Le Lettere di don Sergio – La richiesta di eutanasia
Spesso capita che nell’affrontare il problema dell’eutanasia si mescolino tra loro diversi piani che, evidentemente, sono collegati tra loro, ma che ritengo importane distinguere:
1. La moralità della richiesta da parte di colui che sta soffrendo e desidera porre fine alla sua vita;
2. La moralità delle opere dei parenti ed amici che cercano di stare vicino al malato;
3. La moralità delle opere dei medici che hanno in cura il malato;
4. La giustizia di una legge che permetta di porre fine alla vita di un cittadino;
5. La moralità di favorire od opporsi ad una tale legge.
In questo articolo non voglio entrare nel dibattito proponendo anch’io qualche altra cosa da dire a un malato che rivolgesse a me questa richiesta, ma vorrei semplicemente esporre alcune ragioni sul punto 4., perché penso che sugli altri punti ci sia abbondanza di materiale dottrinale a disposizione, a cominciare dal Catechismo della Chiesa Cattolica (nn. 2276 – 2283).
Affrontando dunque il problema della giustizia o meno di una legge che permetta, in determinati casi, di porre fine alla vita di un cittadino, mi metto in una prospettiva unicamente civile, poiché compito di una legge è quello di difendere, favorire e promuovere il bene comune.
Ritengo che il primo bene comune da salvaguardare sia il bene della vita di ogni cittadino: questo bene è anteriore anche a quello della libertà e di altri diritti importanti, poiché viene prima di questi e talvolta, in certe situazioni di età e di malattia, la libertà è fortemente condizionata e diminuita, se non del tutto assente. Per questo motivo, ritengo che introdurre per legge la possibilità che qualcuno possa porre fine alla vita di un altro, pur con tutte le migliori intenzioni di questo mondo, sia un atto pericoloso per il bene comune perché verrebbe leso il primo diritto di ogni cittadino, che è il diritto alla propria vita (inteso semplicemente come diritto a che la propria vita non sia soppressa da altri).
Evidentemente, una legge non potrebbe vietare il suicidio (non avrebbe alcun senso proprio), ma una cosa è il suicidio e un’altra cosa è chiedere ad un altro di uccidermi o di aiutarmi a suicidarmi: nel secondo caso non è coinvolta solo la libertà e responsabilità di chi desidera morire, ma anche la volontà dell’esecutore materiale (in modo analogo, in questo secondo caso, ci sarebbe anche la responsabilità di chi, pur non eseguendo direttamente l’uccisione, favorisce o promuove un suicidio).
Il far dipendere il bene della vita di un cittadino da altre condizioni: di salute, di benessere o di qualsiasi altro genere di desideri, aprirebbe la porta a possibili e, con il passare degli anni, sempre più probabili lesioni di diritti delle persone più deboli e fragili.
Don Sergio Fumagalli è nato nel 1957 ed è diventato presbitero il 21 maggio 2005. Attualmente è vicario nella Parrocchia di San Giovanni Battista in Collatino a Roma. Ha un suo sito
Ricordo che sul blog Come Gesù chiunque ha la possibilità di scrivere delle Lettere di cui è e rimane l’unico responsabile.