Le Lettere di Nuccio Gambacorta – Pubblico e privato
Premesso che maggiormente si cresce e maggiormente si pensa di aver risolto dei conflitti, d’improvviso stimoli esterni t’inducono a rivedere certe cose, ad avere dei ripensamenti o, più semplicemente, a ribadire il tuo punto di vista. È successo l’altro ieri su WhatsApp quando, nel gruppo privato che s’è costituito da mesi per una mia iniziativa culturale, ho scritto che la prossima volta che faremo teatro mi metterò a danzare e, se qualcuno capirà per questo che sono gay, tanto meglio! (È notorio il fatto che l’uomo ballerino spesso ha tendenze omosessuali, presunte o vere che siano). Una delle partecipanti, simpaticissima amica, nella sua chat privata, mi ha poi redarguito dicendo che devo essere più riservato, che se voglio essere rispettato devo rispettare, che il gruppo è fatto per informazioni di servizio e per divagazioni futili, ma non per parlare della propria vita privata di cui la gente non vuole sapere. Poi abbiamo continuato il discorso al telefono e lei ribadiva che la cittadina in cui abitiamo non è il luogo più adatto per sbandierare i propri gusti affettivi e sessuali. Qui sta il punto: omosessuale (o gay o ricchione o altro). E si pensa solo alla dimensione sessuale di quella data persona tralasciando tutto il resto, quando invece quello che conta è proprio tutto il resto! Insomma, se a me può venire l’impulso di dire chi sono, quale è la mia identità globale, questo nasce dal bisogno di far capire alla gente che mi circonda che noi siamo persone come tutte le altre, con una DIGNITÀ che va riconosciuta. In quanto poi ai modi e alle maniere di “scoprirsi” ci sarebbe da riflettere a lungo. C’è chi partecipa alle sfilate variopinte e provocatorie dei Gay Pride, c’è chi si isola in un suo mondo di silenzio e diffidenza, c’è anche chi si rifugia nel sacro per coprire la sua natura, c’è chi si dà alla cultura alternativa, chi scivola in rapporti erotici frequenti e deliranti e infine chi, imperturbabile, continua come se niente fosse a indossare giacca e cravatta rivestendo ruoli convenzionali. Non mi sento di dire quale è il modo e la maniera di vivere la realtà omosessuale, ovvero quale possa essere l’atteggiamento giusto o sbagliato, ma una cosa la so per esperienza: se non ci si sente in pace e sereni con se stessi allora significa che qualcosa è da rivedere. A me non passa assolutamente per la testa di far sapere cosa faccio nella mia camera da letto o con chi vado a dormire, il mio intento è un altro, dichiarare che pur essendo in quel “settore”, un anticonformista, sono una “persona” con un suo temperamento, una sua sensibilità, con delle qualità e anche dei limiti che non derivano dal mio essere gay ma dalla mia umanità. E quando in strada mi confondo tra la folla non c’è granché di differenza tra me e il giovane gasato che passa da una fidanzatina all’altra o tra me e la signora che porta a spasso il suo bambino nella carrozzella; la differenza sta casomai nel modo di pensare, di ritenere giusto o no il modo di vivere di ciascuno. Io dico: “vivi e lascia vivere”. E se sul mio giubbotto qualcuno nota una spilla coi colori dell’arcobaleno e mi chiede che significato ha, dovrei avere il coraggio di rispondergli che è il simbolo delle persone omosessuali. Chissà perché ho risposto che è il simbolo della PACE?