Articoli / Blog / Granello di Senape | 16 Febbraio 2025

Pierpaolo Donati – La Postfazione a Il Granello Di Senape

Pierpaolo Donati, sociologo e filosofo, è il fondatore della sociologia relazionale. Ha scritto la Postafazione a Il Granello Di Senape. Regno di Dio o impero di Dio? (acquistabile al link)

Gli Autori di questo libro si sono ritrovati un giorno, durante un pellegrinaggio in Terra Santa, a riscoprire assieme, dialogando fra loro, il senso di un brano del Vangelo. Si tratta della parabola che paragona il Regno di Dio al granello di senape (Mt 13, 31-32; Mc 4, 30-32; Lc 13, 18-19), che, dall’essere il seme più piccolo dell’orto, diventa l’albero più grande (in realtà un grande arbusto). Questa immagine, di solito, viene tradotta nell’idea di un futuro in cui il Regno di Dio si potrà estendere su tutta la terra a somiglianza dei grandi imperi che l’umanità ha conosciuto nel corso della sua storia. Certo, non un impero di arbitrio e violenza, ma un impero di pace, solidarietà e giustizia, e pur tuttavia sempre un impero, vissuto come un trionfo. Non è questo, dicono gli Autori, la logica di Dio. E spiegano come abbiano iniziato una conversazione tra di loro che ha aperto i loro occhi sullo spirito dell’intero Vangelo: “le parole di Cristo si sono animate, sono diventate l’oggetto di un dialogo tra di noi e hanno potuto rivelarci qualcosa del mistero che racchiudono e di cui parlano”.
Cerchiamo di immaginare la scena. Luca e Mauro stanno ascoltando la guida araba che, per far comprendere la parabola al gruppo di pellegrini, dà loro in mano un vero granello di senape e mostra l’arbusto. Luca e Mauro rimangono un po’ meravigliati, perché non vedono un vero e proprio albero, forse avevano immaginato una specie di cedro del Libano. Invece quell’arbusto è piuttosto piccolo, e allora pensano che il Regno, forse, è proprio così: piccolo. Ma allora dov’è la sua grandezza? Osservano il seme e la pianta guardandosi negli occhi, e si interrogano su come Gesù abbia voluto veramente dire. La loro amicizia stimola la loro anima e nasce il desiderio di un dialogo nuovo su ciò che stanno sperimentando interiormente pensando al paragone fra il Regno di Dio e quel piccolo seme che hanno in mano. Luca e Mauro si sentono come i discepoli di Emmaus che cercano di comprendere assieme le scritture. La presenza di Gesù viene colta nel comprendere che il Regno è una realtà essenzialmente spirituale e che la sua grandezza sta nella sua piccolezza e fragilità, perché è fatto di relazioni. Scrivono: “la piccolezza del Regno è piuttosto l’apertura di uno spazio capace di generare incontri liberi in cui maturi una novità, di cui lo stesso Signore della storia è desideroso di sorprendersi”. Così come Simone e Cleofa sono corsi a raccontare l’incontro con Gesù agli Undici a Gerusalemme, anche Luca e Mauro sentono il dovere di dare testimonianza della loro esperienza agli amici, offrendo loro i pensieri di questo libro.

Il passaggio dalla logica umana alla logica di Dio, dicono don Luca e don Mauro, non è stato il frutto di ragionamenti astratti, di nuove conoscenze o rivelazioni teologiche, ma è stato il frutto di una ‘esperienza relazionale’. Questo è il loro messaggio di fondo. A ben vedere, la parabola da commentare potrebbe essere stata anche un’altra, fra le tante di cui parlano i Vangeli a proposito del Regno di Dio. Ciò che il libro vuole dare al lettore è qualcosa di più, anzi molto di più. Desidera fornirgli una chiave essenziale per rileggere tutto il Vangelo, la fede cristiana, e lo stesso futuro della Chiesa che consiste nel vivere una certa esperienza di vita.
Qual è questa esperienza che è stata per loro la sorgente, la fonte delle nuove luci? Di che esperienza si tratta?
Essi la paragonano all’esperienza dei due discepoli di Emmaus che incontrano Gesù sulla Via, dapprima senza riconoscerlo, e poi riconoscendolo nel momento in cui egli spezza il pane a tavola con loro.
Possiamo immaginare il vissuto di Luca e Mauro. Essi si sono sentiti come Simone e Cleofa ai quali Gesù si affianca come uno straniero che entra a poco a poco nella loro relazione e la vivifica. Perché Gesù non si rivela ad uno solo ma a due persone insieme, si rivela alla e nella loro relazione. Ama la relazione fra gli uomini ed è nella loro relazione che si rivela. Perciò, dicono Luca e Mauro, il Vangelo va letto così, nella relazione di amicizia con chi ci sta vicino, perché è nella (e dalla) relazione di profonda amicizia che emergono le luci più belle e vere. La ragione sta nel fatto che Gesù viene in quella relazione, gli piace essere il Terzo fra Ego e Alter proprio per illuminarli nella loro reciprocità e attraverso di essa.

Si comprende, così, per quanto implicita, l’intenzione degli Autori: vogliono dirci che, così come il Signore ha vivificato la Chiesa nascente attraverso le relazioni dei suoi primi discepoli, nello stesso modo Egli ci invita a operare per il Regno attraverso le nostre relazioni di amicizia. Il desiderio degli Autori è che al lettore possa accadere qualcosa di simile alla loro esperienza. Due amici parlano e discutono fra di loro e il Signore li affianca, li istruisce e accende il loro cuore con una luce, una grazia, che non può essere contenuta, ma deve subito essere riversata sui compagni che vivono nelle (e delle) stesse relazioni. Questa è la comunione, di cui tanto si parla nella Chiesa, che non consiste in un’adesione simbolica, ma è un bene relazionale, cioè consiste di relazioni virtuose dalle quali scaturiscono cose buone.
I beni relazionali sono proprietà emergenti delle relazioni fra persone che ridondano a beneficio sia di loro stessi, sia della comunità intorno. L’amicizia è il paradigma dei beni relazionali non solo perché, come diceva Aristotele, senza amici non possiamo vivere, ma perché l’amicizia è creativa, è generativa di altri beni relazionali. L’amicizia fra gli Autori ha prodotto questo libro da cui, così essi sperano, i lettori potranno attingere e vivere loro stessi questa esperienza.
L’amicizia si esprime nel mutuo scambio di doni che sono innanzitutto relazioni, come la disponibilità e l’attenzione all’Altro, l’empatia, il desiderio di rilanciare le cose belle che l’Altro ci offre e arricchirle di senso umano e soprannaturale sempre di più per il bene di entrambi. Nel caso di Luca e Mauro, lo scambio delle luci che la loro amicizia ha generato in loro stessi quando si sono confrontati con il proprio vissuto del Regno di Dio ragionando fra di loro come facevano i discepoli di Emmaus.
La rilettura del Regno di Dio e la sua importanza per il futuro della Chiesa nel mondo è il frutto del bene relazionale dell’amicizia vissuta in modo soprannaturale, e perciò capace di gettare nuove luci anche sui suoi risvolti umani, come la fiducia reciproca, la cooperazione, la reciprocità incondizionata. Affinché ciò si realizzi è necessario che gli amici si aprano al Terzo della loro relazione, come hanno fatto Simone e Cleofa. Quel Terzo è il Signore, che apre gli occhi, scalda il cuore e mostra le verità ancora nascoste a coloro che condividono una relazionalità fraterna e riflessiva. Scrivono gli Autori: “La verità può essere sostenuta infatti solo in un incontro, se avviene cioè all’interno di una relazione sana, costruttiva, aperta e autentica”.
Questa esperienza diventa il paradigma di una Chiesa che, per andare oltre la crisi attuale di sequela e di comunione, deve ripercorrere la Via dei primissimi cristiani, semplicemente “quelli della Via” come li chiamano Luca e Mauro pensando ai discepoli di Emmaus, quando ancora non si chiamavano cristiani. Vivere la fede in Cristo viene prospettato come il paradigma di una Chiesa che, sfuggendo alle tentazioni di inseguire un successo temporale, o di trovare accomodamenti con lo spirito del tempo, trova la freschezza delle origini, parla in modo semplice e umile come Gesù, si fa modalità relazionale di vita fraterna. Una fraternità non chiusa in recinti protetti, del resto impossibili da realizzare in un mondo postmoderno e globalizzato, ma una fraternità aperta come aperto è il vivere relazionale nel mondo. Con le parole degli Autori: “il nido nel quale dimoriamo, e in cui Dio stesso dimora, sono quindi le nostre relazioni di comunione, a immagine e somiglianza non del Dio onnipotente ma del Dio mistero di amore di Tre persone. Queste relazioni sono allo stesso tempo il frutto e il seme del Vangelo. Si nutrono di una buona notizia così piccola (e così grande!) da offrirsi alla nostra costante ricomprensione, frutto del dialogo e dell’accoglienza reciproca, come per i discepoli di Emmaus e il misterioso forestiero che li accompagna. Come per tutte le parabole: piccole, concrete ed inesauribili”.

Il cristiano nel mondo di oggi è necessariamente perseguitato, dicono gli Autori. Lo è perché è un deviante rispetto alle logiche del successo mondano, e non si identifica nei regni di questo mondo. Le cose in cui crede sono percepite nella sfera pubblica come un disturbo, una follia, uno scandalo. E allora ci chiediamo: come sarà mai possibile pensare che possa realizzarsi il Regno di Dio in un contesto storico e culturale sempre più lontano dal sentire cristiano? La risposta è che “la spiritualità da cristiani perseguitati dovrà essere il modo normale di vivere, agire, pensare, pregare, di chi cerca il Regno e non l’impero”.
La proposta degli Autori, quindi, è di abbandonare del tutto il sogno di una logica trionfale, ‘imperiale’, di pensare al Regno come un oggetto di ‘conquista’, e di concepirlo invece, più semplicemente, come relazione interpersonale vera e profonda come quella che sperimentiamo quando siamo autentici con noi stessi e con gli altri. “Il Regno è in mezzo a voi” (Lc 17, 20-21) significa che il Regno è già presente sulla terra in quanto si trova nelle nostre relazioni umane più belle. È lì dove il Signore si rivela, cioè nelle relazioni vissute come alterità generativa. “In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18,19-20). Il Regno di Dio è alla nostra portata, è già presente, se e quando lo vediamo attraverso le nostre relazioni più sincere, autentiche, vissute come un dono reciproco nello spirito della fraternità cristiana.
Il Regno, dicono gli Autori, è sia una dimora, sia una via. Non dobbiamo pensarlo come un oggetto definito, perché è come le relazioni. Per essere vitali, le relazioni devono avere una certa stabilità, dato che dobbiamo dimorare in esse, ma nello stesso tempo devono essere sempre aperte, perché la vita comporta l’osmosi con l’ambiente e richiede necessariamente un continuo rinnovamento. Comprendiamo, così, che il Regno è una relazione vitale che ha una dimora e nello stesso tempo è una strada da percorrere insieme agli altri.

Per terminare, direi che, leggendo il libro, partecipiamo al dialogo fra due amici che ci mostra come la Parola diventi luminosa quando passa attraverso le relazioni umane vissute fraternamente. È attraverso le relazioni sociali, e in concreto l’amicizia, che emerge il senso delle cose, e anche dello stesso Vangelo. Come dire: la ‘nuova’ evangelizzazione passa attraverso le relazioni umane autentiche, vissute empaticamente nella piena solidarietà reciproca. Penso alle giovani coppie di sposi che si amano, alle famiglie chiese domestiche, a coloro che si prendono cura di chi vive ai margini della società, ma anche tra colleghi nel luogo di lavoro quando si assapora la bellezza di un cuore amico. Noi tutti non saremmo in cerca di Dio se non lo avessimo già trovato in qualche misura in queste esperienze. Questo è solo l’anticipo del Regno che attende coloro che vivono fraternamente.
Tutti gli ultimi Papi, a partire da Paolo VI, hanno sottolineato che il mondo e la Chiesa soffrono per mancanza di pensiero. Se le cose stanno così, non è perché non riusciamo più a pensare, ma perché mancano quei beni relazionali da cui sgorga il pensiero, come quello che ha generato questo libro. Il messaggio è, dunque, che non possiamo cogliere il senso profondo delle parabole ragionando in astratto nella nostra testa, ma elaborando e vivendo le Parole del Vangelo nelle relazioni con gli altri, come i discepoli di Emmaus, che hanno fatto così tanta tenerezza al Signore da porsi al loro lato per rivelarsi nella loro relazione, e, attraverso di quella, portare la buona novella al mondo intero.

Bologna, Festa dell’Assunta 2024

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