Articoli / Blog | 09 Maggio 2025

Blog – Cobolli, si deve vincere anche con il campo che non piace

“Purtroppo credo di essere stato un po’ condizionato dal campo, che non è il mio preferito qua”. Con queste parole, pronunciate dopo la sconfitta agli Internazionali di Roma, il giovane tennista italiano Flavio Cobolli ha cercato di spiegare la sua prestazione. Una dichiarazione che sembra innocua ma che, se osservata alla luce delle parole di un grande come Julio Velasco, diventa emblematica di una mentalità che rischia di limitare un atleta ben più della qualità del terreno di gioco.

Velasco, mitico allenatore della Nazionale italiana di pallavolo maschile, è celebre per il suo rifiuto totale delle scuse. È molto più di uno slogan sportivo: è una filosofia di vita, un approccio che mette la responsabilità al centro dell’azione umana. Quando uno sportivo, o chiunque nella vita, attribuisce un fallimento a fattori esterni — il campo, il vento, l’arbitro, il pubblico — sta scegliendo di restare vittima anziché protagonista. Cobolli, che pure ha talento, è caduto in una trappola psicologica che tutti conosciamo: la tentazione della giustificazione. È un riflesso naturale, specie dopo una delusione. Ma il vero campione è colui che riesce a resistere a questa tentazione. Non perché sia disumano, ma perché ha imparato a dominare le proprie emozioni e a trasformare ogni ostacolo in occasione di crescita. Il campo non è ideale? Benvenuto nello sport, dove quasi nulla lo è. La luce può essere diversa, sei a Roma e vorresti un pubblico di amici che tifano per te ma ti danno un campo poco capiente. È proprio lì che si vede il carattere. Chi riesce a vincere in condizioni perfette ha tecnica. Chi vince nonostante tutto, ha grandezza. Il problema non è solo di Cobolli, ovviamente. La cultura dello sport, e più in generale quella della nostra società, è sempre più indulgente verso le attenuanti. Siamo diventati esperti nell’analisi del contesto, nel riconoscere le difficoltà, nel giustificare gli errori. Ma a volte serve qualcuno che ci ricordi che il contesto non può mai diventare un alibi. Velasco lo faceva con rigore, anche durezza, ma sapeva che un atleta trattato da adulto diventa un adulto. Un atleta trattato da vittima rimane sempre un ragazzo.

Cobolli ha ventitre anni, è giovane, ha tempo. Forse tra qualche anno, ripensando a questa dichiarazione, sorriderà e capirà che è stato un passaggio necessario. Forse si troverà un giorno su un campo ancora peggiore, contro un avversario più forte, e riuscirà a vincere. Quel giorno, forse, penserà a Velasco. E invece di guardare il campo, guarderà dentro di sé. Non per cercare una scusa, ma per trovare una forza. In fondo, il messaggio di Velasco non è contro l’errore. È contro la rinuncia. Rinunciare a migliorare perché “non era il mio campo preferito” è come rinunciare a vivere perché la giornata è nuvolosa. Il campo può essere storto, ma il cuore dell’atleta deve essere dritto.

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