Blog – Medico e donna: perché devo convivere con la paura delle aggressioni?
Caro don Mauro ti scrivo perché vorrei una tua riflessione sul recente caso di violenza nei confronti della collega/dottoressa di Lecce aggredita mentre faceva una visita domiciliare. È veramente frustrante pensare che una donna medico, italiana, ancora nel 2018 debba essere accompagnata/scortata/difesa mentre svolge il suo lavoro perché altrimenti può essere assalita e violentata come se si addentrasse in una giungla di animali feroci e non in una comunità di uomini…
Ho fatto un’esperienza di lavoro in Etiopia circa 6-7 anni fa ed ero l’unica donna medico (e per giunta bianca) e in quel periodo, all’inizio, ero molto attenta e cercavo sempre di essere molto vigile nelle situazioni potenzialmente “pericolose”; ad un certo punto mi sono resa conto che il mio stato di allerta era un modello di comportamento che avevo adottato quando, giovane dottoressa pediatra di circa trent’anni, lavoravo a Civitavecchia (50 km da Roma) o nelle periferie romane ed in più di un’occasione mi ero trovata di sera a fare domiciliari in posti sperduti dove mi ero sentita “vulnerabile”; spesso mentre visitavo il bambino mi guardavo le spalle ed ero attenta a captare ogni movimento di chi stava nella casa o mentre risalivo in macchina pronta a difendermi o a scappare se qualcosa non mi “quadrava”. In Etiopia in realtà le persone mi erano grate e riconoscenti, apprezzavano il mio lavoro. La conclusione è che mi sono sentita molto più “aggredibile” e vulnerabile nella mia città che in Africa e la cosa più interessante è che il mio “addestramento” alla difesa personale l’ho svolto a Roma nella capitale d’Italia dove sono nata e cresciuta! Naturalmente la mia esperienza in Africa è stata breve, un mese o poco più, e purtroppo so bene quante missionarie in Africa e America Latina vengano aggredite e siano esposte a gravi pericoli quotidianamente, ma il dato che rimane è la condizione di rischio a cui è ancora oggi esposta in Italia una donna che fa il medico: non è tollerabile, non può esistere in una nazione che pensa di essere civile. Valentina Grimaldi
Cara Valentina,
hai perfettamente ragione. Nel nostro paese c’è ancora un forte maschilismo a volte esplicito ma troppo spesso strisciante. Se Anna e Marco sono andati in pizzeria ieri sera, perché diciamo che sono “andati” e non che sono “andate”? Perché decliniamo al maschile e non al femminile? Perché ci sembra “naturale” che “andati” rappresenti meglio di “andate” l’azione di un maschio e di una femmina? Perché riteniamo “normale” che il genere maschile sia più forte di quello femminile al punto di poterlo comprendere, assorbire e ricapitolare in sé? Perché riteniamo che paesi come la Svezia che si pongono queste domande e decidono di usare delle forme neutre siano civiltà corrotte che “cadono nella ideologia del gender” quando si tratta solo di civiltà vera e propria? Civiltà “simpliciter”?
Ecco, anche questo, è maschilismo strisciante: un maschilismo del quale, la maggior parte delle volte, neppure ci accorgiamo. Nel caso delle ragazze americane molestate dai due carabinieri più di uno ha detto che in fondo se l’erano cercata. Di fronte ai molti casi di violenza spesso si trovano persone che si chiedono: “Chissà come si erano vestite” e in caso di violenza domestica a volte – e mi vergogno a dire che ciò accade anche in ambienti cattolici – la gente dice che però la donna “ha provocato”. Naturalmente sono posizioni indifendibili. E mi viene il sospetto che nel caso della tua collega medico o di donne in posizioni professionali o dirigenziali, la mentalità maschilista si spinga fino a far provare a questi “uomini” (le virgolette sono d’obbligo) una sorta di invidia che poi li spinge a permettersi gesti che, come dici tu, a denominarli “bestiali” si offendono gli animali. C’è molto da lavorare, dunque, sul versante educativo. Tu che sei pediatra puoi aiutare i genitori ad educare i figli al rispetto, alla collaborazione tra “maschi e femmine”, ad un confronto con l’altro improntato alla serenità e al dialogo. È importante che madri e padri, insegnanti, educatori, promuovano una mentalità diversa. Sono fiducioso che il cambiamento avverrà e sarà rapido anche grazie alla testimonianza di vita di donne in gamba come te.