Blog / Sandokan | 06 Maggio 2017

Le Lettere di Sandokan – Jazz

Come prima più di prima t’amerò
la mia vita per la vita ti darò
sembra un sogno rivederti accarezzarti
le tue mani nelle mani stringere ancor
Come prima più di prima t’amerò
la mia vita per la vita ti darò
ogni giorno ogni istante dolcemente ti dirò
come prima più di prima t’amerò
Come prima più di prima t’amerò
la mia vita per la vita ti darò
sembra un sogno rivederti, accarezzarti
le tue mani nelle mani stringere ancor
Come prima più di prima t’amerò
la mia vita per la vita ti darò
ogni giorno ogni istante dolcemente ti dirò
come prima più di prima t’amerò

E’ una canzone che conoscono tutti, che ha un testo molto semplice. Nessuno rimarrà fulminato leggendo queste parole, che non esprimono concetti originali. Sono parole che, in vario modo, hanno detto in molti, colti e ignoranti, e descrivono sentimenti che hanno provato in tanti.E’ una canzone sentimentale.L’altro giorno l’aggettivo sentimentale l’ha usato il nuovo direttore sportivo della Roma, Monchi, un andaluso che ha sempre lavorato a Siviglia. Gli hanno chiesto come vivrà la sua nuova avventura alla Roma e lui ha risposto così: «A Siviglia era un rapporto più sentimentale, qui cercherò di assimilare la cultura romanista, che è importante percepire. […] Sto cercando di relazionarmi al massimo delle mie possibilità giorno dopo giorno. Spero che un giorno diventerà sentimentale, ma sono sicuro che accadrà».Anche questa è stata una risposta semplice, che contiene una verità piccola: non sono innamorato di Roma e della Roma, ma vorrei innamorarmene, lo spero, perché, da innamorato, vivo meglio. 

A volte l’innamoramento non è ciò che accende una relazione, ma è il suo scopo. Uno non comincia innamorandosi per finire con l’amare, ma comincia amando (come sa farlo, come prova a fare Monchi, cercando di capire dove è capitato innanzitutto) e spera di finire innamorandosi. Perché amare da innamorati è tutta un’altra cosa. Non è che accada sempre, è necessario che l’innamoramento sia reciproco altrimenti la vita diventa difficile e uno diventa insopportabile all’altro, diventa uno stalker, come il tipo che bussava alla mia porta per invitarmi ad ascoltare le meditazioni dei preti, qualche anno fa. Lo faceva perché mia amava, gli avevano spiegato che pure questo era amore (e in un certo senso è vero), ma non sperava certo di finire innamorandosi di me, perché gli avevano anche detto che l’innamoramento non era amore (e anche questo è in un certo senso vero).

Siamo circondati da situazioni già viste, da parole già dette, da persone già conosciute – almeno in apparenza – e però a volte basta poco per cambiare prospettiva. Prendiamo la canzone con la quale ho iniziato questo articolo. L’avevo sentita mille volte, ma di recente ho ascoltato l’interpretazione che ne da Caetano Veloso, con l’accompagnamento jazz di Stefano Bollani. Alla fine di questo articolo c’è un link e, se vorrete, potrete ascoltarla pure voi.

Non sono un esperto musicale e neanche un esperto jazz, e però ascoltandola in questa versione mi è sembrata di non averla compresa mai fino ad ora. E’ come se io avessi avuto bisogno del jazz per riconoscere nella frase “sembra un sogno rivederti, accarezzarti e le tue mani nelle mani stringere ancor” qualcosa di mio. E il bello è che chi l’ha cantata e musicata così, non è che l’abbia fatto per me. L’ha fatto perché a lui piaceva così. Come a mia figlia piaceva la sua bambola e se ne andava in giro in spiaggia a cercare altre bambine a cui chiedere, porgendogliela: “vuoi giocare con me?”.

Di solito, quando mi capitano cose del genere con le canzoni, corro a farle ascoltare ad altri, per capire se è tutto vero quello che è vero per me. Se anche loro “vedono” quello che vedo io. E la stessa necessità che ho di raccontare i fatti della mia vita, esponendomi spesso a un sostanziale disinteresse confezionato da una formale cortesia.

In fondo – questo vogliono dirmi in tanti, dopo aver ascoltato le mie canzoni e le mie storie, quasi fino alla fine – quello che mi dici sono fatti tuoi e io ho i miei problemi. Come se io non lo sapessi, come se io volessi aggiungere i miei problemi ai suoi: sto raccontando una storia, sto ascoltando una canzone.

Mi dispiace tanto per Tony Dallara, che ha cantato questa canzone per anni e io l’ho ignorato. Ma a me serviva il jazz per capirla. Lui non lo sapeva e non gliene faccio una colpa.