Le Lettere di don Sergio – Amore alla Croce
La cultura occidentale consumista ed edonista, che si illude di poter eliminare il dolore e la sofferenza dalla vita dell’uomo è ormai priva delle categorie cristiane per comprendere il valore della sofferenza e della Croce. Alcuni nuovi maestri vorrebbero convincerci che ormai ci si deve aggiornare e parlare del messaggio cristiano solo come amore spensierato, festa e banchetto eterno. Già San Paolo metteva in guardia dai “nemici della Croce di Cristo”, che predicavano un Vangelo “diverso”, privo della “stoltezza” e dello “scandalo” della Croce.
Non penso che ci sia bisogno di ribadire ancora una volta, anche con San Paolo, che ciò che caratterizza il cristiano è la carità e che senza la carità, non solo la sofferenza, ma anche la fede e la dottrina non servono a nulla (Cfr. 1 Cor 13, 1-3). Ma la carità non è il sentimento spensierato di voler bene a tutti spontaneamente (Cfr. 1 Cor 13, 4-11).
Quando la Chiesa esamina la vita di coloro che poi propone come Santi da venerare, la prima cosa che vede è come hanno esercitato tutte le virtù cristiane, la prima delle quali è la carità (l’amore a Dio e al prossimo), poi la fede, la speranza, le virtù cardinali, l’umiltà, la pazienza, ecc … Mancando qualcuna di queste virtù, il processo non prosegue.
Nella vita di alcuni mistici, oltre all’esercizio di tutte le virtù, l’amore per Gesù, vero Dio e vero uomo, li ha portati a desiderare di imitarLo e di condividere con Lui, in umile accettazione della Volontà di Dio, quelle sofferenze che ricevevano nella vita (prove, maltrattamenti, malattie, ecc …).
La meditazione sulla profezia di Simeone a Maria, sull’invito ai tre discepoli eletti nel Getzemani, sull’esigenza di prendere la croce e di lasciare tutto per seguirLo, sulla profezia di Gesù a Pietro (“quando sarai vecchio …”), sulle parole di San Paolo sulla Croce, ecc … ha portato questi Santi al desiderio di volerGli stare vicino anche nella Croce.
Se uno guardasse Gesù come se fosse un uomo del passato, ormai morto e sepolto, che ha già concluso da solo la sua missione, e con il quale non può esserci un rapporto diretto di corrispondenza d’Amore, non capirebbe mai questo desiderio di condividere con Lui la Sua Passione (Cfr. Gal 2, 20: “Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me.”). Quest’ultimo è il modo con cui noi cristiani dovremmo guardare Gesù e quello con cui Lo guardavano Santa Caterina, Santa Gemma, Santa Edith Stein, San Giovanni della Croce e un’infinità di altri Santi e Sante della Chiesa.
Ciascuno di noi ha la sua strada e per seguire Gesù si deve cominciare dalle cose più semplici e che sono alla nostra portata, senza illudersi di voler cominciare da gesti o opere alle quali i Santi sono arrivati dopo un lungo percorso (non necessariamente lungo nel tempo) di crescita nell’amore.
Talvolta gli equivoci sono dovuti ad un’agiografia dai toni esagerati, ma, soprattutto chi vuole ritenersi cristiano, dovrebbe essere prudente nell’emettere sentenze superficiali ed ironiche sulla vita interiore di un Santo.
Don Sergio Fumagalli è nato nel 1957 ed è diventato presbitero il 21 maggio 2005. Attualmente è vicario nella Parrocchia di San Giovanni Battista in Collatino a Roma. Ha un suo sito
Ricordo che anche per “L’angolo del teologo” vale ciò che vale per ogni Lettera, e cioè che l’autore è l’unico responsabile di quanto ha scritto