Alessandra Bialetti – Lettera aperta al Ministro Fontana

Alessandra Bialetti condivide con il blog questa lettera scritta da un suo amico, che preferisce rimanere anonimo

Signor Ministro Fontana,

chi le scrive è un uomo di 48 anni, insegnante ed omosessuale. La relazione con il mio compagno dura da 12 anni e da un anno siamo anche uniti civilmente.

Mio padre e mia madre sono insieme da quasi 50 anni. Sposi cristiani, fedeli, pazienti, entusiasti, coraggiosi, generosi, umili, umani ed autentici. Da loro ho appreso il senso della vita, la bellezza dei valori, il prezzo del sacrificio, la dignità del lavoro, l’umanità e la fede cristiana. Non potrò mai ringraziarli abbastanza per ciò che hanno fatto per me, per la strada che mi hanno tracciato, per i loro insegnamenti e i loro esempi. Hanno cercato di dare la vita anche a fronte di gravi problemi di salute e di pericoli, e ci sono riusciti, pur nella sofferenza.

Come potrei mai, io, disprezzare la famiglia tradizionale, quella formata da una donna ed un uomo aperti alla vita? Come potrei mai io disprezzare il dono e la missione della genitorialità, io che ho ricevuto tanto, tutto, da questo impegno?

Dico questo per farle comprendere che io, uomo gay, sono profondamente innamorato della famiglia tradizionale, che sostengo su un piano non solo emotivo, ma anche etico. Da educatore, vedo bene i disordini cui sono esposti i figli di genitori separati. Come omosessuale, non avrei mai la più remota intenzione di demolire questo bene prezioso; la mia esistenza di omosessuale tende a praticare e tramandare gli stessi valori morali della famiglia tradizionale, senza alcuna differenza: onestà, rispetto, gentilezza, impegno per il bene, sostegno reciproco. Sì, anche la fedeltà che ci è stata arbitrariamente negata, come se non ne fossimo capaci.

Molti cattolici, però, e forse anche lei, sono convinti che affermare la dignità delle relazioni di amore omosessuale, includendole nella definizione di amore sponsale, matrimonio e famiglia, equivalga a demolire il senso della famiglia tradizionale. Mi chiedo come questa demolizione sia possibile. Faccio un esempio. Al terzo piano del condominio, ci siamo io e il mio compagno, uniti civilmente (cosa che per me equivale a dire “sposati”). Al quinto piano c’è mio fratello con sua moglie e i suoi figli. Se io e il mio compagno ci vogliamo bene e portiamo avanti il nostro progetto di vita insieme, con onestà, decoro, rispetto ed entusiasmo, in modo trasparente e innocuo, in che modo possiamo indebolire la dedizione degli sposi eterosessuali al loro progetto, o deprezzarlo, o renderlo meno significativo, sminuirne la dignità? E se nel nostro condominio ci fossero 5 famiglie eterosessuali e 5 famiglie omosessuali, in che modo la bellezza delle une potrebbe mai offuscare la bellezza delle altre? Beninteso, purché tutti “rispettiamo il regolamento” del condominio (metafora della società): che significa non sporcare né le cose né le persone, anzi promuovere a tutti i livelli la loro crescita, la loro sicurezza, il loro benessere.

Forse questa paura è la paura che il modello di vita omosessuale possa risultare diseducativo per la giovani generazioni, possa traviarle, diffondendo uno stile di vita ritenuto alternativo e malsano. Mi creda: nessun omosessuale ha intenzione di fare proselitismo. Nessun omosessuale pensa di dovere compiere la missione di “convertire” gli altri all’omosessualità. Proprio perché noi sappiamo bene quale odioso vulnus alla nostra libertà sia stata la pressione di chi (famiglia, Chiesa, società…) avrebbe voluto “correggerci” e “curarci”, riportarci alla “normalità”. L’orientamento sessuale ed affettivo non si impone e non si contagia, né in un senso né nell’altro: altrimenti gli omosessuali non esisterebbero, poiché sarebbero stati “contagiati” dal modello eterosessuale, che statisticamente è predominante. Altrimenti, mio fratello (che è sposato e padre) avrebbe corso il rischio di diventare omosessuale per via del mio “cattivo esempio”. Ma scherziamo? Diventa omosessuale solo chi è omosessuale; diventa eterosessuale solo chi è eterosessuale: il mondo che io sogno è un mondo in cui ognuno possa realizzare la propria identità in modo libero, sano, e rispettoso per sé e gli altri, senza essere costretto a diventare ciò che non è. Se essere omosessuale significa trasmettere anche un modello educativo (come per me che sono insegnante), non vuol dire affatto indurre i giovani all’omosessualità, ma indurli a seguire il proprio orientamento (qualunque esso sia), senza forzarlo, ma costruendolo in modo eticamente e psicologicamente maturo, convivendo in maniera pacifica ed accogliente con gli altri –purché, lo ripeto, seguire il proprio orientamento non comporti in alcun modo comportamenti lesivi per il benessere altrui.

Se io e il mio compagno, come migliaia di altre coppie omosessuali, abbiamo tanto lottato e lotteremo ancora per ottenere pienamente lo status di sposi e di famiglia, lo facciamo non per ostilità verso il modello della famiglia tradizionale, ma al contrario per onorarlo al massimo. Riconoscendone la bontà e il valore, desideriamo amare nello stesso modo, estenderne la portata, creando unità e relazione dove altrimenti regnerebbero aridità, disperazione, solitudine.

Mi permetto quindi di invitarla a riflettere sulla vita delle persone, sulla loro dignità e sui loro sentimenti, prima di pronunciare ufficialmente parole che possono ferirli. E di essere il ministro, cioè di lavorare al servizio e per il bene di tutte le famiglie. Grazie.

 

Vivo e lavoro a Roma dove sono nata nel 1963. Laureata in Pedagogia sociale e consulente familiare, mi dedico al sostegno e alla formazione alla relazione di aiuto di educatori, insegnanti, animatori. Svolgo attività di consulenza a singoli, coppie, famiglie e particolarmente a persone omosessuali e loro genitori e familiari offrendo il mio servizio presso diverse associazioni (Nuova Proposta, Rete Genitori Rainbow, Agedo). Credo fortemente nelle relazioni interpersonali, nell’ascolto attivo e profondo dell’essere umano animata dalla certezza che in ognuno vi siano tutte le risorse per arrivare alla propria realizzazione e che l’accoglienza della persona e del suo percorso di vita, sia la strada per costruire relazioni significative, inclusive e non giudicanti.