Ermes Ronchi – Sulla soglia della vita
Egidio Saracino segnala al blog questa riflessione di Ermes Ronchi come aiuto nella diatriba sul capitolo VIII di Amorus Laetitia e sulle incomprensioni in merito alle aperture di Papa Francesco. È uno stralcio del suo libro “Sulla soglia della vita”
La vita prima della legge
La parola di Dio mi fa vivere non solo trasmettendo una rivelazione, una verità, ma raccontando una vita. Il migliore tra tutti i criteri ermeneutici, il più sicuro strumento per interpretare la parola di Gesù è la sua vita: il suo modo di incontrare, di accogliere, di lottare, di pregare, di avere coraggio e avere paura. L’esegesi della sua parola passa per l’esegesi della sua vita.
Aprendo il Vangelo, ci accorgiamo di una cosa fondamentale. Gesù usa due diversi modi per comunicare il suo messaggio. Quando si rivolge alle folle, al gruppo dei discepoli, quando il suo interlocutore è la gente dai mille volti, egli propone l’obiettivo alto, richiama la legge esigente, pone davanti l’ideale arduo in tutto il suo rigore. Quando si rivolge al singolo, quando fissa negli occhi una persona, è solo accoglienza e misericordia.
Alle folle dice: «Se uno guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio» (Mt 5,28). All’adultera trascinata davanti a lui, a questo grumo d’umanità nella paura di essere uccisa, dice: «Neanch’io ti condanno; va’ in pace e non peccare più!» (Gv 8,11). Alle folle proclama: «Sia il vostro parlare sì, sì; no, no» (Mt 5,37). Poi, quando e davanti a Nicodemo che vuole incontrarlo di notte, di nascosto, che non ha il coraggio del giorno aperto, rispetta perfino la sua paura (cfr. Gv 3,1-21). Ed è proprio rispettando la sua fragilità che lo renderà coraggioso davanti ai farisei (cfr. Gv 7,50-51). Alla folla chiede: «Siate perfetti come il Padre» (Mt 5,48). Poi chiama «amico» il traditore e perdona senza misura. «Guai a voi, ricchi!» (Lc 6,24), proclama, e in casa del ricco Zaccheo dice: «Oggi la salvezza e entrata in questa casa» (Lc 19,9).
Di questa duplice via come trovare l’unità? Non certo ignorando uno dei due percorsi, non abbassando l’ideale e neppure dimenticando la vita reale. Nelle due modalità si esprime l’unico identico principio.
In qualsiasi situazione di vita il Signore Gesù opera indicando un passo possibile da compiere. C’è sempre, per chiunque, in qualunque situazione si trovi, un piccolo passo verso più vita. Egli non chiude mai l’uomo sotto il peso di ideali illusori o di fallimenti passati, ma indica sempre un primo tassello reale, un primo passo possibile. E mi concede il diritto di essere debole, canna incrinata, lucignolo fumigante. Non mi condanna se la fiamma è debole, ma prende questo mio filo di fumo, presagio di fuoco possibile, e lo lavora e lo protegge, fino a che ne fa sgorgare di nuovo la fiamma.
Noi siamo umanità caduta eppure incamminata, umanità ferita eppure incamminata. Che cade sette volte ma si rialza otto volte, nella grande migrazione verso la vita, «pellegrini senza strada eppure tenacemente in cammino» (Giovanni della Croce).
Ogni nostra vita avanza per sentieri che si piegano, che si spezzano, per strade che tornano su se stesse, come il vento di Qoèlet che gira e rigira e torna sui suoi giri. Eppure tenacemente in cammino. Poche sono le vite che avanzato per linee rette, senza ripiegamenti o senza ritorni, ma il Signore è paziente, viene e rallenta i suoi passi sulla misura dei nostri, si perde nella polvere delle nostre strade, siede sul muretto del pozzo di Sicar e ci aspetta.
E io so che non mi sarà chiesto se avrò raggiunto la meta, ma se avrò camminato verso la meta. Nessuno raggiunge la perfezione, ma io sarò benedetto se sarò avanzato sulla via degli uomini giusti. Io sarò beato non se avrò raggiunto la cima della montagna dell’ideale, ma se avrò scelto la via della vita. E se vi avrò camminato con tenacia e lealtà, con infinite riprese, con tutto il cuore, fragile e felice, contorto e luminoso che lui mi ha regalato. La mia vita non è arrivare o raccogliere, ma partire a ogni alba, seminare a ogni stagione.