Le lettere di Paolo Pugni – Io esiste
Sta lì acquattata finché non molli un po’. Come dentro una bolla che la contenga a fatica, con grande sforzo e che poi pian piano s’ammolla, diventa permeabile, e allora percola, inquina, conquista.
E ti prende “due miglia dopo capo Horn” come la tempesta di Vecchioni (Velasquez) che proprio mentre inizi a rilassarti e a lasciare che la fatica ti evapori di dosso come sudore sotto il sole cocente, proprio quando ti sembra di avere scollinato, di aver tenuto duro, di essere emerso da Mòria, e di iniziare la discesa, proprio allora ti prende alle spalle e ti lacera, ti esplode sotto pelle e sparge le sue schegge ovunque.
Chiamala rabbia se vuoi, livore, ira, collera: sempre egoismo è, di quello duro, che sta dentro di te come un virus sonnacchioso che aspetta il momento giusto per colpire.
E non capisci più nulla quando l’ego si erge gigantesco ad affermare le sue pretese, che avvolge con una generosa carta di ragionevolezza e torti subiti. Tutto ti appare oscuro, un po’ come la realtà vista da Gollum, offuscata e ostile. E quel doppio dialogo si scatena con una violenza che solo che la prova può descrivere, e descrive la sua, perché ognuno la prova ma non sono molti quelli che, per una grazia speciale, la sanno riconoscere e descrivere. E combattere. Perché il cielo è dei violenti di chi violenta la violenza, per tirarsi fuori.
E non ci riesci mai subito, perché questa bestia sa quando prendere il controllo e ti mette da parte, e dentro il tuo corpo s’agita lei come serpente che morde e porta morte. Che ci vuole un grazia speciale, di nuovo, in coloro che ti sono accanto per non farla finita lì, sul posto, e lasciarti solo e pieno di fango.
E non c’è che la preghiera e il digiuno per scacciare questo demone che ha la tua faccia, e le tue voglie, che da voce a tutte le tue tentazioni, e che ti confonde con una felicità fasulla che stinge subito di dolore tutto ciò che tocca. Non c’è che la comunione dei santi di altri che vedano questa tua sconfitta e ti porgano la mano per ritirarti su, come Pietro che affonda nel lago, che arriva sempre un momento in cui ti accorgi che da solo non ce la fai, ma se sei come Will Coyote te ne accorgi troppo tardi che stai camminando sul precipizio, se invece sei come Simone sai a chi porgere la mano.
Ma non è mai una linea secca, perché siamo tardi e lenti di cuore a capire e a cedere, a lasciarci andare, a credere, a fidarci.
Solo allora, solo con una calma lieve che arriva lenta, e senza offendere, come una brezza leggera sulla montagna, riusciamo a strapparci di dosso noi stessi, quell’ego che non è se non la parte peggiore di noi, e a lasciarci abbracciare.
E comincia il vero riposo.
Io… così.
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