Blog / Renato Pierri | 29 Settembre 2017

Le Lettere di Renato Pierri – La sofferenza può assumere un senso, ma non possiamo darglielo se non ce l’ha

Trascrivo, dal blog “Come Gesù” del prete e scrittore Mauro Leonardi, alcune righe di un articolo di Davide Vairani.

«Il male e il dolore esistono. Possiamo cercare di limitarli, di lottare contro, di pretendere di sconfiggerli con medicine e cure sempre più all’avanguardia. Ma per quanto l’uomo si affanni, rimane un dato evidente: non possiamo eliminare sofferenza e dolore. Ci sono. Con la scienza e la tecnica possiamo lenirne un po’ gli effetti su di noi. E guai se non lo facessimo!”. Niente da dire fin qui, tranne che, per fortuna, la scienza ha fatto enormi progressi nelle terapie contro il dolore. Ma ecco le prime parole che sconcertano un po’: “Proprio là dove nel tentativo di evitare ogni sofferenza, si cerca di sottrarsi a tutto ciò che potrebbe significare patimento, proprio là dove si tenta di risparmiarsi la fatica e il dolore delegando il tutto alla medicina e all’estrema scelta di interrompere la vita perché “insopportabile”, si scivola in una esistenza vuota di senso”. E chi ha stabilito che evitare il dolore sempre che sia possibile (i miracoli di Gesù sull’uomo eliminavano il dolore), ed abbreviare l’esistenza qualora questa diventi insopportabile e senza speranza di guarigione, significhi scivolare in una esistenza vuota di senso? Le prove della giustezza di questa affermazione?

Ed ecco le parole che sconcertano tanto, invece,  giacché prive di senso a mio parere: «E’ più ragionevole scansare la sofferenza, fuggire davanti al dolore, cercare di possederlo invano oppure è più ragionevole accettare la tribolazione e in essa trovare senso mediante l’unione con Cristo, che ha sofferto con infinito amore in croce?». Che cosa significa “trovare senso nella sofferenza mediante l’unione con Cristo”? A me sembra un bel nulla. Il senso non si trova, il senso c’è o non c’è. La sofferenza in sé non ha un senso, può assumere un senso, ma non possiamo darglielo se non ce l’ha. Cristo ha dato un senso preciso alla sua sofferenza, ma non ha assolutamente fatto capire che la sua sofferenza sulla croce avrebbe dato un senso alla sofferenza di un bambino.

Per maggiore chiarezza: il sacerdote polacco Massimiliano Maria Kolbe, proclamato santo da Giovanni Paolo II, si offrì di prendere il posto di un padre di famiglia, destinato al bunker della fame nel campo di concentramento di Auschwitz. Ecco, col suo gesto, col suo sacrificio, diede un senso alla sua sofferenza. Affermare che la sofferenza di un bambino ha un senso per il semplice motivo che anche Cristo ha sofferto, è un ragionamento privo di ogni logica. Affermare che la sofferenza di un bambino ha un senso perché Dio ci ama immensamente, pure è privo di ogni logica. Che vuol dire? Viene un cancro doloroso ad un efferato delinquente, che strilla e bestemmia come un ossesso. La sofferenza del delinquente ha un senso perché lo avvicina a Cristo? Perché Dio lo ama? Ma che significa?

Renato Pierri

Nota redazionale – Come è noto e come ho indicato all’autore Rosebud non si occupa di questi argomenti, onestamente io ho difficoltà anche a capire quale sia la questione in discussione, ma questo non vuol dire nulla e comunque odio la censura. Per questi motivi lascio i commenti aperti così che chi viene chiamato in causa, il signor Leonardi o altri, volendo possa rispondere. Cordialità. RB

Tratto da Rosebud