Blog / Lettere | 21 Settembre 2013

Le Lettere di Paolo Pugni – Amor dammi quel fazzolettino

Correndo ho perso un fazzoletto. Ci son rimasto male. Al punto che correndo sono tornato indietro a cercarlo. Per un bel po’. Era di tela, bianco, con le righe blu. Lo avevo da tempo. Non l’ho trovato. E ci son rimasto ancora più male. Poi facendo gli ultimi passi verso casa, me s’è accesa come una luce, ma squillante, dai bordi affilati, taglienti e caldi. Come si fa a provare anche una pallida sofferenza per aver perso un fazzoletto? Che poi lo sai bene non è il dispiacere per aver perso un oggetto e il suo valore intrinseco che ti costringe a spendere ancora –e bada bene che potrebbe essere avarizia, ma diciamo che è solo quella sana sobrietà, come quando rompi per errore qualche cosa che serve veramente e ci rimani male perché è uno spreco, o quando vedi il cibo buttato via, le bucce di Pinocchio, l’osso non rosicchiato fino alla nudità. No. Qui è proprio l’affetto per l’oggetto in sé. E non stare a prenderti in giro dicendo che il ricordo, che è il fatto che era di tuo padre, perché sarebbe aggiungere menzogne ad un alibi. Che smentiscono facilmente altri fatti: quella penna che all’improvviso non trovi e cadi nel panico; quella maglietta, il TUO bicchiere, la TUA tazzina, il TUO posto a tavola, il TUO parcheggio. Che ti ci attacchi più che a coloro che ami. Perché alla fine questa storia qui mi dice solo una cosa forte e chiara, è uno di quei “bottoni per il mio cappotto” come dice mia moglie, vale a dire messaggi personali che Dio mi fa arrivare attraverso le cose, le DIOincidenze insomma: sono troppo attaccato alle cose.

E mi riesce bene a crearmi alibi: perché non è che sia proprio uno sprovveduto. So peccare di fino, mica grossolano. Non mi attacco al SUV o alla camicia firmata, cosa da peccatori principianti, banali, provinciali. No, i miei attaccamenti sono avvolti per bene in uno strato di apparenze importanza, quasi santità: libri ad esempio, che adesso ci si sono messi anche gli e-book. Solo quelli che sono nella priorità 00 tra comodino, cestone del divano e reader sull’i-Pad per leggerli ci vorrebbero almeno sei anni di fila senza far altro, forse solo dormire che mangiare ci pensa la flebo. Poi video, film, telefilm: anche qui quelli istruttivi, che servono per l’orientamento familiare. Persino su spotify creo playlist con canzoni dell’ultimo millennio che a sentirle altro che una vita. Sempre con l’alibi della cultura. Così quando ti squilla nelle orecchie “hai fatto spese per capriccio, vanità eccetera” potresti sempre pensare “chi? Io? Ma no! Solo per cultura, per accrescere la mia professionalità e la mia competenza. La mia santità!”. Ecco che allora arriva lo scappellotto, sotto forma di questi sussurri: del resto Dio non era nel terremoto, ma nella brezza….

Ma l’attaccamento peggiore forse è quello delle nostre idee e questi anni imbevuti e ubriachi di politically correctness strozzano l’amicizia specie sulla rete proprio per via dell’attaccamento morboso a sé e alla propria visione del mondo. Ce n’è stato un assaggio la scorsa settimana proprio con la lettera che ha preceduto questa. Al grido de “l’interpretazione è mia quindi è così” c’è stato un suona di lame senza che sia stata pronunciata una sola domanda. Sono portato a credere che il dialogo vero nasca da domande vere. Nella mia professione di formatore ne propongo due: la domanda aperta di chiarimento “che cosa intendi dire quando dici…?” e quella chiusa di conferma: “se ho capito bene vuol dire che…?”. Chiaro che devono essere sincere. Invece siamo così innamorati delle nostre idee che non sappiamo mai chiedere e tantomeno chiedere scusa: “ho capito male”. E questa presunzione, lungi dal renderci più felici e sereni, c’imbruttisce, ci ingrugna, ci sboccia in bocca e tastiera solo rime aspre e chiocce, dal sapor di Caina. Ecco, se posso chiedere una grazia a Dio è di non costruire la mia vita… contro: qualcuno, qualcosa, il mio passato, il mio dolore. Che di gente che c’ha regalato a mani piene rancore ne abbiamo incontrate tutti. Forse più ch’ogni altro distacco conta quello dalle mie ossessioni, che distorcono la realtà e uccidono l’amore.

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