Blog / Sandokan | 19 Novembre 2016

Le Lettere di Sandokan – Semplicità

Ho letto in questo blog di recente, ma l’ho ascoltato tante volte altrove, che per capire una donna non basta una vita, perché il mondo delle donne è complesso, perché la loro sensibilità è particolare e per altri mille motivi che non sto qui ad elencare perché sarebbe troppo complicato e io punto ad essere semplice.

Devo dire che questi convincimenti, in alcune donne che conosco, non derivano da profonde analisi introspettive: sono rivendicazioni di genere e dipendono dal modo in cui esse sono state educate o, più spesso, consolate.

Hanno un marito che non le capisce? E’ normale, le dicono alcuni, la donna è complessa: è un mistero meraviglioso. E la donna è contenta di essere un mistero meraviglioso. Chi non lo sarebbe, d’altra parte? Se è anche pia, scatta subito il paragone con la Madre di Dio, e lei così se ne fa una ragione della sua vita: non è una moglie che ha una difficoltà col marito, è la Madre di Dio che il mondo non capisce. Ha quindi sempre ragione (come si può dar torto alla Madre di Dio?) e tutti gli altri torto. Ma questi tutti che hanno torto non li si può condannare: sono sempliciotti e capiscono fino a un certo punto, sono bambini e hanno bisogno della mamma.

Lei si mostra ben disposta a credere a quello che le si dice, alla sua meravigliosità di genere, però tocca ripeterglielo ogni settimana, ogni quindici giorni al massimo, sennò finisce per deprimersi e comincia a urlare, e una madre di Dio depressa e urlante non corrisponde allo schema.

Agli uomini invece, gli stessi che dicono alla donna che è un mistero meraviglioso spiegano che bisogna portarle i fiori, baciarla quando si entra e si esce di casa, uscire a cena sola con lei senza figli ogni tanto, farle i complimenti. E dicono loro poco altro, in fondo. Non sembra, a sentirli parlare, che sia proprio un mistero questa donna, per loro, meno che mai un mistero meraviglioso da scoprire.

L’unico segreto su cui poggiano questi discorsi tra uomini è il seguente: lei è molto più rompicoglioni di lui. Questo è un fatto assodato di cui non si discute mai, tra uomini, è una evidenza sperimentale, come la forza di gravità, e, partendo da ciò che è evidente al senso comune, si insegnano all’uomo adulto “tecniche di gestione delle criticità”, perché lei non si lamenti troppo della sua solitudine, vera o presunta che sia, e perché, in fondo la vita sia sopportabile.

Con alcuni semplici accorgimenti diventa persino possibile campare accanto a una donna meravigliosa – questo ti vogliono dire – ritagliandosi anche il tempo per il calcetto e il tempo per ricevere l’indispensabile formazione che ricordi loro di quali donne meravigliose siano circondati e di come fare a sopportare tanta luce senza scottarsi.

All’uomo può essere sufficiente ascoltarlo una volta l’anno che le loro donne sono meravigliose: tutte meravigliose, tutte misteriose, tutte indecifrabili, tutte amanti dei fiori, per natura.

Sono semplificazioni, in realtà. La verità è più semplice e la semplicità nella sua crudezza è sempre bellezza, anche se ciò che mostra non dovesse essere bello.

Ma essere semplici non vuol dire semplificare. Come essere complessi non vuol dire complicare.

Sono ingegnere e tutto ciò che si studia nella mia facoltà sono tecniche di semplificazione della realtà per uno scopo. Un geologo studia le caratteristiche del suolo, un ingegnere minerario ne progetta lo sfruttamento e del suolo coglie soltanto gli aspetti collegati ai suoi fini, e quindi semplifica e la sua semplificazione è anche utile.

Nelle relazioni umane funziona alla stessa maniera e la semplificazione è spesso funzionale all’utilità. Ma è anche la premessa dello sfruttamento, ossia della gestione della realtà per i propri fini.

Una cosa diversa è la semplicità, ma essere semplici è complesso.

Stamattina in macchina mia figlia mi ha raccontato che la sua insegnante di Italiano sta cercando di liberarli dall’abuso di due verbi: “fare” e “avere”. Abbiamo chiacchierato di quante volte usiamo il verbo “fare” per spiegare le cose e di come ci possano essere alternative, di come ci possano essere parole più esatte per accorciare e diversificare le frasi, per renderle più “eterne” e meno “volatili”.

Certo, manipolare un vocabolario ampio è complesso e scegliere le parole giuste richiede tempo. Invece con “fare” e “avere” il mondo sembra più semplice, ma forse è soltanto semplificato.

Chi ha fatto i miei studi poi sa bene che la semplificazione ha una sua complessità, perché provare a trasmettere lo stesso concetto con un vocabolario limitato fa aumentare le parole: lunghissime sequenze di 0 e 1 semplicemente per dire al blog di pubblicare questo articolo nella home all’una di domani.

Nel colloquio tra persone è la stessa cosa. E, aumentando le parole più del necessario, diminuisce l’esattezza del parlato e finisce che il senso del tutto viene sommerso dai propri limiti espressivi e dal modo personale che si ha di vedere le cose.

Ripensando a questo mi è tornato alla mente Carlo Emilio Gadda e il video di Baricco che posto di nuovo qui sotto. Ho ascoltato in macchina con mia figlia questo racconto dell’agonia di una vecchia mentre fuori spunta l’alba. Per dirlo bene, in dieci righe, senza trascurare i dettagli, bisogna essere esatti e l’esattezza è semplicità o almeno è tutta la semplicità possibile.

E’ un compito bellissimo essere semplici, trovare le parole giuste per descrivere le cose, i sentimenti, le gioie, i dolori, le relazioni, tutti i fatti della vita. Bisogna studiare molto, perché il mondo è complesso, non soltanto il mondo delle donne.