FaroDiRoma – Consip. Da Renzi una lezione di vita
È una bella notizia che un figlio chieda al papà di essere sincero e trasparente con i giudici. E a maggior ragione lo è se questo figlio è un politico e si chiama Matteo Renzi, se il papà di cui si parla è il famoso Tiziano e se i giudici sono quelli del processo che vedono quest’ultimo imputato.
Sono le 9.45 del 2 marzo scorso e l’ex presidente del consiglio dice al padre: «Devi dire nomi e cognomi. Se dici non me lo ricordo non sei credibile. Non è credibile che non ricordi di avere incontrato uno come Romeo, noto a tutti e legato a Rutelli e Bocchino. Dì la verità che in passato la verità a Luca [Lotti, ndr] non l’hai detta. E non farmi aggiungere altro ». Lo racconta Marco Lillo nel libro «Di padre in figlio» e la notizia è riportata oggi dal «Fatto quotidiano».
Scrivo “la” notizia ma di notizie ce ne sono almeno due: che sia il figlio a chiedere al padre di essere onesto e non il contrario, e che questo figlio sia un politico. E questa volta, all’ex presidente del consiglio, va dato il riconoscimento positivo che merita. Non possiamo trattarlo come se avesse cercato di coprire il padre e di imbrogliare le carte. Il cittadino che lancia sempre e comunque pietre contro i politici questa volta deve rimanere a mani vuote, in caso contrario certificherebbe semplicemente che la non credibilità dei politici è figlia diretta della non credibilità di chi li elegge.
Non tutti, anche fossero stati semplicemente figli qualsiasi e padri qualsiasi, sarebbero riusciti a tenere una simile dirittura morale verso il proprio padre; e non tutti quelli onesti fino in fondo avrebbero mantenuto la medesima dirittura se fossero stati politici e la loro carriera politica fosse stato il prezzo da pagare per la sincerità paterna. Applausi quindi, in questa vicenda, a Matteo Renzi. Che non significa standing ovation sempre e comunque ma significa restituire dignità all’onestà e alla credibilità dei politici perché prima la si riconosce negli elettori. Infatti, la si giri come la si giri, alla lunga, in una democrazia, l’affidabilità dei politici è direttamente proporzionale a quella dei cittadini. Penso a chi ha la consapevolezza di essere un popolo e che non è disposto a convertire in populismo la propria dignità ed appartenenza, a chi non confonde la cabina elettorale con i sondaggi televisivi e gli slogan delle piazze.
In una telefonata privata che tale sarebbe dovuta rimanere – non dimentichiamolo – un politico ha saputo chiedere al proprio padre di essere sincero: lo ha fatto al riparo dai riflettori e preventivando che se la verità fosse stata di un certo tipo non avrebbe potuto presentarsi alle primarie. Perché Renzi nella telefonata dice a papà Tiziano: “Andrai a processo, ci vorranno tre anni, e io lascerò le primarie». Sono, guarda caso, le primarie che poi ha vinto. A riprova che in una democrazia sana gli elettori sani sanno riconoscere i propri rappresentanti.
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