Blog / Lettere | 03 Agosto 2013

Le lettere di Paolo Pugni – Lotta

Mal comune mezzo guadio. Dicono. Non è vero. Se non quando il male comune è trascurabile. Un’inezia. Un fastidio. Non funziona l’aria condizionata. Poi forse una volta. Adesso non si tollera più nulla. Neanche un ritardo di dieci minuti. Del treno o dell’aereo. È bastato cambiare parola per giustificare la collera: non più dare in escandescenze, che nella mia infanzia evocava comportamenti decisamente fuori dalle righe, messi in scena da personaggi già di per sé un po’ strani, incapaci di controllare se stessi, pronti a incendiarsi alla minima sbavatura. E guardati con diffidenza oltre che con preoccupazione.

Ecco. Oggi ci si sdegna. Quanta eleganza in questa parola. Incute timore, soggezione. Non ottieni quello che pensi essere un tuo diritto? Ti sdegni. O ancora peggio, ti indigni. Dimenticano che queste parole si rifanno comunque alla dignità che qui oggi sembra non avere nulla a che fare, sembra non c’entrarci proprio.

Però così è. Constato.

Poi arriva casualmente l’occasione di misurare la propria infelicità, non sulle proprie pretese –che oggi siamo infelici appena non possiamo soddisfare il capriccio che desideriamo- ma sul dolore altrui, quello vero, quello che storce la vita, mica le vacanze.

E che cerchi di fuggire, evitando il vicino, cambiando strada quando vedi in fondo al corridoio il collega, ma che poi ti assale quasi in una imboscata sui social network. E allora, se hai paura, cedi e ti abbandoni al flusso e ti lasci attraversare da questo dolore, per capirlo e con esso diluire e dare profondità alle tue quisquiglie. Difficoltà di lavoro? Equitalia che bussa alla porta? Un figlio che non trova la sua dimensione per non parlare di un impiego? La risposta che ti aspetti dall’innamorata? Che cosa sono di fronte ad figlio che invece di frequentare le elementari rimbalza da un ospedale all’altro alla ricerca della cura giusta per il suo tumore e ne farlo incontro una bambina ancora più piccola che viene dimessa senza più speranza per anche questa cura non ha funzionato? E questo è solo un esempio.

L’ho imparato forte e duro in quest’ultimo anno perché, come dice qualcuno, “sei sempre su face book o comunque in rete” e qui di dolore se ne incontra a volerlo leggere sotto la superficie.

Ho postato tempo fa “dalle preghiere che alzi a Dio si capisce dove sta il tuo cuore” perché le preghiere non ti danno scampo, parlano del tuo profondo, rivelano le tue priorità. Devo imparare sempre di più a pregare, per gli altri “senza distogliere gli occhi da quelli della tua carne” (Is, 58, 7) a mettere le mie necessità nella grande valle della fratellanza, della famiglia dei figli di Dio, che tra tutti mi posso considerare un privilegiato.

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