Articoli / Blog | 24 Giugno 2025

Blog – Dal deserto al palazzo: il cambiamento di Giovanni Battista nel rapporto con i peccatori

Nonostante Gesù sia stato certamente discepolo di Giovanni, il Battista non viene in genere considerato discepolo di Gesù. Certamente non fu uno dei dodici apostoli però si può e si deve dire che ne fu anche discepolo se non altro perché testimoniò il cugino in molti modi, a partire da quando si trovava nel grembo di Elisabetta per finire con il martirio avvenuto in ossequio alla proclamazione della verità sull’indissolubilità del matrimonio. Dal punto di vista teologico, inoltre, Giovanni fu, in ogni caso, necessariamente “discepolo di Cristo” perché “ogni grazia arriva attraverso Cristo” (Cfr. Concilio di Trento, sessione VI, 13 gennaio 1547, Dottrina sulla giustificazione). Quest’affermazione è un principio fondamentale della fede cristiana.

In ogni caso, se si studia con attenzione quello che i vangeli ci raccontano di Giovanni Battista si può notare in lui un profondo cambiamento. Agli inizi il Battista è una figura che nella sua forza ascetica e profetica incarna la tensione tra la parola e la relazione, tra l’annuncio della verità e la custodia del legame con l’altro. È celebre per il suo grido solitario nel deserto (cfr Gv 1), quel luogo reale ma anche simbolico in cui la voce si fa limpida perché priva di compromessi. Eppure, secondo il dettagliato racconto di Marco a proposito del rapporto di Giovanni con Erode (cfr Mc 6,17-20) osserviamo più tardi nel Battista un cambiamento sottile ma decisivo: da un profeta che tuona contro tutto e tutti, a un uomo che — pur non smettendo mai di dire la verità — cerca di non spezzare il filo che lo lega perfino al peccatore più potente, Erode.

Nel deserto, Giovanni appare come un fuoco puro. Non guarda in faccia a nessuno: definisce “razza di vipere” (cfr Mt 3, 1-12) i farisei e i sadducei, denuncia pubblicamente il peccato e invita alla conversione con parole taglienti. È l’immagine stessa del profeta antico, che si contrappone completamente alle dinamiche del potere e si vota assolutamente alla verità divina. La sua voce è necessaria perché prepara la via al Signore, spiana i cuori. Tuttavia, è una voce che non si cura del mantenimento delle relazioni: se una relazione è corrotta, va tagliata come l’albero che non porta frutto (uso quest’immagine proprio perché a questo proposito Gesù avrà una parabola significativa – cfr Lc 13,6-9).

Quando il Vangelo di Marco ci racconta l’incontro tra Giovanni e Erode, troviamo accenti e sfumature diversi. Giovanni denuncia pubblicamente la relazione adulterina tra Erode e Erodiade, e per questo viene imprigionato. Tuttavia, il secondo evangelista ci dice che Erode “aveva soggezione di Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; pur restando molto perplesso quando lo ascoltava, tuttavia lo ascoltava volentieri” (Mc 6,20). È un dettaglio sorprendente che io collego alla già avvenuta manifestazione pubblica di Gesù, di cui Giovanni era certamente a conoscenza e che certamente lo stava interrogando. Adesso, di fatto, Giovanni, il profeta che sfida i potenti, è anche colui che riesce a entrare nel cuore inquieto di Erode. Non smette di dirgli la verità, ma lo fa senza chiudere la porta alla relazione. Non è più il profeta che tuona nel deserto costi quel che costi: è l’uomo che, pur sapendo di rischiare la vita, continua a incontrare il potente nel suo peccato, a parlarci, a tener viva una possibilità.

È un passaggio delicatissimo. Giovanni non ammorbidisce il contenuto delle sue parole, ma ne modifica la forma: non urla, parla. Non da lontano, ma da vicino. Si lascia rinchiudere in una prigione pur di restare accanto a un uomo che forse non cambierà mai. In un certo senso, inizia ad assomigliare a Gesù che “pose la sua tenda in mezzo a noi” (Gv 1,14): non più solo voce che scuote, ma presenza che accompagna. Questo cambiamento non è un tradimento della missione profetica, ma il suo compimento. Giovanni capisce che la verità non è un’arma da scagliare, ma un fuoco da custodire vicino al cuore dell’altro. Che, per incidere davvero, la parola deve farsi relazione. Giovanni sarà ucciso proprio per questo. Non perché ha gridato contro Erode, ma perché ha tenuto la relazione con lui facendo così temere ad Erodiade che la sua posizione potesse essere fragile. Giovanni, continuando a parlare ad Erode, ha smascherato il vero problema: il male non sopporta l’amore che resta. Giovanni muore non solo perché ha detto la verità, ma perché ha voluto restare in quella relazione che, sola, rende possibile proprio l’incontro con la verità.
Nel passaggio dal deserto al palazzo, Giovanni Battista ci insegna che il discepolo di Cristo non è solo colui che annuncia, ma anche colui che accompagna. E che la verità, se vuole davvero salvare, deve abitare anche i luoghi delle relazioni a volte scomode. Dove non di rado il prezzo da pagare è alto.

I commenti sono chiusi.