente sconcertato da una lettura preconcetta a francamente GNOSTICA di quello che ho detto. Non si può riformare il cristianesimo per la tua condivisibilissima e dolorosa esperienza delle suore di clausura. Questyo si chiama ragionare per emozioni e non con l’intelligenza illuminata dalla fede e dallo studio sereno del cristianesimo e della storia. Scusami e buona giornata.

  117. Lidia ha detto:

    Don Gianpaolo, io almeno dal suo commento non ho letto un dire che la croce ce la dobbiamo cercare!
    Però quel che ho capito è che tutte quelle sofferenze di cui lei parla potevano – dovevano!- essere evitate. Cioè, la superiora di S.Maria Alacoque o i fratelli di S.Giovanni della Croce si sono comportati in maniera del tutto anti-cristiana, e sinceramente non me ne importa niente che l’abbiano fatto per un malinteso amore di Dio.
    è proprio questo il punto: quell’amore è MALINTESO. Ma io mi chiedo, queste persone un momento fermi a pregare pensando “Ma Dio davvero vuole che questa mia sorella vomiti tutti i giorni? Ma Dio è felice e soddisfatto che io fustighi questo padre spirituale?” l’hanno mai passato?
    Io trasecolo. Del resto, anche a me è capitato di sentirmi dire cose da persone diciamo “compagne di viaggio” davanti alle quali mi sono chiesta, seriamente: “Ma qui scherziamo, o cosa?”.
    Un esempio, tanto qua nessuno capirà nulla. Anni e anni fa io andavo a incontri di formazione in una data struttura, ed eravamo divisi in gruppi diversi, per comodità. Ma io conoscevo benissimo le persone dell’altro gruppo, perché ne avevo fatto parte per anni. Una volta è successo che loro abbiano organizzato una festa di compeanno per una persona che viveva lì, e che io conoscevo perfettamente da tempo, e, pur sapendo che io ero lì quel giorno, mi hanno detto “Mi spiace, non sei di questo gruppo, perciò non ti abbiamo invitato”. E quando ho detto a una persona, ma sai, mi è spiaciuto…mi ha detto “beh la prossima volta dillo se ti senti esclusa”. Così, senza nemmeno dire “oh sai, mi spiace”.
    Ok, è una cretinata, e ma io mi sono chiesta per vario tempo “ma…e i discorsi sulla carità, l’amore, l’amicizia, la fraternità e quant’altro?”. Vabbè. Sicuramente c’erano motivi organizzativi e quanto, ma che cavolo, mi sa che l’ordine delle priorità era un attimo da rivedere.
    Ora, io penso che quel che lei voleva dire è che non si può dire “io me ne vado” perché si sono comportati male con me. E su questo ha ragione! però, caspita, bisogna pur dirlo che certi comportamenti sono molto diffusi fra cristiani (a tutti i livelli: dalla parrocchia alla Curia) e che finché non cambieranno noi cristiani su questa terra facciamo l’inferno, altro che paradiso. Secondo me è per questo che prostitute e ladri andranno in cielo ben prima di noi.
    Allora ben venga una difesa della fedeltà a prescindere dai comportamenti altrui, lei ha perfettamente ragione in questo, ma ben venga pure un dire “eh mo’ basta torturare il prossimo con la scusa del “ma si fa così” “ma è Dio che vuole così” “ma il fondatore/fondatrice ha detto così (magari secoli prima, nell’Alto Medioevo)””. E chissene importa, Dio non sta certo a guardare alle regole, agli statuti o quant’altro. Poi l’amore va coniugato nella verità per non diventare libertinaggio, è vero, ma ricordando sempre che noi siamo qui per amare e la croce non dovrebbe proprio esistere, almeno quelle che si possono evitare. Non so se sono eretica, spero di no. Ma mi sono scocciata di vedere gente soffrire per anni per motivi del genere e poi ci lamentiamo pure che le vocazioni sono poche.
    Ok che la croce ci sarà sempre, e che non si può pretendere la felicità sempiterna (da questa pretesa idiota nascono migliaia di divorzi e di “abbandoni” di vocazioni) ma abbiamo anche il coraggio di dire che troppo spesso noi cristiani (io per prima) queste croci le provochiamo. E che non va bene.
    Io penso che lei ed io, don Gianpaolo, pensiamo la stessa cosa, in fondo, comunque!

  118. Paola ha detto:

    Lidia a me pochi mesi fa è successa la stessa cosa! per motivi organizzativi personali la mia guida spirituale mi ha dirottato in un gruppo di incontri non mio ma per altrettanti motivi organizzativo/formali un’altra guida spirituale, senza consultare la prima, per sms mi hanno invitato a non partecipare a quel gruppo. Ed io nonostante la mia condizione di vita intensamente zeppa di cose strabelle, ci ho sofferto da matta. E non mi sono arresa alla violenza organizzativa che schiaccia le persone e mortifica l’amore nel gruppo. E ho urlato la mia sofferenza a molti, per 2 o 3 settimane, senza stancarmi. E sai Lidia cosa è successo? Nulla. Proprio nulla. Zero consolazioni umani. Anzi meno 8000000. E me la sono tenuta nel cuore la cenciata a fini organizzativi. E prego per tutte le persone coinvolte nella vicenda (cosa che prima non facevo) affatto, peraltro).

    Però sono arrivata ad un convincimento. Io devo lottare perché Paola non cada in quell’errore che ha davvero ferito Paola. Di questo posso farmi paladino. Del comportamento degli altri, a meno di non dover fare rivoluzioni, che ancorché necessarie non sempre sono possibili, non posso sentirmi e non sono responsabile.

  119. Tres ha detto:

    Io voglio bene a @Don Mauro e, da quando lo “conosco”, pure a @Don Gian Paolo perchè scrivono l’uno: “…queste cose mi fanno troppo soffrire” e l’altro “..sono troppo ferito”. Il solo scrivere su un blog porta a delle ferite e a delle sofferenze. E che fanno sia Don Mauro e Don Gian Paolo? Lo scrivono qui, dove è nata la sofferenza, che stanno soffrendo. Cioè cercano rimedio lì dove è nato il dolore, se lo dicono tra di loro e a noi. Non pregano solamente, non chiedono aiuto a Dio solo nella preghiera personale, non si spiegano a tu per tu solamente. Parlano a noi. Posso pensare che sia anche una richiesta di conforto? Penso che quando passiamo dalla teoria alla pratica della sofferenza ciascuno di noi cerca il suo prossimo, non perchè gli altri sono l’analgesico sempre a disposizione ma perchè sono proprio quel prossimo del comandamento dell’amore. Senza il prossimo il comandamento dell’amore rimane monco. E un amore monco chiede al naufrago se è a stomaco vuoto. Oltre ad essere tutti belli siete tutti (proprio tutti) molto cari.

  120. Mauro Leonardi ha detto:

    @Gianpaolo non mi hai ferito e ti ringrazio.
    Ho ripetuto diverse volte negli interventi precedenti che parlavo per me e non per te, pur prendendo spunto da quanto dicevi tu.
    Allora parlo di me. Io ho molte molte ferite, anche se nessuna riguarda me. Sono le ferite di tante tante persone che sono rimaste ferite, da un certo modo di fare “il discorso della Croce”. Questo discorso non si può riduttivamente chiudere sulle monache di clausura. Nel loro caso è solo tutto più evidente. Questo discorso riguarda celibi di tutte le realtà ecclesiali, e tanti tantissimi sposati. Detto in soldoni: viene da me san Giovanni della Croce che mi racconta la sua esperienza e io – giustamente – gli faccio il discorso soprannaturale della Croce. Ma poi io – io, io Mauro, non tu! – faccio qualcosa per aiutare i carmelitani scalzi (scalzi!!) fondati da lui a convertirsi?, cioè li spingo a – prima di tutto – rendere giustizia a quel loro fratello e poi ad amarlo? In genere, no! proprio no! San Josemaría Escrivá (un santo che in tanti amiamo) diceva (e non so se la frase è originariamente sua, o di qualcun altro e lui la ripeteva) “per quanto riguarda il dolore, tutto quello che si può togliere bisogna toglierlo e quello che non si può togliere bisogna offrirlo” (“el dolor, lo que se puede quietar se quita y lo que no se peude quitar se ofrece”). Per alcuni dolori questo è ovvio, ma per quello della solitudine – che si sana con l’amicizia – non lo è affatto. Poco tempo fa è venuta da me una ragazza che abitava in una casa dove si cercava di vivere una certa spiritualità cristiana. Ad un certo punto viene fuori che l’acqua calda c’era solo dalle 11 alle 13 del mattino. Loro avevano deciso di farsi la doccia fredda oppure di farsi la doccia a fine mattinata. Niente di male, se uno ha fatto di tutto perché l’acqua calda ci sia e -come nel caso in questione si sarebbe dovuto fare- si è lamentato con il padrone di casa che ha fatto male l’impianto e pretende di essere pagato. Ma nel loro caso l’idea di “offrire” la doccia fredda era venuta senza neppure un processo di consapevolezza personale. Erano ragazze abituate alla mortificazione e per tanto non hanno – fisicamente – registrato il problema: influenze, raffreddori, chi se ne frega! Ad essere sincero ho sollevato io il problema perché, dopo un po’, ho cominciato a meravigliarmi di tutte quelle docce fatte a fine mattinata (me ne parlavano perché disturbava il clima di studio della casa…). Scusa se son schietto, il sacerdote di prima non si è accorto di nulla: anzi le ha incoraggiate su quella strada di “amore della croce”.
    Il più grande dolore è la solitudine. Lo dice Ratzinger e io o cito in Come Gesù. Il rimedio per antonomasia della solitudine è l’amicizia: “vuotare il cuore nel cuore dell’amico vicendevolmente avendo come unico limite la fiducia reciproca.” Mi sembra chiaro che se oggi come oggi una coppia di sposi non è “anche” in qualche modo, amica, ha poche possibilità di durare come matrimonio. Ma come la costruisco l’amicizia? Vuotando il cuore. Ma qual è il mio cuore, come cristiano? Non certo gli scherzati di Natale, o la pacca sulla spalla, o rimboccare le coperte, o fare la gita allo Zingaro alla domenica, o il sorrisino. E’ parlare del nostro modo specifico di amare Cristo.
    (continua)

  121. Mauro Leonardi ha detto:

    (continua)
    “Nostro” intendo dire di quella specifica realtà ecclesiale nella cellula infima, piccola, quella delle relazioni da “prossimo”. I Memores Domini devono farlo per le loro case, i neocateumanali per i loro gruppi, quelli dell’Opus Dei per i loro centri, i focolarini per i loro focolari e quelli dell’oratorio della parrocchia di san Pancrazio per il loro oratorio. Qual è il nostro “specifico” modo di amare Cristo? Non è andare a Messa, confessarsi, pregare… quello è necessario ma non è sufficiente perché non è lo specifico. L’amicizia si costruisce sullo specifico, quello che chiamavo il “bonum relazionale”. Un soprannumerario (tanto per fare un esempio) che fa l’avvocato, è sposato e ha figli, che specifico ha? Non certo quello di pregare, vivere la castità coniugale ed essere onesto sul lavoro. Questo è importante, necessario, ma non è lo specifico. Perché questo lo faceva anche mio zio cinquant’anni fa che era dell’Azione Cattolica e non dell’Opus Dei. [scusate è solo un esempio, non voglio parlare dell’Opus Dei, voglio far capire cos’è lo specifico]. Io ti posso dire che nella mia realtà ecclesiale ho molti molti fratelli e sorelle ma pochissimi amici. Anzi mi è capitato più di una volta che quando dei miei amici sono diventati della mia realtà ecclesiale, dopo poco li ho persi come amici. Sono rimasti solo dei “fratelli”. Perché? Perché non volevano parlare ne con me né con nessun altro (perché non lo facevano in primo luogo con sé stessi…) di cosa volesse dire “essere di”. Monaca clarissa, benedettina, di san Pancrazio, di Cl, dell’Opus Dei, Neocatecumentale, la famiglia: cosa vuol dire per noi tutto cio? Perché? E allora ecco la solitudine, ecco il consiglio soprannaturale, ecco l’abituarsi alla doccia fredda senza neanche rendersene conto. Ed ecco – molte molte volte – l’andare via. Semplicemente perché manca il “bonum comune”. Questo vale anche per la singola famiglia. Una singola famiglia cristiana deve avere un minimo progetto di cristianesimo che è l’alimento di una sorta di amicizia.
    Gianpaolo se tu ti chiedi se sei stato o no amico del sacerdote che è appena morto, vuol dire che non eravate amici. Vuol dire che eravate dei bravissimi fratelli. E’ brutto? No è bellissimo. Ma nella società di oggi è totalmente insufficiente. A 90 o 70 anni può bastare. Ma già a 50 vacilla tutto. Dobbiamo parlare di quello che ci unisce e capire e scegliere di costruire assieme (noi quattro o cinque, non la “realtà ecclesiale “ nel so complesso) quello che ci unisce. Se no rimane solo la possibilità di diventare dei contorti alberi bonsai.
    Dopo di che (io ho 53 anni) uno dice: ma allora io che ho fatto tanto docce fredde e ho consigiato tanto docce fredde, ho sbagliato? E come faccio a dire a me stesso di aver sbagliato per trent’anni? (nel mio caso). Questo è un problema che si deve risolvere ciascuno. Io mi sono sentito dire da Maria che ho sbagliato ma che Lei mi amava ancora di più, e che potevamo ricominciare.
    Per te non so come funziona.

  122. Lidia ha detto:

    certo che non lo sei, hai ragione! Penso la tua reazione sia l’unica possibile: io cercherò di non farlo mai. E di avere sempre una parola di bontà vera per tutti.

  123. Giaa Paolo Colò ha detto:

    Io dico che il mistero del dolore è inserito nella vita quotidiana- non so perchè – ma è così. Io posso solo attenuarlo con la mia presenza, il mio ascolto, il mio affetto, ma io non posso esserci sempre e non posso fare in modo che il mondo funzioni come vuole chi mi è amico. Una forma di amicizia e di carità è anche ricordare che la Croce che non si può evitare, ha un significato, sennò si lascia la gente alla disperazione. Mettendola su questo piano uno comincia a domandarsi “Dove era Dio nei lager ? ” “Dove era Dio nello tsumani?” “Dove era Dio, mentre un padre stuprava sua figlia ?” Dove era Dio mentre le belve dilaniavano la carne dei cristiani, bambini, donne, innocenti ?” La mia risposta è : era accanto a ciascuno e nel suo cuore, come Padre onnipotente e onnipresente; era sulla Croce, dove faceva l’esperienza del più assoluto abbandono, senza le coccole di nessuno e con in più lo strazio di vedere il dolore di sua madre, impotente, a contemplare il suo apparente fallimento.
    Allora che mi si venga a dire che: ricordare a una persona che vuol mettersi al seguito di Cristo,che, con l’Amore, troverà anche il dolore e la Croce e non se ne dovrà scandalizzare, è come dirle vai a buttarti a mare che io così – con questo alibi – me ne posso fregare e stare tranquillo a mangiare, questo è un pesante fraitendimento, un giudizio temerario ed una mancanza di carità. Dobbiamo stare attenti a come parliamo e a che cosa diciamo, a chi lo diciamo e a come lo diciamo. Non è che con il contorno di scusami, lo dico a me, possiamo far dire all’altro quello che non dice.
    Per fare un esempio concreto: ho passato anni a sostenere una suora africana a Palermo che poi non è andata avanti. Aveva fatto perdere le sue tracce e veniva considerata una fuggitiva; mi sono prodigato perchè si rappacificasse con le suore che lasciava, perchè tutto si svolgesse in pace, l’ho sostenuta nel dopo e ho confortato anche quelle che lasciava ( perchè anche quelle hanno un cuore e sono figlie di Dio ). Questa mi venera come un padre, come un fratello come un amico: non mi frega niente di come mi chiami o di come possa essere definito.Non l’ho fatto per ruolo, non ho distinto tra amicizia, direzione spirituale, simpatia,ecc. Le ho anche offerto passeggiando per Palermo, dove si è ripresentata vestita elegantemente da gentile signora, un succo di frutta, perchè mi raccontasse le ultim novità. Le ho persono consigliato di comprarsi un vestito un po’ più colorato, perchè vestiva elegantemente di grigio scuro. Purtroppo non ci ho azzeccato perchè a lei piace il nero: per questo aveva scelto la congregazione poi abbandonata (sic! ) Le squisite frivolezze femminili ( ma non è scema , è molto in gamba, se la cava bene e continua a voler bene al Signore e alle ex sorelle. Ieri mi ha mandato un mail chiedendomi di pregare per la morte della madre della sua ex superiora ) Ma sentirmi dire che sono uno che con la scusa della Croce lascio perdere le persone mi fa proprio girare….
    Che poi chi esca da un convento troverà un dolce maritino che la riempie di coccole o che ci siano in giro tanti confratelli amici, ecc., ecc., via via sognando e”mulinobiancheggiando”, io non me ne accorgo: segnalatemene qualcuno. Non smetterò di portare la Croce ( magari sapessi farlo con l’Amore che Dio e gli altri meritano ), non smetterò di parlarne ma lo farò un po’ consolato. Per ora becco botte da destra e da sinistra, guarda un po’. Mi spiace ma la penso così.

  124. Tres ha detto:

    @Paola abbiamo scritto in quasi contemporanea e non ti avevo letto: bello. Non solo la parte finale: non fare l’errore che aveva fatto soffrire Paola (non è letterale ma mi ha già buttato fuori il blog una volta e non ho tempo per riscriverlo). Ma anche la prima parte: dire che si è state ferite. Io l’ho capito da poco e sto imparando a farlo. E’ importante, secondo me.

  125. Antonio ha detto:

    Questo commento mi piace.

    Io noto in @donGianpaolo (e in altri …) e in @donMauro (e in altri…) soltanto una differente sensibilità che @Tres ha, secondo me, ben colto … e quindi non faccio fatica, mi limito a riportare le sue parole: “Don Gian Paolo ha notato che qui, e pure fuori, ogni volta che qualcuno parla di un po’ di fatica un altro gli ricorda la gioia, se qualcuno parla di gioia subito arriva il “ricordati che devi morire”? Sto esagerando i termini però è interessante come persone diverse la pensino uguale e persone uguali la pensino diversa, a giorni alterni, a commenti alterni. Bello secondo me. E molto vivo e vero”.

    Dal punto di vista umano penso siano importanti due cose:
    – sincerità: sforzarzi di non nascondere (quello che siamo, quello che pensiamo, quello che amiamo, quello che sappiamo, …);
    – amicizia: sforzarsi di elevare il tono delle nostre relazioni interpersonali … vivere cercando attorno a noi gente che ci stia simpatica (e a cui noi siamo simpatici per come siamo) e coltivando queste “simpatie”, perchè diventino amicizie cioè relazioni di intimità.

    Occorre partire dalla sincerità per arrivare alla verità … perche io sia vero (parola che ho letto qua e là nel blog) bisogna che cominci ad essere sincero.

    Chi è “vero” non sbaglia (ma uno solo è vero), chi è sincero può sbagliare (tutti possiamo intendere male) ma, se ha elevato il tono delle sue relazioni interpersonali, gli altri lo aiuteranno ad accorgersene … e lui crederà a quello che gli diranno, perchè sono suoi amici.

    La frase che hai scritto “ma il fondatore/fondatrice ha detto così (magari secoli prima, nell’Alto Medioevo)” mi ha fatto ricordare una tentazione che ogni tanto mi viene (ascoltando qualcuno che conosco che si illumina soltando davanti alle “citazioni” dei suoi amici, di quelli a cui ha deciso di fidarsi) … la tentazione di dire una gran “stronzata” attribuendola, che so, a GP II, ad Aristotele, a SJM … per vedere di nascosto l’effetto che fa. Non l’ho mai messa in pratica, però a volte stento a trattenermi.

  126. Antonio ha detto:

    Riporto quanto ho scritto sopra … ma come scrivete veloce!

    @Lidia: Il tuo commento mi piace.
    Io noto in @donGianpaolo (e in altri …) e in @donMauro (e in altri…) soltanto una differente sensibilità che @Tres ha, secondo me, ben colto … e quindi non faccio fatica, mi limito a riportare le sue parole: “Don Gian Paolo ha notato che qui, e pure fuori, ogni volta che qualcuno parla di un po’ di fatica un altro gli ricorda la gioia, se qualcuno parla di gioia subito arriva il “ricordati che devi morire”? Sto esagerando i termini però è interessante come persone diverse la pensino uguale e persone uguali la pensino diversa, a giorni alterni, a commenti alterni. Bello secondo me. E molto vivo e vero”.

    Dal punto di vista umano penso siano importanti due cose:
    – sincerità: sforzarzi di non nascondere (quello che siamo, quello che pensiamo, quello che amiamo, quello che sappiamo, …);
    – amicizia: sforzarsi di elevare il tono delle nostre relazioni interpersonali … vivere cercando attorno a noi gente che ci stia simpatica (e a cui noi siamo simpatici per come siamo) e coltivando queste “simpatie”, perchè diventino amicizie cioè relazioni di intimità.

    Occorre partire dalla sincerità per arrivare alla verità … perche io sia vero (parola che ho letto qua e là nel blog) bisogna che cominci ad essere sincero.

    Chi è “vero” non sbaglia (ma uno solo è vero), chi è sincero può sbagliare (tutti possiamo intendere male) ma, se ha elevato il tono delle sue relazioni interpersonali, gli altri lo aiuteranno ad accorgersene … e lui crederà a quello che gli diranno, perchè sono suoi amici.

    La frase che hai scritto “ma il fondatore/fondatrice ha detto così (magari secoli prima, nell’Alto Medioevo)” mi ha fatto ricordare una tentazione che ogni tanto mi viene (ascoltando qualcuno che conosco che si illumina soltando davanti alle “citazioni” dei suoi amici, di quelli a cui ha deciso di fidarsi) … la tentazione di dire una gran “stronzata” attribuendola, che so, a GP II, ad Aristotele, a SJM … per vedere di nascosto l’effetto che fa. Non l’ho mai messa in pratica, però a volte stento a trattenermi.

  127. Paola ha detto:

    Ciao tres!

    Durissimo quanto scrive don Mauro “anzi mi è capitato più di una volta che quando dei miei amici sono diventati della mia realtà ecclesiale, dopo poco li ho persi come amici. Sono rimasti solo dei “fratelli””.

  128. Paola ha detto:

    Penso che quando si vive in famiglia, in un gruppo ecclesiale, bisogna sempre cercare la via di mezzo tra eccessivo spontaneismo (stare sempre a dirsi tutti, tutte le ferite) e ottusa ipocrisia (non dirsi nulla perché al vertice ci si ama come sposi o come fratelli, anche se si beccano pugni e schiaffi).

    Non è facile, però. Entrano in gioco tutte le virtù umane. Penso comunque che faccia meno male un sano e duro spontaneismo di una fredda e ottusa ipocrisia.

  129. Lidia ha detto:

    ma don Gian Paolo (non so se a me risponderà non l’ha mai fatto, ma non perdo le speranze)…guardi che qui nessuno la critica, anzi.
    poco sopra ho scritto che, secondo me, pensiamo tutti la stessa cosa. La fedeltà è a prescindere dai comportamenti degli altri e la croce ci sarà sempre, ma è nostro preciso dovere impedire le croci che possono essere impedite. Ed è vero – mi corregga se sbaglio – che spesso noi (io in primis) in nome di una presunta fedeltà a regole, o in nome della “volontà di Dio” infliggiamo dolori inutili.
    Questo fa parte del nostro essere umani, siamo poveracci che tentano di amare e far amare Dio. Ma il capirlo, e lo sforzarsi di non farlo più è importante.
    Nessuno giudica il suo amore alla croce, che è bellissimo ed è sacrosanto, ho detto che dalla pretesa di essere felici sempre nascono le più grandi infedeltà. penso siamo tutti d’accordo.
    forse si tratta di rileggere con calma ciò che ciascuno ha scritto, e vedere che, in fondo, diciamo tutti la stessa cosa.
    Comunque io me lo chiedo notte e giorno Dio che stava facendo durante la Shoah. Penso che Lui voglia da noi questo: la fiducia che un giorno, nell’altra vita, capiremo, e la fiducia che Lui ci ama, e che tutto sarà per il bene. Ma da questa parte del muro sinceramente non vedo molte risposte…

  130. Paola ha detto:

    Non mi piace l’angolo in cui si è fermata la discussione!

    Se ci pensiamo bene, si retrocede da “amici” a “fratelli” o da “amanti” a “coniugi” se non si accettano i limiti dell’altro che ci fanno sofferenze e se noi, per primi, non perdoniamo rilanciando la relazione su un piano più alto dopo ogni ferita. Ma mi devo fidare della relazione con l’altro. Gli devo dare fiducia, mostrandogli le ferite che mi ha inferto.

    In fondo Pietro era amico davvero di Gesù; e gli ha voltato le spalle ma non perché non era più amico, ma perché era un uomo, non Dio, e quindi incline a tradire, a ferire l’altro. E Gesù non si rassegna a perdere l’amicizia ma gliene chiede conferma un numero pari di volte rispetto ai tradimenti. Gesù non molla nell’amicizia!

    Così io, nella mia realtà ecclesiale o nel mio matrimonio, o riesco a accettare le ferite e perdonare, magari spiegandomi per il futuro (ma poi Fefral dice che non servono i pipponi) oppure uccido tutto con la gelida logica del giudizio di non conformità all’amicizia, all’amore. Insomma non si può essere spettatori dell’amicizia. Si è sempre protagonisti in due. E si sbaglia in due nella relazione. Sempre. E si riparte in due, e chi più ha forza traina l’altro.

  131. Mauro Leonardi ha detto:

    @Paola
    Il fatto che da amici si retroceda a fratelli è qualcosa che accade in tutte le famiglie. Io ho due sorelle e un fratello: Antonella, Chiara e Matteo. E’ chiaro che da piccoli eravamo tutti “amici”, ma adesso se non ci stiamo attenti diventiamo degli estranei (la colpa, sia chiaro, è innanzitutto mia). Se dovessi rivedere il film degli ultimi vent’anni con ciascuno di loro potrei dire che siamo sempre stati fratelli ma non siamo sempre stati amici. Però questo io a un certo puntolino capito e, ogni sera, la mia telefonatina a uno di loro la faccio. E li vado anche a trovare. Poi a volte ho l’impressione di dare un po’ fastidio… ma.. chissà…

    @Gianpaolo
    Sei un santo sacerdote, un fratello e, con questo blog, ti stai dimostrando pure un amico. Facciamo che adesso scrivo due cosette brevi brevi e poi vediamo che succede….

    – Sto tornando ora da aver fatto visita a una donna laica di 47 anni con una grave forma di tumore e la cosa si sta mettendo molto male dopo due interventi. Ce l’ha perché non ha fatto i controlli che una donna deve fare. Questa è la verità che nessuno le dice ma che tutti sappiamo (lei stessa). E non li ha fatti perché la linea ascetica della “doccia fredda” le era entrata così dentro da aver trascurato per almeno un anno dei sintomi pazzeschi. Comunque chiama me e io la vado a trovare. Mi ha detto di parlarle di Gesù e della Croce e l’abbiamo fatto. Ha trovato consolazione nel rivedere in sé “una spada ti taglierà l’anima” di Simeone a Maria, e credo che gliela abbia suggerita lo Spirito Santo. Io le ho parlato molto della Madonna e di darle tutto tutto chiedendole di essere lei a distribuire nella chiesa i meriti che lei (la signora) sta accumulando per tutti noi. Era felice.

    – Mi è arrivata questa mattina questa mail di una monaca di clausura che non conosco. La clausura è molto nolo stretta, e ha uno strettissimo permesso di andare sul nostro blog (le fa bene) e di scrivere mail. E’ tra i quaranta e i cinquant’anni e ha tutta l’intenzione di perseverare ma sta facendo una gran fatica. Gli interventi cui si riferisce sono gli ultimi che ho fatto e sono quelli che ti hanno un po’ ferito. “Grazie don Mauro per il blog anche per ora di scrivere non me la sento, perché mi sembra di essere così vuota… non escludo niente per il futuro, ma condivido in pieno quello che ha scritto a quel sacerdote ed è bellissima soprattutto l’ultima parte però è raro sentirlo dire da chiunque, per me lei è il primo. Nel mio piccolo sto cercando di far conoscere Come Gesù, avanti con fiducia, le sono vicina!”

    L’ultima parte è:”Dobbiamo smetterla di dire che la caratteristica essenziale del cristianesimo è l’amore alla croce. La caratteristica essenziale del cristianesimo è l’amore a Dio attraverso l’amore al prossimo, cioè dare la vita a Dio dandola al prossimo. Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi. Se io do la vita, muoio. Ecco dove nasce la croce. La croce è la conseguenza dell’amore. Ma cerco l’amore non la croce. Il Verbo non si è incarnato per amore della croce ma per amore degli uomini. Anzi per dare la vita al Padre, nel tempo, dandola agli uomini. Per questo ha trovato la morte. Perché l’uomo viva. Perché questa è la volontà del Padre.”
    Questa è una che passa la vita a studiare e vive in una comunità dove fanno lo stesso. Secondo te, io sono il primo?

  132. Mauro Leonardi ha detto:

    errata corrige:
    puntolino// punto l’ho
    molto nolo// molto molto

  133. Dory ha detto:

    Oggi un mio amico medico mi ha parlato di un suo paziente: ha 43 anni. Ha tre bambini. E morirà.
    Toglie il fiato.
    Ho ragionato su questa cosa della croce.. Come glielo spieghi a questo padre???? Come glielo spieghi che deve amare la Croce???Mio Dio…Giuro…Io non saprei come fare. Come chiedergli di pregare, di confessarsi, di fare la comunione…Mio Dio…Non saprei come fare!!!E prego lo Spirito che gli mandi un sacerdote abbastanza forte e santo per fare tutto ciò senza sembrare crudelmente compassionevole!!!Che gli prenda la mano.Che lo abbracci. Che pianga anche con lui, per lui… E stia in silenzio.
    C’è un libro ” la ragazza delle arance” che parla del satellite Hubble, dell’occhio dell’Universo e…di una ragazza misteriosa: di lei parla un padre (deceduto da anni) al figlio (ormai adolescente) che la scopre per caso nella sua vecchia culla conservata in cantina. La domanda del libro è…”Vale la pena vivere, vale lòa pena questa scommessa?”… la risposta sta tutta in una grande storia d’amore: perchè la ragazza delle arance è la madre dell’adolescente che il marito soprannominò così nel loro primo incontro. E questo “piccolo grande amore” per vie misteriose, si collega con il satellite Hubble…Quell’occhio sull’Universo che è in grado di svelarci “L’amor che move il sole e l’altre stelle”…: perchè l’amore che trasmette la vita (anche quando un padre muore…) vive dello stesso respiro dell’Universo. La scommessa della vita presente quando nasce una stella, quando scompare una galassia, quando nasce un bambino, quando una donna viene violentata, quando due sposi si scambiano un’intensa tenerezza, quando sembrano a sè stessi estranei…L’amore non avrà mai fine. La croce, infine, è proprio il simbolo della vita che rinasce…E’ l’albero della vita. In questo senso sì, davvero, bisogna amore la croce. perchè bisogna amare l’amore che a volte, anzi spesso, toglie il fiato per le sofferenze che dà. Noi donne che partoriamo soffrendo lo sappiamo bene: non amiamo affatto quel dolore, ma amiamo il fatto che attraverso quel’esperienza stiamo amando una creatura nuova…Amiamo l’amore. Non la sofferenza. Anche se a volte, anzi spesso, Amore e dolore si richiamano. Ma quando succede, è il primo che dà senso al secondo…mai viceversa.

  134. Vera ha detto:

    @ padre Mauro – carissimo padre Mauro, sento il cuore muoversi verso di lei e devo dirglielo…. grazie. Quello che scrive sul blog è bellissimo… e la condivido completamente, devo dirlo : le voglio bene e mi rammarico di non averla come padre spirituale! Si ricordi di me all’altare di Gesù ogni tanto! Dio la benedica

  135. Giaa Paolo Colò ha detto:

    Hai perfettamente ragione. Ritiro l’espressione meno felice mutuata, credo , dalla mia mentalità professionale di vecchio medico, dalle ossa dolenti.

  136. Giaa Paolo Colò ha detto:

    Lidia. Ti rispondo personalmente, anche se quando rispondo mi pare di rispondere a tutti insieme. E’ chiaro che bisogna correggere chi sbaglia e chi mette in Croce il prossimo, in modo particolare, se pensa di farlo per la gloria di Dio.
    Quello che non mi piace e vedere messa in discussione tutta la storia della Chiesa, l’ascetica e mistica, la vita degli altri in nome di una idea trovata nel Vangelo, alla luce della quale si pensa di risolvere tutto nella vita della chiesa e alla luce della quale si pensa di essere in diritto di stigmatizzare la vita e il comportamento degli altri forzandone le affermazioni, per far tornare i conti della propria tesi. Io non voglio affondare troppo il tagliente nell’argomento di d. Mauro che sta facendo tanto bene a tante buone persone.
    Voglio solo dire che chi pensa di poter risolvere, con spirito di riforma, tutti i problemi per una idea che ha brillantemente scoperto e che può far bene, corre il rischio di far male ad altri pensando che siccome ritiene di aver ragione, è autorizzato a menar fendenti a destra e a manca. Ci sono anche le crociate del buonismo!
    Io confido che pregando davanti alla salma del sacerdote morto, mi sono domandato se era mio amico e ho risposto che non l’avevo capito bene, senza entrare nei particolari ma per voler far capire che ero entrato nello spirito del blog e davo credito all’ipotesi. E lui, zac! “ti ho beccato, vedi era soltanto un fratello e bla,bla, bla” con la solita solfa. >Se dobbiamo approfondire occorre allora dire che io penso che fosse per me più che un fratello e un amico, ma carne della mia carne e che pensavo di aver contribuito una volta almeno con le mie preghiere , le mie penitenze e le mie manifestazioni di affetto a partorirlo ad una dimensione di maggiore pace, in un momento difficile della sua vita e gli dicevo “Adesso lo vedrai e pregherai per me per questo” Lui questo non lo sapeva ma sapeva che io avrebbe potuto contare su di me in qualsiasi momento e io avrei potuto fare lo stesso con lui.
    Se questo sia amicizia, fraternità, essere membra di uno stesso corpo, chiamati a soffrire le doglie del parto l’uno per l’altro; non lo so e non me ne importa. Io so che non ci sono solo le dichiarazioni serafiche di s. Giovanni ma c’è anche la vigorosa e tenerissima paternità e fraternità di Paolo che si occupa anche della digestione di Timoteo.
    Essere amici, sì, ma si possono anche creare le chiesuole, le critiche, i gruppetti, che s. paolo stigmatizza con molta energia. Tra persone che convivono, specialmente se coltivano l’emotività,( come capita oggi in cui siamo tutti ancora un po’ adolescenti ) non è facile distinguere tra la confidenza di una preoccupazione spirituale e apostolica, da amico ad amico e la creazione di un rapporto di direzione spirituale fuori della volontà di Dio. Io temo di affermare “ho pochissimi amici”e ho molti fratelli; io desidererei poter dire tutti sono miei amici, chi più chi meno. perchè si tratta anche di una questione di affinità umane che non possono essere trasformate tutte dalla grazia (continua )

  137. Giaa Paolo Colò ha detto:

    Insomma, non mi convince lo spirito profetico di chi ritiene di essere chiamato a cambiare tutto in un certo ambito e dice, con i fatti più che con le parole, che non è come me, si sta sbagliando ed dannoso, pericoloso e deleterio,se non cambia d’urgenza. Come fare, se lo sa lui.
    Questo fatto poi di dover essere amici ad ogni costo è una delle cose più imbarazzanti e antinaturali che esistano. E’ vero – e Dio mi è testimone – che è una vita che cerco di praticarlo e insegnarlo, che per essere molto soprannaturali bisogna essere molto umani. Ma per essere umani non esistono metodologie, c’è solo l’intelligenza, l’empatia e il fare agli altri quello che vorresti fosse fatto a te.
    Insomma c’è tutta una chiesa e una società che si sta interrogando su come vivere l’antropologia oggi e io non penso che nessuno si possa attribuire il diritto di dire si fa così e basta. Vi siete sbagliati tutti. Tutti pensiamo che il mondo sia cominciato quando noi abbiamo avuto l’uso di ragione,ma bisogna avere la maturità di dubitare che questo sia vero, ecc, ecc.
    Perciò mi pare assurdo che mi si dica che io voglio rovinare la vita della gente che si avvicina a Cristo, se ricordo loro che nel Cristianesimo c’è anche la croce che è il segno dei cristiani.
    Si può pensare allora che sia meglio cominciare la Messa dicendo “Ben venuti,cari amici” alla Pippo Baudo, piuttosto che “nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” facendo un bel segno di Croce e guardando Gesù in Croce sull’altare che non mi divide ma mi unisce alle persone che ho di fronte. E poi scenderò dall’altare guardando tutti con affetto, ma evitando alcune melense forme di accoglienza, che mi fanno fuggire inorridito.
    E’ chiaro che d. Mauro non dice questo ma non mi pare corretto e utile per chi legge demonizzare la Croce, dato che è proprio la Croce che fa fuggire i demoni. Arrivare alla fine della vita e sentirsi dire con serafico candore”hai sbagliato tutto” “hai diffuso una visione dannosa del cristianesimo e per colpa tua e del tuo stile la gente abbandona la propria vocazione” mi pare che non sia nè amichevole e nemmeno fraterno e addirittura nemmeno umano. Può darsi che il mio contributo non serva a niente, ma forse può far riflettere su che cosa vuol dire essere carne della stessa carne, nell’unico corpo di Cristo. Per me vale di più di tutte le dichiarazioni di amicizia. E cosi sia.

  138. Antonio ha detto:

    Questo messaggio del Papa del 2007 io lo uso spesso per pregare … forse può essere utile:

    Messaggio di Benedetto XVI per la Quaresima 2007

  139. Giaa Paolo Colò ha detto:

    Io pregherei lo Spirito Santo e cercherei di dire, con il suo aiuto, le cose che vorrei dicessero a me in quello circostanza. S: Paolo dice “Piangere con chi piange,….farsi tutto a tutti”.
    Certo che a nessuno piace la sofferenza per la sofferenza, ma per arrivare ad amare spesso occorre soffrire. Esattamente in questo caso, devi arrivare a soffrire dentro di te l’emozione e il dolore di partecipare alla sofferenza dell’amico.
    Guarda che però non devi dire a questo padre che deve amare la Croce, sarebbe addirittura sadico dirgli così. Devi dirgli che guardi la Croce su cui Gesù è morto per tutti e ha riscattato la nostra morte, proiettando una luce di speranza sul nostro dolore. Potrai dirgli che lascia sua moglie e i suoi figli nelle mani del Signore , che si prende cura degli orfani e delle vedove e degli amici che staranno loro vicino.
    E dirai questo molto più conla tua presenza affettuosa e serena che con molte parole e se scappa qualche lacrima, niente paura.
    Io conosco una famiglia in cui la madre di 6 figli è morta a 43 anni con un tumore, a un anno dalla nascita dell’ultima figlia. Sono cresciuti tutti – certo con un velo di malinconia – sostenuti dagli amici, anche se non in maniera ideale. I figli stanno approdando uno dopo l’altro alla piena maturità e sono bravi ragazzi.

  140. Giaa Paolo Colò ha detto:

    Silenzioso e puntuale Antonio. Come si farebbe senza dite ? sei come il padre di famiglia che trae dal suo tesoro cose vecchie e cose nuove ( citazione un da prete ( vedi relativo blog ). Non lo farò più….

  141. Antonio ha detto:

    Questo commento è stato eliminato dall’autore.

  142. Antonio ha detto:

    Le parole del papa in questo messaggio mi ricordano i momenti in cui mi dichiarai a quella che oggi è mia moglie … e i giorni che passai attendendo il suo sì. Mi sembra che Cristo viva per sempre dei miei stati d’animo di allora, anche dalla croce … sono un sentimentale anch’io.

  143. Tres ha detto:

    Don Gian Paolo però mi scusi, se le persone “vanno via” (dai matrimoni,dai monasteri,dalle case, dalle vocazioni tutte) il perchè ce lo dobbiamo chiedere . Guardi che per noi sposati è un continuo bombardamento di prime pagine e titoloni sulla fine del matrimonio e sulle incapacità umane più varie di noi poveretti che lo portiamo avanti. Dal giornaletto settimanale al grande sociologo è tutto uno studiare, sviscerare, dire “avete sbagliato tutto”. E’ giusto? No. Ma una domandina ce la dobbiamo fare. Qualcosa nel matrimonio ad un certo punto (prima, durante o dopo) non l’abbiamo più capito, più fatto, più amato. Non ci piove: se ci sono errori qualcuno ha sbagliato; se ci sono dolori, qualcuno fa soffrire. Non si tratta “di mettere in discussione tutta la storia della Chiesa, l’ascetica e la mistica” così come, per il matrimonio, non si tratta di mettere in discussione da Adamo/Eva fino a me e mio marito. Parlare di amicizia in un libro di un sacerdote che ha per titolo Come Gesù, non è un’idea brillante ma un modo di uscire dalla “discussione” sull’animo umano che da Adamo ed Eva, serpente compreso, non si è mai fermata ed entrare nella relazione tra Adamo ed Eva, serpente compreso, relazione che, invece, ad un certo punto si è fermata.

    Il tono dei commenti si fa poi spesso dolorante, una volta per me e una volta per te, perché non stiamo parlando del sesso degli angeli, ma dell’essere amico, che dai tempi di “vuoi essere mio amico?” all’asilo è la domanda che ci rende più fragili e nudi di fronte all’altro. Nessuno stile profetico e nessun contributo inutile, @Don Gianpaolo, ma veramente un sacco di domande e pure tante risposte.

  144. Mauro Leonardi ha detto:

    @GianPaolo
    Ti ringrazio tanto per le parole che hai scritto di cui penso di cogliere appieno il senso e che sottoscrivo. Domani vorrei scriverti una cosa per continuare il dialogo con te. Non lo faccio adesso per due motivi.
    Il primo, è che avrei voluto dedicare l’intra giornata di oggi a correggere le bozze di Abelis e a fare la quarta di copertina che dovrò consegnare lunedì mattina (ma domani ho un ritiro…) e invece ho cominciato a lavorare al blog e ad Abelis solo ora…
    Il secondo è che vorrei davvero essere sicuro che ti è chiaro che non ti voglio offendere e che per questo non te ne vai dal blog. Ogni volta questa cosa mi spaventa e mi fa un po’ soffrire. E’ chiaro che un blog – cioè una relazione – vive proprio delle differenze che ciascuno di noi vede dentro di sé e negli altri. Tu rappresenti un punto di vista che io condivido assolutamente ma al quale ne voglio aggiungere un altro. Domani – senza offenderti e senza farti andare via dal blog – potrò scrivere una cosa che potrebbe sembrare non conciliante? Davvero non ti offendi? Non lo voglio fare.

  145. La sciagurata rispose ha detto:

    A me sembra che alcuni temi vengano presi un po’ troppo sul personale.. Da un lato è bello che si entri nel blog ‘di pancia’ perché è indice di esserci in prima persona, ma forse si può passare al gradino successivo e abbassare il tono della permalosità. E li dico perché in altri momenti e in altri blog mi son fatto prendere dalla pancia ed ora mi son reso conto che in quelle circostanze non ho scritto con lucidità, quanto con desiderio di dimostrare che avevo ragione.
    Io credo che qui ognuno abbia i suoi carismi, qualcuno quello della profezia, altri quello della dottrina, altri l’amicizia, altri il carisma dell’innamoramento :-) non vale la pena stare a discutere su chi ce l’ha più lungo perché non se ne viene a capo.
    E non mi spaventa la possibilità di scoprire di aver sbagliato e magari di aver sbagliato molto.. ( d. Giampaolo, si tranquillizzi, aver sbagliato tutto per uno che cerca dio come fa lei, mi pare improbabile.. Ma qualcosa avrà pur sbagliato anche lei). Se il forum serve per capire che in certe circostanze abbiamo sbagliato, credo sia un trionfo, un vero successo.
    A me piace molto la centralità della croce nella vita cristiana come conseguenza dell’amore. Quindi non croce per la croce che sa di masochismo poco cristiano, ma amore che diventa amore per la croce con’è crogiolo dell’amore stesso.

  146. La sciagurata rispose ha detto:

    Se lei non sale in cattedra e non giudica.. Non si offendera..
    Se lo insulta o se lo sputtana si offenderà..

    I bambini chiedono prima : se ti dico una cosa, ti arrabbi? Eh eh
    Ma che domandeeee

  147. La sciagurata rispose ha detto:

    @M&M’s ciao!!
    C’è qualcosa nel tuo discorso sulla ricerca di Dio negli altri che non mi convince..
    Per un verso è molto cristiano: ‘da questo vi riconosceranno che vi amiate gli uni gli altri’ . Anche io sono convinto che non esista la carità teorica, disincarnata.. Esiste la carità se ci sono dei fatti d’amore concreti verso tizio caos o sempronia. Tu non parli di carità, ma di amicizia che è una particolare declinazione dell’amore.. E mi sembra bello che una persona scelga la propria dimensione di amore, quella che è più congeniale..
    Eppure nel tuo messaggio si avverte un bisogno, una necessita di amicizia. Qualcosa del tipo: per vivere il celibato ho bisogno di amicizia, ho necessita di sentirmi amata.
    Io credo che questo sia un punto delicato: l’amicizia è disinteressata per natura. Se uno ha bisogno di sentirsi amico perché la propria scelta di vita abbia ragione di esistere, non vedo con’è possa vivere un’amicizia autentica. Il nodo è a monte, é sul senso del celibato che da quello che ho capito io leggendo il libro di d Leonardo, non è funzionale. Cioè non si vive il celibato per aver tempo per fare tante cose belle.. Non si vive il celibato per fare.. E credo che questo valga anche per l’amicizia. Non penso (poi lo saprai meglio tu) che si possa concepire di vivere il celibato perché così si fa amicizia e ancor meno perché la si riceve.
    Mi suona come quelle persone che ti dicono che si sposano perché hanno bisogno di una persona che le ami.. Che le capisca, che la facciano sentire importante dal momento che si detestano.. Mi pare un modo sbagliato per partire nell aventura coniugale. Per carità, ci sta il bisogno di sentirsi amati, ma conseguente alla donazione. Ti sposo perché voglio amarti con tutto me stesso, non perché ho bisogno che tu mi faccia sentire amato con tutta te stessa..

  148. Giaa Paolo Colò ha detto:

    Grazie. Era questo che chiedevo.

  149. fefral ha detto:

    buongiorno, buona domenica.
    Solo un passaggio per dire che sono d’accordo con sciagu sul discorso del prendere di pancia alcuni temi del blog e del rischio di prenderla troppo sul personale e pure su quello che scrive ad MM.
    A proposito del celibato che non è funzionale, forse proprio per questo è così difficile da capire (a volte non lo capiscono neppure quelli che lo scelgono): il matrimonio è più semplice da capire, ha dei fini ben precisi.
    Il discorso dell’amicizia come senso profondo della scelta del celibato non significa “resto celibe così posso vivere l’amicizia”, altrimenti ricadiamo nel rischio della funzionalità (non è molto diverso dal dire “resto celibe così ho più tempo e disponibilità per dare formazione e fare apostolato”).

  150. Paola ha detto:

    A me pare che dM esamini la vita relazionale da una prospettiva ex ante; don GP ex post. Insomma, mi sembra che tra le due posizioni ci sia lo scollamento classico tra il sogno e la realtà. Il sogno aiuta ad iniziare la giornata con energia e guardando in alto, alla bellezza delle relazioni con le persone (dM style); alla sera, poi, quando si è cercato nelle 12 ore di veglia di trasformare il sogno, con fatica, in un progetto vero, storicamente collocato, allora, può capitare, come dice dGP, ma in fondo anche dM, che la semina di amore nelle relazioni personali si sia tradotta, nonostante le meravigliose premesse dell’alba, in una lenta crocifissione.

    Ciò non esclude che il giorno dopo, o riparto interrogandomi di nuovo sulla attualità del mio sogno, o crollo nel più profondo pessimismo di chiusura al mondo e di rifiuto alla croce.

  151. Giaa Paolo Colò ha detto:

    Caro Mauro, io non ti ringrazio per quello che mi scrivi; soprattutto per il tono. D’accordo e accettato per sempre che dobbiamo cercare di essere amici per somigliare a Gesù. Non me lo ripetere più, però non mettere in dubbio che io cerchi di essere amico e di capire gli altri, di non vivere ingessato per sempre nel ruolo di cattivone, carnefice di buone giovinette e giovinetti da mettere sulla Croce per farli soffrire con la promessa della vita eterna, facendo loro fare docce fredde, facendo loro abbandonare le mamme morenti e facendogli venire il colesterolo o il tumore propter regnum coelorum, perchè io con tutte queste menate non ho proprio nulla a che fare.
    Se vuoi il permesso di farmi fare da cavia o da bersaglio, per sperimentazioni varie, a consolazione di persone sofferenti. OK facciamo pure la parte del cattivo legalista, osservante tutore delle regole….
    Soltanto che questo non sono e che a casa mia mi danno del libertario, perchè l’osservanza cieca delle regole ( non solo di quelle di un fondatore medioevale ma anche di chi non può vivere se la porta non è aperta/chiusa o socchiusa a seconda del suo estro e anche -perdonami – del buonista di turno ) a scapito del rispetto delle persone, mi fa spendere parole che vengono subito tacciate di mancanza di rispetto, ecc,. ecc. Vedi dunque. Cornuto e mazziato, si dice da noi
    Sono dunque una povera vittima che si compatisce ? Può darsi ma forse se ci si rispettasse un po’ di più senza voler regolare la vita altrui in nome del fondatore, del vangelo, del patto coniugale, di quello che mi ha insegnato la mamma, il nonno, la tradizione nobiliare o plebea in cui sono stato educato, si starebbe un po’ meglio e si otterrebbe che gli altri potessero tirar fuori il meglio di sè, fraterno, amichevole, assistenziale, giuridico-canonico, dolcissimo, austerissimo : chissenefrega!!!!.
    Tanto per dire come le generalizzazioni sono pericolose e i pregiudizi possono proliferare: io mi sono preso da un santo signore una reprimenda che ricordo ancora perchè gli dissi che mi sembrava poco austero ( ero in preda ai fumi dell’estremismo giovanile che è impossibile da prevenire e difficilissimo da curare) che alcune persone che stavano con me si facessero la doccia calda. Mi sono preso un “fatti i fatti tuoi e non ti permettere di giudicare” che ancora mi fa correre nel ricordo. Era il 1960! 50 anni fa! Quindi non scopriamo oggi….l’acqua calda! Perciò vedi che il mondo non comincia oggi e se vogliamo farlo progredire occorrerebbe che ci si lasciasse spazio reciproco.
    Quindi se nel contesto del blog, io per evitare futuri dolori ad una potenziale novizia, ricordo che c’è ANCHE, NON HO DETTO SOLO, LA CROCE, dall’alto della quale il Signore ci ama e ci consola, non vedo perchè debba venir aggredito dicendo che ” è ora di finirla di dire che il cristianesimo è solo Croce e via via bla blando” Se serve per consolare qualche cuore sofferente, mi faccio pure mettere alla gogna, ma io non ho detto questo.
    Non te la prendere….Ma perchè insisti….. Ma allora ti sei preso le cose “di pancia”…..
    La risposta c’è e non è di pancia.
    La dico e chiudo: se sono amico e consolo una persona,è impossibile che possa contemporaneamente consolarne altre 500 e poi non so se sarei in grado di trovare il modo giusto per consolarle. Se io dirigo il loro sguardo verso Gesù inchiodato e innalzato sulla >Croce, lui da lì non scende, si vede bene, mi dice sempre che mi perdona e mi da sempre sua Madre, che dalla morte si risorge. E una volta trovata la strada potranno sempre ritornarci.
    Nel frattempo, io non vado all’osteria o mi metto a pensare qualche penitenza tortuosa per metterli alla prova e farli meritare, prego per loro e continuo a pensare come aiutarli. Buoin pranzo e cerchiamo le cose di lassù e magari qualche manicaretto di quaggiù.

  152. MM. ha detto:

    @sciagurata, io non ho scelto il celibato per fare, né per avere amicizie né perché ho bisogno di sentirmi amata..l’ho scelto, a 16 anni, perché sentivo che per me era l’unico modo per essere disponibile e generosa con Dio e perché mi piaceva e perché mi piacevano le persone così. Grazie a Dio ho passato le mie crisi e forse sono in crisi pure ora, non lo so. Quello che so è che sto maturando nella mia vocazione e che invece di farmi prendere dal pensiero(che peraltro mi viene) “Me ne vado perché non ce la faccio più” rimango fedele alla mia vocazione perché innanzitutto so che risponde alla parte vera di me, secondo poi perché mi sento legata al mio Dio, che in questo momento non sento, dall’amore per certe persone e dal loro amore per me. Persone che amo e chi amano. E che mi fanno anche soffrire.

  153. MM. ha detto:

    * errore all’ultima riga: persone che amo e che mi amano

  154. Tres ha detto:

    “Eppure nel tuo messaggio si avverte un bisogno, una necessita di amicizia. Qualcosa del tipo: per vivere il celibato ho bisogno di amicizia, ho necessita di sentirmi amata.” Secondo me @Sciagurata quel bisogno di amicizia si sente in tutti i commenti scritti fin qui dall’inizio del blog a questo mio che sto scrivendo. Non è che per vivere il celibato o il matrimonio o la vita religiosa o…c’è bisogno di amicizia. E’ che per vivere c’è bisogno di amicizia. Forse è che la parola amicizia è un po’ nuova, per anni si è solo parlato di amore. Amore è una parola grande, ma a volte diventa un po’ un calderone in cui infilare tutto. Invece amicizia è più specifico, poco teorico: amicizia è due amici. Amicizia è sentirsi amati ed amare e quando i conti non tornano, non tornano subito. Con l’amore si puo fare più confusione, più teoria. MM dice “mi sento legata al mio Dio, che in questo momento non sento, dall’amore per certe persone e dal loro amore per me”. Mi sembra bellissimo. L’amicizia mi sembra la parte pratica dell’amore, l’amico il ponte con Dio.

    @Don Gianpaolo io quello che lei sente detto contro di lei, non l’ho trovato da nessuna parte. Mi dispiace tanto che sia arrabbiato .

  155. Mauro Leonardi ha detto:

    @Gianpaolo
    Ciao! Sto cercando di mettere assieme qualche minuto per la risposta all’altro commento e mi arriva questa… sorpresa. Mi dispiace molto non essermi accorto di quanto soffri al pensiero che quelli che ti conoscono come “libertario” o tante altre cose (un’altra volta se non ricordo male era il tuo modo di rapportarti con le donne…. non so non mi ricordo bene…) possano attraverso il blog avere un’immagine distorta di te. Io cerco di essere il più semplice e diretto possibile. Forse è un problema collegato con l’assenza di nickname ma capisci bene che se Antonio, o Paola, o Patrizia (per dire quel che sono sul blog col loro nome) mi facessero un discorso analogo io non saprei che pesci pigliare.
    Concludo solo – tanto per essere sicuro di non essere frainteso – che la frase a proposito della necessità di diversità di posizioni per avere relazioni non è riferita a te ma, in generale, a cos’è una relazione. “Il dono in quanto tale, come accade per ogni relazione (che è molto di più che una generica «condivisione»), ha bisogno di due estremi diversi.” (Come Gesù, p. 288): Donati docet (nel senso che questa frasetta me l’ha scritta proprio lui… gli avevo fatto vedere l’introduzione alla Meditazione di GP2).
    Ciao!
    A più tardi.

  156. Vera ha detto:

    @ don Gianpaolo e @ padre Mauro… Dio vi benedica entrambi, non sono molto brava a parlare,non sempre vengo capita, ma questo poco importa, siete importanti entrambi, il mondo ha bisogno di voi, come sapete fare, e anche io sarei felice nel vedervi anche così pizzicare ma con un cuore pieno d’amore. Oggi riflettevo sulla Croce e sul fatto che Gesù pur potendo scendere non lo fa, per me… per me che non so farlo. Lui resta inchiodato alla sua croce per insegnarmi a non sentirmi sola quando non posso muovermi. E come farei allora a resistere se Lui non fosse con me e siete voi angeli in terra a trasmettermi l’amore del Padre nel Figlio.I miei interventi probabilmente escono sempre fuori tema ma è quello che mi esce dal profondo del cuore e che sento di condividervi sentendovi vicini e vicini entrambi…. spero veramente che non lasci il blog padre Giampaolo

  157. Mauro Leonardi ha detto:

    Dimenticavo: Annibale Viscomi,Vincenzo Martucci, Giovanni Squadrito, Vittoria Patti… così… per aggiungere qualcun altro……

  158. Mauro Leonardi ha detto:

    Vera grazie infinite! è molto bello quello che scrivi. Molto molto.

  159. Antonio ha detto:

    @fefral, @donMauro: io credo che il celibato sia funzionale (ad eccezione di quello dei religiosi) … è l’amicizia a non esserlo. L’ho sempre inteso come “resto celibe per formare all’amicizia vivendo solo di amicizia” … per coniugare messaggio e vita. Non pensate che sia così?

  160. Dory ha detto:

    Caro Don GianPaolo…C’erano molte cose nella mia vita che mi tenevano lontana dalla Chiesa. Cose personali, il mio innato orgoglio, gli sbagli, la vergogna…Tante cose. ma c’era anche un elemento esterno che mi infastidiva…Una generale “tristezza” della nostra religione, una quasi generale divinizzazione del dolore in sè. Non come conseguenza di, non come strada per (donare, donarsi, far del bene…) ma noi non dobbiamo annunciare forse il Vangelo e cioè la buona novella( anche se impegnativa)? Io credo che tutti sappiamo che il dolore fa parte della vita. Che spesso proprio attraverso il dolore cresciamo, amiamo, siamo Uomini: nessuno nega questa realtà che rende veramente Umana la nostra vita! Il problema è che spesso nella Chiesa si ha l’impressione che si voglia proporre ed imporre il dolore abbia un valore in sè, solo in sè…sganciato dal dono, dall’amore, dalla promessa d’eternità, a volte (mi scusi) anche dal più comune buon senso…Quello che io voglio dire, che va benissimo far amare la croce, ma facendo ben comprendere che essa è la via per un Bene e una Felicità più grandi. Che Dio non vuole la nostra sofferenza e tanto meno che noi ce la cerchiamo da soli…E nemmeno vuole che se il male arriva a dispetto della nostra volontà lo viviamo rassegnati e quasi felici (?!?) come una sorta di testimonianza della “predilizione” di Dio nei nostri confronti o come una sorta di “prova” per vedere quanto siamo bravi e fedeli…Mi consentirà che un Dio così…Non sarebbe un dio dell’Amore ma un sadico senza pietà! E spesso però è questa idea di Dio che nella Chiesa (NON DA LEI) viene diffusa! e credo che è contro questa idea di Dio (NON CONTRO DI LEI) che Don Mauro si accalorasse tanto…
    “Padre…allontana da me questo calice…” “Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato?” Gesù stesso..Gesù che moriva per darci l’eternità…Gesù stesso “soffre” il dolore e chiede al Padre (al papà che il Filgio ama…) di evitarglielo se possibile, rimettendosi, poi, alla Sua volontà! Per quanto riguarda il dolore come esperienza attraverso cui spesso si raggiunge l’amore (Ma è l’amore il traguardo, non il dolore!!!), proprio Don Mauro ce ne ha data una testimonianza delicata e personalissima: quando parlando, con pudore e misura propri della gente della sua terra lombarda, della morte dei suoi genitori, ci ha raccontato come la scomparsa ravvicinata di suo padre e sua madre lo abbia fortificato nell’idea dell’indissolunbilità del Matrimonio, del valore della fedeltà, lo abbia fatto pensare con intensità al destino trinitario (di unità, purezza e relazione) di ognuno di noi nella vita eterna (e chissà..io penso – ma la mia è pura supposizione- che l’idea di “Come Gesù” sia nata proprio qa seguito di queste esperienze così dolorose…) etc: insomma ha raccolto tanti frutti da quel dolore immenso…La croce l’ha proprio abbracciata in quelle situazioni e chissà quante altre volte…Come tutti noi. Come lei quando è morto il suo amico, come lei che sicuramente si è prodigato sempre per gli altri e si è sentito ferito dalla parole di Don Mauro…
    Tutto si riduce a questo…Vedere la croce come punto d’arrivo o punto di partenza. Come espressione di rassegnazione o come espressione di Amore che passa anche per la sofferenza…Come Speranza. Sì quella “Beata Speranza” che voi sacerdoti annunciate a noi madri il giorno del battesimo dei nostri figli…La Speranza della vita eterna. la Speranza che le creature che abbiamo partorito e per le quali ciascuna di noi sarebbe pronta a dare la vita qui e ora, come tutte le persone a noi care…le rivedremo per sempre. Le ameremo per sempre…Nulla andrà perduto e anche le lacrime, allora sì, potranno ritrovare un senso e una consolazione (non consolatoria)…

  161. Patrizia Cecilia Giardi ha detto:

    Cara dory, posso consigliarti il libro“Abbracciare la Croce. Dolore, libertà e tenerezza in Dio”,del prof. Alessandro Meluzzi, famoso medico, psichiatra e psicoterapeuta,di qualche anno fa?
    Fondatore delle comunità di accoglienza del disagio psichico ed esistenziale per minori e adulti “Agape Madre dell’Accoglienza” e ordinato ipodiacono nel rito greco-melchita cattolico, Meluzzi è inoltre Direttore scientifico della Scuola Superiore di Umanizzazione della Medicina. A me è piaciuto moltissimo.Non ha forse le risposte a tutte le tue domande ma vale lapena leggerlo.Personalmente credo che la croce ci indichi la via per superare il dolore…il dolore ha il suo significato nell’abbraccio della croce….senza quell’abbraccio il dolore è solo crudele e senza senso. Ho sintetiozzato molto, ho tirato la conclusione di un discorso che potrebbe riempire pagine e pagine……ma alla fine…..il senso sta in una frase…almeno per me…

  162. Patrizia Cecilia Giardi ha detto:

    @Giampaolo @Mauro: partite da posizioni diverse per convergere nello stesso concetto della croce. Ho letto molto bene…… Non trovo differenze nelle conclusioni dei vostri scritti….

  163. Mauro Leonardi ha detto:

    @Gianpaolo nel tuo intervento trovo tre argomenti.
    Il primo è il fatto che ti dà fastidio chi si comporta da profeta. Non ho nulla da eccepire. Naturalmente spero che tu non metta sullo stesso piano chi – come me – ritiene indispensabile per l’attuale società (la nostra povera Italia, e la Chiesa in Italia) il lievito della cultura e della riflessione. Un po’ mi insospettisce l’aggettivo “gnostico” ma lo interpreto benevolmente. Poi mi sembra evidente che quelle che io esprimo sono solo delle mie opinioni: non mi sembra che ci sia bisogno che io continui a ripetere di non essere il Papa! dico spesso di non essere esperto laddove non lo sono (cioè in quasi tutto). Stilisticamente non è possibile dire continuamente “mi sembra”, “forse”, e abusare di condizionali e congiuntivi. Comunque se vuoi potremo parlarne. Tieni presente che in questo blog c’è stato chi se l’è presa (benevolmente) con me perché non prendo posizione!
    Il secondo riguarda l’argomento della Croce. Io – ovviamente – dico la stessa cosa di B16 nell’omelia postata da Antonio (che sono poi le cose di sempre): la Croce manifesta l’Amore. E come si potrebbe pensare diversamente? Comunque ne parleremo nei prossimi giorni.
    Il terzo riguarda la questione della differenze tra a) amicizia e amicizia “particolare” (sono quelle che tu chiami “chiese e chiesuole”); e b) amicizia e direzione spirituale. Di questo sì vorrei parlare, anche se brevemente, a partire da quanto tu affermi: “Essere amici, sì, ma si possono anche creare le chiesuole, le critiche, i gruppetti, che s. Paolo stigmatizza con molta energia. Tra persone che convivono, specialmente se coltivano l’emotività, (come capita oggi in cui siamo tutti ancora un po’ adolescenti ) non è facile distinguere tra la confidenza di una preoccupazione spirituale e apostolica, da amico ad amico e la creazione di un rapporto di direzione spirituale fuori della volontà di Dio. Io temo di affermare “ho pochissimi amici” e ho molti fratelli; io desidererei poter dire tutti sono miei amici, chi più chi meno. Perché si tratta anche di una questione di affinità umane che non possono essere trasformate tutte dalla grazia. (…) Questo fatto poi di dover essere amici ad ogni costo è una delle cose più imbarazzanti e antinaturali che esistano.”

  164. Mauro Leonardi ha detto:

    Partiamo da a) amicizia/amicizia particolare
    In Come Gesù ho dedicato tre pagine (pp. 195-198) a questo argomento. Mi verrebbe una gran voglia di fare un bel copia/incolla e di rimandarti lì, ma poi ho paura di beccarmi del profeta. Quelle sono pagine frutto di molto studio, molti colloqui con molta gente che vive quella sofferenza, e molto consultare di molti esperti (a cui chiedo di intervenire ancora qui se ne hanno voglia e soprattutto se dirò – come probabile – cose inesatte).
    Ti dico in sintesi l’idea che mi sono fatto.
    Dando per scontato che è sempre esistita nel cuore dell’uomo la tentazione di creare fazioni (il diavolo è “separatore” per eccellenza) la nomenclatura di “amicizia particolare” risale nella chiesa a gente come Benedetto, Chiara di Assisi o Aelredo, insomma persone cui faccio tanto di cappello. Lì però la questione è posta in maniera radicalmente diversa rispetto alla visione deformata che si fa largo successivamente in tanti strati della vita ecclesiale. Ai loro tempi – nelle regole lo scrivono – si diceva che l’abate o la badessa (da “abba”, padre: cioè in senso trasfigurato si parla di chi è “padre” o “madre” nella comunità) non devono trattare in modo “particolare” (cioè privilegiato, che faccia nascere gelosie) i singoli monaci e le singole monache (a dire la verità Benedetto dice che l’abate può trattare in modo particolare chi è particolarmente santo, ma direi che in questa sede possiamo sorvolare sulla cosa). Invece poi Santa Teresa dà a questa espressione tutto un altro senso. Lei intende negare l’ “amicizia particolare” proprio nel senso di vietare l’amicizia, che tra le monache non ci debbano essere amicizie. Nel mio libro riporto qualche brano. Io sono certo che gli attuali carmelitani e carmelitane (mi piacerebbe che venissero sul blog a spiegarcelo…) attualmente contestualizzano le parole di questa Santa e Dottore della Chiesa e le rendono comprensibili alle nostre orecchie perché ora come ora, prese letteralmente, sono semplicemente disumane. Forse – dico forse – non lo sono se si pensa che la vocazione delle carmelitane ha radice eremitica (carmelo, Elia ecc.) per cui posso anche arrivare a capire – con grande sforzo, ed è lo sforzo che faccio nel libro – che in una particolare spiritualità tutto ciò abbia senso (sempre nell’ipotesi che la vocazione eremitica “tout court” oggi come oggi abbia ancora senso nella chiesa, cosa della quale dubito fortemente…).

  165. Mauro Leonardi ha detto:

    Il vero problema è che qualche funzionario ecclesiale (uso apposta questa terminologia) – sto pensando alle diverse modalità gerarchiche che ci sono nella chiesa – di cinque, quattro, tre secoli fa, ha esteso quella norma, più o meno, a tutte le congregazioni religiose, agli ordini, e perfino ai seminari. Io conosco preti di ottant’anni che mi dicono che ai loro tempi in seminario veniva insegnato che dovevano imparare a non avere amicizie – e si usava in proposito l’espressione “amicizie particolari”. Questi sono fatti. Chi ha operato tutto ciò? Sicuramente hanno avuto mano pesante alcuni gesuiti che un tempo avevano molto forte l’idea della chiesa come esercito (e di un certo tipo di esercito: quello che marciava in un certo modo e che era carne da macello in un certo modo) (i gesuiti di oggi, grazie al cielo, su questo mi sembrano molto cambiati). Voglio aggiungere che fa molto comodo a chi comanda avere dei bei gruppi di persone che funzionano come soldatini che non litigano tra loro: e se per ottenere che non litighino e che non facciano gruppetti si deve ordinare loro di non parlare (perché di questo si tratta!) beh, che si faccia pure! Adesso tu mi dirai: ma la chiesa ha avuto tanti santi! Ma certo caro Gianpaolo che ce li ha avuti: ce li ha avuti “nonostante” questo, non “grazie” a questo! Pure nei lager e nei gulag ci sono stati tanti santi. Sicuramente conosci il Diario di Santa Faustina: dimmi se – insieme a qualche lodevole eccezione – non ti vengono i brividi guardando all’ ambiente dove viveva. D’altra parte se Aristotele e Cicerone dicono che una vita senza amicizie è disumana e che l’amicizia è il bene più grande che c’è (e loro non erano cristiani) qualche ragione ci sarà per pensare che un posto dove non ci sono amicizie è qualcosa di simile a un campo di concentramento. Io – sinceramente – credo che lo sconquasso del post concilio sia in parte dovuto anche a questo: una specie di “golpe anti-disciplina” di eccesso opposto. Da dopo il concilio nella chiesa di passi in avanti ne sono stati fatti tanti, anche se tanti ne restano da fare (a mio modo di vedere “non profetico”). Per esempio negli Statuti dell’Opus Dei (1982) non c’è minimamente cenno alla questione delle amicizie particolari anzi si dice proprio il contrario. Al Cap. III art. 117 si dice (è in latino): “Omnes nos amici sumus -“vos autem dixi amicos” (Ioann. XV, 15)-, immo eiusdem Patris filii ac proinde in Christo et Christi una simul fratres”. Che tradotto in italiano è (il soggetto implicito sono i fedeli della Prelatura, ndr) “Noi siamo tutti amici – “Vi ho chiamato amici” (Gv. XV, 15) – anzi figli dello stesso Padre e pertanto fratelli in Cristo e di Cristo.” [Tanto per essere chiari, se non mi sbaglio, è l’unico versetto del vangelo citato negli Statuti oltre a quello di Matteo del “chi può capire capisca” del celibato].

  166. Mauro Leonardi ha detto:

    Io in Come Gesù non ho voluto citare gli Statuti dell’Opus Dei perché nel mio libro ho voluto parlare del celibato dei laici in sé e ho parlato dell’Opus Dei lo stretto necessario dal momento che è l’unica realtà ecclesiale – che io conosca – che è radicalmente laicale (cioè non ha voti). E’ da lì – dagli Statuti – che ho preso il nerbo del libro che appunto è Gv 15,15: “vi ho chiamato amici perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi”. Che il comandamento dell’Amore sia il centro e la caratteristica del vangelo (e ce ne sono un’infinità di esempi anche in san Paolo) – e che questa sia la ragione della Croce – ovviamente non lo dico io. Un esperto mi ha detto una cosa molto bella. E’ la spiegazione del motivo per cui Giovanni scrive due volte nell’Ultima Cena il comandamento nuovo (vv. Gv 13,34 e Gv 15,12). Come è noto – dicono gli esperti – il vangelo di Giovanni (io, per semplificare, lo chiamo vangelo di Giovanni…) per quanto riguarda la Passione ha avuto una doppia stesura. Lo si capisce dalla cesura che c’è alla fine del cap. 14 che termina con “Alzatevi andiamo via di qui” e ha il suo prosieguo logico in “Detto questo Gesù uscì..” del cap. 18. Cioè gli esperti dicono che Giovanni inserì in un secondo momento i capitoli 15, 16 e 17. Ora il motivo del raddoppio del mandatum novum starebbe proprio lì, perché Giovanni ha voluto che sia nella versione “breve” (13, 14, 18…) che in quella lunga (13, 14, 15, 16, 17, 18…) il versetto del mandatum novum fosse fisicamente – cioè matematicamente – quello centrale. Intendo proprio dire in senso simmetrico. Per ottenere questo, nella seconda versione lo ha riscritto. Se non mi sono spiegato o ci sono dei dubbi dimmelo perché ho l’esperto ha portata di mano e posso farlo intervenire. Quindi niente di particolare che l’amore, e in particolare l’amore di amicizia debba essere come spiega Gesù – non Aristotele e Platone – il centro di ogni comunità cristiana. E se dobbiamo correre il rischio dei gruppetti, beh corriamolo: per vivere il cristianesimo ne corriamo tanti di rischi! Guarda che io non ce l’ho affatto con i religiosi. Oltretutto trovi nel blog una bellissima recensione al libro fatto da una clarissa. Anzi proprio tra i religiosi, dall’idea dell’amicizia che c’è in un capitolo e in una comunità, nasce l’attuale idea di democrazia della nostra società. Quando io penso all’amicizia penso a quello che ho visto nel film “Uomini di Dio” (quello sui monaci uccisi in Algeria). Oltretutto questo discorso dell’amicizia – che secondo me è progettualmente legato alla vocazione al celibato – riguarda tutti e moltissimo gli sposati. Tanto per non fare esempi, io sono molto contanto quando Paola dice di essere “amante innamoratissima” di suo marito, ma vorrei chiederle se ha per suo marito la stessa amcizia che ha per Carlotta (scusate Paola e Carlotta, non vi conosco: faccio il vostro esempio solo perché è una situazione chiara a tutti i lettori del blog). Cioè io penso che l’unica seria possibilità oggi come oggi perché i matrimoni durino è che i coniugi imparino anche a diventare amici. Cosa che nella civiltà umana non è quasi mai avvenuta!

  167. Mauro Leonardi ha detto:

    Ora, una volta detto che è Gesù ad additare l’amicizia come obiettivo comune, – e he non è una questione collegata alle “comunità” – questo né significa che sia facile né significa che sia qualcosa di progettabile a tavolino. Io lo chiamo un obiettivo tendenza. Per questo io dico di avere molti fratelli e sorelli con i quali ho ottimi rapporti di cortesia, di stima, di “carità”, di buona educazione (e ti assicuro che in certi casi non è poco, e a volte rimane una chimera – intendo la buona educazione); molte persone di cui sono direttore spirituale o con le quali mi viene consigliato di farmi dirigere spiritualmente (e lo faccio volentieri), ma ho pochi amici. Mi piacerebbe lo fossero tutti ma non ci riesco. Io penso che il guaio sarebbe se progettualmente escludessi qualcuno (questo sì sarebbe l’inizio dell’amicizia particolare) ma se mi “sforzo” di esserlo con tutti…

    b) sul rapporto direzione spirituale/amicizia ho scritto nel libro. Sul rischio dei consigli dati da un amico e da un direttore spirituale ho fatto questo esempio: “Così come è normale che io parli con i miei amici della mia salute fisica (la spalla mi fa male ogni volta che cambia il tempo) e ascolto i loro consigli (la colpa è tua che non ti vuoi mettere la maglia di lana) ma non mi passa neppure per la mente che i loro consigli siano sostitutivi di una visita medica (e questo, se è una malattia seria, anche nel caso che i miei amici siano medici ma non siano «il mio medico»). Forse anzi ci saranno malattie di cui non parlerò con nessuno che non sia il mio medico di fiducia, anche se non mi sognerei mai di dire o di proclamare che si può parlare di salute solo con il medico personale. Allo stesso modo (anzi forse con un di più di prudenza data la delicatezza della materia) devo comportarmi con la mia vita interiore.”

    Comunque Gianpaolo –al di là delle leggi e dei regolamenti – sono convinto che far vincere queste due paure (amicizie particolari e confusione direzione spirtuale/amicizia) conduce a uccidere l’amicizia nelle relatà ecclesiali. E questo è la morte del cristianesimo. Perché “Regnum Dei intra vos est” non vuol dire solo che il Regno di Dio è dentro di voi (intimisticamente) ma anche tra di voi: nelle vostre relazioni, nelle vostre amicizie.

    Comunque Gianpaolo ti prometto che per un po’ di giorni io su questo argomento non voglio più tornare.
    (FINE)

  168. Paola e Carlotta ha detto:

    ;-)

  169. Mauro Leonardi ha detto:

    Spero fosse chiaro che veramente ho fatto il vostro nome solo perché è l’unico caso – evidente a tutti i frequentatori del blog – di due donne che sono amiche e di cui una delle due (per lo meno…) è sposata.

    :-)

  170. Vittoria Patti ha detto:

    “Regnum Dei intra vos est” non vuol dire solo che il Regno di Dio è dentro di voi (intimisticamente) ma anche tra di voi: nelle vostre relazioni, nelle vostre amicizie.
    Non so voi, ma io non saprei che farmene di un Cristianesimo senza questa cosa qui. Io non voglio niente di meno di questo: «…Guardate come si amano!»

  171. Vera ha detto:

    @ padre Mauro Il suo cuore è bellissimo, Dio possa riempirlo del suo Spirito. Le auguro di essere sempre segno e strumento per coloro che la incontreranno…. e chissà un giorno… possa godere di questo beneficio. In comunione padre!

  172. Giaa Paolo Colò ha detto:

    Paola del 20 maggio, 12,05 . Hai perfettamente azzeccato la questione. Come sempre le donne capiscono in modo sintetico e comprensivo. Ti posso assicurare che ricomincio ogni giorno, come un giovanotto, anche se gli altri guardano dall’esterno tramite l’involucro del corpo, delle parole e della loro storia personale, solo Dio legge nel cuore. Grazie per avermi fatto capire meglio la questione.

  173. Vera ha detto:

    @ don Giampaolo, grazie per esserci ancora… la sua assenza per un pò mi ha fatto pensare! ricominciamo credo tutti sempre da capo ogni giorno e non importa cosa pensa l’altro, innamorati di Gesù andiamo sempre avanti in comunione di preghiere

  174. Giaa Paolo Colò ha detto:

    Ti ringrazio dell’attenzione. Non ti preoccupare dell’infervoramento. Io sono un emiliano viscerale e gli argomenti scottano perchè toccano la carne viva. In Sicilia si dice “Chi mancia, fa muddica” che si può tradurre così:”Chi mangia, sparge molliche intorno”: è inevitabile sporcare un po’.
    Ogni mattina prego nella s. Messa – è la vera forza nelle debolezze e nelle oscurità, senza nessun fenomeno mistico straordinario – per tutti nel blog, a cominciare da Polifemo, perchè forse sono anch’io un po’ Polifemo

  175. Tres ha detto:

    Grazie Don Gian Paolo per l’offerta della Messa. Veramente.

  176. Paola ha detto:

    ;-)

  177. fefral ha detto:

    scusate, io faccio fatica a trovare la causa di questo litigio tra preti. Amare la croce è cosa diversa da amare il dolore. La croce è il dolore che redime. Amare il dolore è contro natura. Amare la croce significa rendere fecondo il dolore.

    Don Mauro, ma lei di scrivere un po’ più sintetico proprio non ce la fa, vero?
    Non mi è chiaro il filo col discorso di prima, ma tira in ballo due temoni di quelli grossi, anche se forse un po’ per pochi. Il discorso delle amicizie particolari è un problema che io ho riscontrato solo in ambiti di vita di comunità, nel mondo “di fuori” non credo ci sia nessuno che si ponga questo problema, e questo secondo me già è un punto di partenza… cos’è, roba da religiosi?
    Amicizia e direzione spirituale mi sembra un po’ per addetti ai lavori, anche se una frase scritta da MM qualche commento più in su mi fa pensare che forse varrebbe la pena approfondire (parlo dell’andare a passeggio col prete che avevo già commentato). Si può essere amici del proprio direttore spirituale? Io credo di sì. Ma solo se il direttore e il diretto hanno ben chiari entrambi i confini della direzione spirituale. Altrimenti si fa un gran casino. Secondo me molti direttori spirituali, soprattutto laici, non conoscono la differenza tra amicizia e dir. spirit.

    Solo che, don Ma’ deve scrivere un po’ più in pane e salamese, siamo in un blog, io leggo dal cellulare mentre cammino per strada….abbia pazienza, sarà pure fantastico come scrive Vera ma è un po’ logorroico!

  178. Polifemo ha detto:

    Don Ma’, io scrivo solo pe’ ditte che me so’ rotto er cazzo de tutta sta gente adorante de don Ma’. E poi pe’ na vorta c’ha ragione Fefral… parla come magni no? e nun se capisce ‘n cazzo, dai. Poi io ‘sto qui nun pe’ te- pe’ la tua bella faccia – ma pe’ la gente che scrive e che con te nun è d’accordo. Bravo Gianpa’ dai e ammolla su. Bravo sto’ co’ te. Ma che c’hai avuto er terremoto en emilia?
    E poi che sono tutte ‘ste oche starnazzanti ner pollaio? So’ io o no er mejo gallo? (Vabbé dai m’è uscita male… vollevo fa’ la battuta).
    Ciao siete tutti belli.
    (Pure te don Ma’)

  179. Giaa Paolo Colò ha detto:

    Fefral. Non è un litigio fra preti: è una disputa teologico-pastorale. Lutero con gli amici luterani e i cattolici avversari si dicevano parolacce da far rabbrividire persino una…..manager del nostro tempo ( che mi dice un mio caro amico sono capaci di far arrossire le orecchie di un marine ).
    La questione è complicata. Parleremo.
    Quanto poi alla questione della amicizie particolari ( non in senso erotico ma semplicemente nel senso di creare cortocircuiti relazionali, che escludono gli altri) la mia esperienza professionale prima e sacerdotale poi mi ha insegnato che possono nascere in molti ambienti e sono spesso molto dannose al clima di collaborazione e anche ai rapporti di giustizia e guastano spesso i gruppi di amici. Quindi è un tema di interesse a mio avviso, dovunque ci siano rapporti personali che superano il semplice scambio di informazioni professionali.
    Sul discorso dell’amicizia tra direttore spirituale e diretto ( mio Dio che brutta espressione ) a me sembra che possibile, sempre che ci si mantenga su un piano di amicizia sportiva, come di allenatore e allenato, con solidarietà, comprensione, ma senza passeggiate, merendine o altre intimità: una bella cena di famiglia può aiutare, cose di questo genere.
    Il problema nasce quando in una impresa sportiva, per esempio, nascono i cosiddetti “problemi di spogliatoio ” cioè i giocatori fanno gruppetti e comunella per interferire nel gioco di squadra. Si può dire lo stesso in una impresa apostolica e io penso che il celibato non sia funzionale ma debba essere finalizzato. Non sono un grande esperto di queste tematiche; parlo alla luce dell’esperienza. Chiudo. Però tu non leggere per la strada, sennò vai a sbattere contro il classico lampione.

  180. Mauro Leonardi ha detto:

    @Totalmente d’accordo con Gianpaolo.
    In Come Gesù quando parlo di amicizia parlo di “tre particolari attenzioni” da avere che sono: le “amicizie particolari”, il rapporto amicizia/direzione spirituale, e l’amicizia uomo/donna che nel caso di persone che vivono il celibato sembra essere una questione particolarmente delicata. E’ vero che così come l’ho presentata nel libro ha una certa aura “ecclesiale” però non sono altro che casi particolari di quanto avviene negli ambienti di lavoro (come dice giustamente Gianpaolo) nel rapporto di coaching, allenatore e quant’alto (come dice giustamente Gianpaolo) e… per quanto riguarda l’amicizia uomo e donna credo sia una questione delicata anche per chi si sposa (e un po’ per tutti) non solo per chi vive il celibato.
    Grazie.

  181. fefral ha detto:

    boh! Don Mauro, sa bene che il suo libro mi è piaciuto molto, ma la paginetta sulle amicizie tra uomo e donna mi è sembrata un po’ la solita minestra riscaldata
    Don GianPaolo, se non leggo per strada dall’iphone non leggo. In altri momenti non ho tempo

  182. fefral ha detto:

    Come mai adesso i preti sono d’accordo? Ci fosse per caso un’amicizia particolare dietro le quinte? Oppure è che contro il comune nemico si diventa amici?
    Io sinceramente ‘sta cosa delle amicizie particolari l’ho sempre considerata un’idiozia. Ne vogliamo parlare? Parliamone.
    Qual è il problema se sono più amica di Polifemo che di don Mauro? O se sento più affinità con Domenica che con Paola? Perchè non posso avere un rapporto con Sciagurata diverso da quello che ho con Antonio? Oppure una maggiore simpatia per Dory che per Ribelle?
    Cos’è che fa paura?

  183. fefral ha detto:

    invece di diretto cosa possiamo usare?

  184. MM. ha detto:

    @fefral te l’appoggio, non vedo problemi nell’avere gradi diversi di amicizia, anzi mi sembra la cosa più normale. Forse dobbiamo iniziare col confrontarci su cosa intendiamo per “particolari”.. Ora sono di corsa, ma ci penso su!

  185. Giaa Paolo Colò ha detto:

    Miiii…, come sei pizzuta! direbbero a Palermo! Certamente si possono anzi direi che inevitabile che ci siano tonalità diverse nell’essere amici. Forse un esempio può servire: spesso a scuola, le ragazze o i ragazzi si dividono in gruppetti, che non si frequentano, non si intendono, si guardano in cagnesco, si fanno scherzi pesanti, ecc. C’è tutto un genere “college” nei films e nelle serie televisive per ragazzi che gioca su queste dinamiche di esclusione e di successive aperture che costituiscono l’happy end del film o della puntata. L’amicizia particolare è una amicizia che esclude. Questo mi risulta chiaro e si può dare in una corsia di ospedale tra i medici, in un ufficio e anche in una famiglia numerosa. Io ho avuto modo di vederlo in varie occasioni e ho constatato che è motivo di sofferenza umana, il che significa di fatto mancanza di carità cristiana. Nel caso di comunità molto chiuse può dar luogo anche a relazioni con sfumature affettivamente morbose, ma non era certo a questo che ci volevamo riferire ( almeno io ma penso anche d. Mauro ) nel nostro discorso. Passo e chiudo e mi diverto…al tuo stile pizzuto!

  186. Guardiamo Avanti ha detto:

    voglio dire una cosa, in risposta a Polifemo e fefral e a tutti quelli che pensano che qui si adori dMauro.. Grazie don Mauro, grazie perchè c’è (anche se non è merito suo questo;)) e grazie per come è. Sono felice che lei ci sia. e che ci sia questo blog. E potrei andare avanti..

  187. Giaa Paolo Colò ha detto:

    Bella domanda! Io direi persona che si rivolge a lui… Pensa che oggi si preferisce parlare in ambiente di pastorale di “accompagnamento spirituale” per accentuare l’affiancamento fraterno ( o amichevole ) rispetto ad un atteggiamento direttivo e e reciprocamente di sottomissione da parte della persona seguita. Risalta anche meglio l’atteggiamento di servizio che la persona consultata deve avere nei confronti di chi si rivolge a lui. A me però questa cosa non va giù, perchè essendo dotato di un certo senso del macabro e propenso a scherzare, la parola mi evoca il funerale, l'”accompagnamento funebre”, brr!

  188. fefral ha detto:

    allora chiamiamola relazione escludente, e non amicizia particolare. Perchè per me ogni amicizia è particolare. E nessuna amicizia che sia vera amicizia può essere escludente. Perchè nel mio vocabolario amicizia ha un significato positivo e particolare è un aggettivo che può avere diversi significati ma certo non quello di “morboso” “escludente” “poco caritatevole”.
    Le cose vanno chiamate col loro nome. Altrimenti la guerra alle cosidette amicizie particolari diventa guerra all’amicizia.

  189. Giaa Paolo Colò ha detto:

    Mi unisco calorosamente e auspico una clonazione naturale, cioè una moltiplicazione tra molti giovanotti.

  190. Vera ha detto:

    @ Giampaolo…. mi piace il suo siciliano, e la sua simpatia. Io sono una persona che vive l’amicizia e tutti i livelli, preti e non… ma ricordando sempre che nel gradino più alto c’è sempre il prete, padre e fratello a cui va il mio rispetto e la mia stima . Ho sempre nel cuore l’amore che desidero più di ogni altro…. e nessuno può imitarlo nè donare. E’l’amore per l’AMATO … ognuno può tenerenel cuore il proprio amato e quindi l’amicizia è una cosa che mi fa stare su un piano diverso dall’amore. Non posso confondere le cose no???

  191. Giaa Paolo Colò ha detto:

    Meno male che non hai ancora letto il discorso di sopra, perchè spareresti un missile contro la pace fatta )( ma non c’è stata mai guerra nè lite ). Si potrebbe parlare di amicizia degenerata. Quando prevale un sentimento possessivo, la gelosia (di cui si voleva parlare ) allora l’amicizia non nasce o degenera. Hai veramente una idea molto alta e bella dell’amicizia, ma qualche volta può degenerare o nascere guasta. Io – volendo parlare di una specie di casistica clinica dell’amicizia malata- ne ho visto parecchi casi e siccome oggi l’adolescenza dicono che si prolunga e forse non finisce mai, il pericolo a mio avviso c’è. Buona cena.

  192. fefral ha detto:

    beh, io preferisco direttore e diretto. Accompagnatore mi sa un po’ di escort

  193. fefral ha detto:

    non so se parla con me o con Vera. Io ho visto danni fatti dalla guerra alle amicizie particolari che dopo decenni rimangono insanabili. Mi sembra assurdo fare la guerra a tutto per voler scongiurare il rischio di qualche mela guasta.
    Io non so se ho un’idea alta dell’amicizia, mi limito a raccontare come sono le amicizie che vivo

  194. Vera ha detto:

    @ Giampaolo capisco e sono d’accordo solo laddove non si è capito cosa vuol dire AMORE, tra gli adolescenti non esiste questo vocabolo…. o meglio è abusato fortemente…. Dio la benedica padre e buona cena anche a lei

  195. Mauro Leonardi ha detto:

    Quando si arriva a 200 commenti blogger ci ferma. Cominciamo il quinto capitolo. Complimenti a tutti!

  196. Mauro Leonardi ha detto:

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  197. Mauro Leonardi ha detto:

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  198. Mauro Leonardi ha detto:

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