Blog / Lettere | 24 Agosto 2013

Le lettere di Paolo Pugni – Quelli che io e nulla più

Capito su un articolo che non sai se ridere o piangere. Mi sta succedendo spesso di recente, e la cosa mi preoccupa perché se da un lato evidenzia un mio limite –la presunzione di possedere una fetta consistente di verità che mi consenta uno sdegno serio, impegnato, nobile- dall’altro evidenzia anche la caduta verticale della nostra società dove tutto è un diritto, dato che io esiste, non si deve chiedere mai e arroganza ed egoismo sono profumi con i quali ammantarsi, come ci insegna la pubblicità.

Ma sciolte le remore etiche, veniamo al succo della dolorosa (o addolorata?) ilarità: nell’articolo che riporto che si può raggiungere cliccando qui, si raccontano i curiosi incontri che i librai, quelli ancora in carne ed ossa che vivono in negozi rivestiti di scaffali ricolmi di libri, sono costretti a fare con potenziali clienti e le loro improbabili richieste, così stravaganti e frequenti da suscitare la stesura di un libro-verità.

Ora non è che invoco da spocchiose vette una sharia contro coloro che non distinguono un incipit di Dostoevskij, del quale magari non sanno neanche scrivere il nome, da uno di Tolstoj, o che prendono Berlicche per un aperitivo o Thorin Scudodiquerica per un personaggio di Shrek.

Ma questa preoccupante discesa nell’ignoranza mi atterrisce. Perché è lo specchio di un’anima che si degrada, scolora, si lascia andare in una pigrizia che la soffoca fino a farla sparire. E persone senz’anima mi terrorizzano assai perché sono prive anche di coscienza.

Le idiozie che potete leggere nell’articolo non sono banalità, errori di ingenuotti casualmente capitati in un luogo sbagliato, ma l’affiorare di un egoismo unto e violento, che conduce a porre se stessi al centro di tutto e se non ti adegui sei tu sbagliato. Chiedere ad un libraio un libro adatto ad una ragazza di 19 anni, alta bionda e con una gamba rotta, sui 45 chili e con un bel sorriso non fa ridere come fa la nuova pubblicità di Wind con Panariello e la Estrada, che lì sì si prende in giro l’ignoranza, ma spaventa quanto il guidatore di macchinoni arroganti che ti sorpassano a 200 all’ora parlando e gesticolando al cellulare rigorosamente senza auricolare, come se del loro SUV facessero trombetta. È la medesima violenza di chi non rispetta le code, di chi non si ferma ai passaggi pedonali, di chi ti interrompe, di chi non spegne il cellulare mentre di parla.

È la conseguenza volgare del pensare che ci sono io al centro di tutto.

E che faccio quello che voglio.

Anche restare ignorante se voglio, perché studiare si fa fatica e io ho il diritto di avere tutto senza fare fatica. Anche la sapienza, come se il dono a Salomone fosse un mio diritto.

Mi torna in mente quella dolce minaccia “A chi può essere un sapiente, non perdoniamo di non esserlo”(Cammino 332) che ci ricorda come dobbiamo tutto ad un Altro, anche la capacità di chiedere il libro giusto.

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