Blog | 09 Aprile 2012

IL CORPO DEL RISORTO IN ME [data originale: 7.04.2012]

“Se Cristo non è risorto vana è la vostra fede e voi siete ancora nei


vostri peccati” (1 Cor 15, 17). Quest’affermazione di s. Paolo colloca la Resurrezione di Cristo al centro della fede cristiana; può avere pertanto un interesse non marginale riflettere con una certa attenzione sull’efficacia dell’azione redentiva del corpo risorto di Cristo  sul corpo umano in quanto sessuato o, meglio, sulla persona umana. 

1 Cor 6, 13-17 collega esplicitamente la risurrezione del Signore e il corpo dell’uomo: «”I cibi sono per il ventre e i1 ventre per i cibi!”. Ma Dio distruggerà questo e quelli; il corpo poi non è per l’impudicizia, ma per il Signore, e il Signore è per il corpo. Dio, poi, che ha risuscitato il Signore, risusciterà anche noi con la sua potenza. Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Prenderò dunque le membra di Cristo e ne farò membra di una prostituta? Non sia mai! O non sapete voi che chi si unisce alla prostituta forma con essa un corpo solo? I due saranno, è detto, un corpo solo». Contrapponendo due unioni fisiche, quella con la prostituta e quella con Cristo risorto, Paolo insegna che queste due unioni sono con dei punti in comune: in certo modo sono altrettanto reali. Dal momento che  l’unione di due corpi è in senso profondo l’unione di due persone e poiché l’unione del cristiano con Cristo è unione misteriosa con il Suo corpo glorioso, ne deriva che il credente attraverso il suo corpo è membro di Cristo; pertanto se ha un rapporto sessuale con una prostituta rende le membra di Cristo membra di una prostituta (dove in questo caso, con il termine “prostituta” si può intendere ogni tipo di rapporto sessuale che avvenga al di fuori del legittimo matrimonio).
La redenzione del nostro corpo è una partecipazione alla risurrezione del corpo di Cristo: come il Padre ha risuscitato il Signore così risusciterà anche il nostro corpo. Gesù risorto è il primogenito dei morti, tutta la nuova creazione si costruisce a partire da Lui. L’evento della risurrezione accaduto nel Cristo accade anche in colui che crede in lui. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv 6, 39-40). La redenzione del corpo del credente pertanto avviene attraverso una partecipazione al corpo risorto e glorificato di Cristo. Quanto stiamo dicendo è messo meglio in luce dall’ espressione “Gesù Risorto”, che da quella di “risurrezione di Gesù”. Nel primo caso si sottolinea con maggior chiarezza che è proprio Gesù in Persona, il risorto, e cioè l’unico Gesù esistente ora, la causa e il modello della risurrezione del nostro corpo. Le nostre membra redente radicheranno misteriosamente in quelle di Cristo. In Lui troveranno la sua sorgente e il suo esemplare. Infatti “come abbiamo portato l’immagine dell’ Adamo terrestre, così porteremo l’immagine dell’ Adamo celeste” (l Cor 15, 49). “Poiché la nostra risurrezione è causata dalla risurrezione di Cristo e poiché essa “non è niente altro che l’estensione all’uomo della stessa risurrezione di Cristo” (S. Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera su alcune questioni riguardanti l’escatologia, AAS 71, 1979, p. 941), ciò che è accaduto nel corpo di Cristo accadrà anche nel nostro: in qualche modo fin da ora e in pienezza alla fine dei tempi”[1]. Il motivo per cui, dopo il Giudizio Universale,  il corpo dei beati in cielo sarà incorruttibile e nuovo  è dato dalla loro partecipazione alla stessa vita intima della Santissima Trinità. “Essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio” (Lc 20,36 ) dice  Gesù legando così nel modo più stretto la vita intima trinitaria (che per l’uomo è la filiazione divina in Cristo) al corpo risorto del santo. Gesù si comunica all’intera persona, a tutto l’uomo che decide di corrispondere al suo amore: attraverso la dimensione spirituale si arriva alla psicosomatica. In tal modo Cristo risorto permea e penetra la persona umana e fa in modo che inabiti in lei ciò che è essenzialmente divino. Dal nostro punto di vista il soggetto è l’uomo che dice il suo fiat, la persona cioè che dice il suo , che dà il suo consenso al Dio che le chiede il permesso di donarsi a lei: cioè di santificare l’intera persona, compreso il suo corpo. E’ possibile pertanto leggere la nostra attuale lotta per vivere la santa purezza come lo sforzo per consentire alla redenzione del nostro corpo di iniziare fin da ora. Possiamo decifrarla cioè come un cammino verso quella  divinizzazione che appartiene assolutamente e con pienezza solo a Cristo.  Come Egli stesso afferma (“Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno“ Gv 6,54), questo cammino ha un suo “germe” nella comunione eucaristica che è comunicazione del sangue effuso, della carne immolata, risorta e glorificata del Verbo incarnato, alla persona che con Questi si comunica con le condizioni dovute. Attraverso l’eucarestia il corpo e sangue di Cristo entrano in comunione con il corpo e il sangue di chi lo riceve, ma poiché vivo è Cristo e vivo è chi si comunica, avviene che la comunione non è solo (ovviamente) tra il corpo e il sangue  delle due persone, ma con le intere persone dei due viventi: Gesù risorto e glorioso, ed il fedele che si accosta degnamente all’eucarestia. Se quest’ultimo ha le disposizioni richieste dalla Chiesa, gli viene donato quello Spirito vivificante che, effondendo la carità,  crea in lui la rettitudine della volontà e cioè propriamente “un  cuore puro”: quel cuore che secondo Mt 5,8 giunge ad una perfetta unità interiore e pertanto “vede Dio” . Poiché nel linguaggio della Bibbia “cuore” significa il centro dell’esistenza umana, quella confluenza di ragione, volontà, temperamento e sensibilità in cui la persona trova la sua unità e il suo orientamento, “vedere Dio” significa crescere in un atteggiamento del cuore nel quale il fiat – “sia fatta la tua volontà” – diviene il centro informante di tutta l’esistenza[2]. Inizia così il processo di spiritualizzazione del corpo (Ma chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito” così proseguiva il brano di 1 Cor 6, 17)., che non è un decorso di “fantasmizzazione” del corpo, ma un suo graduale perfezionamento. Dice Gesù Risorto «Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi, guardate; un fantasma, non ha carne e ossa come vedete che io ho » (Lc. 24, 39). Perfezione non significa smaterializzazione ma piena e completa integrazione del corpo al soggetto personale[3]. In questo caso “essere personale” è sinonimo di “essere spirituale”: perfetta spiritualizzazione significa pertanto perfetta personalizzazione. Quando Gesù afferma che i beati saranno uguali agli angeli (Cfr. Lc. 20, 36), intende che il corpo dei beati sarà talmente “personalizzato” da ottenere che in essi l’omogeneità tra anima e corpo sia così profonda da essere paragonabile all’omogeneità che esiste negli angeli, che sono puri spiriti. L’uguaglianza non sta nel fatto che la nostra diverrà una natura angelica, ma che la nostra natura umana (quella natura che “progettualmente” è costituita da anima e corpo) sarà perfettamente integra, omogenea, unita nelle sue parti: in ciò, quindi, nella perfetta integrazione tra anima e corpo,  sarà come  quella angelica, che è costituita di solo spirito. La trasformazione del nostro corpo pertanto non sarà quella di non essere più corpo ma avverrà che la sua intrinseca ordinazione ad esprimere e realizzare la persona, troverà nel corpo dei beati piena attuazione. Esso cioè perderà quei limiti, che lo rendono indocile, ottuso, sordo, opaco, ai desideri della nostra anima e del nostro cuore. Il processo di spiritualizzazione del corpo è renderlo sempre più disponibile allo spirito.  Si tratta di un “processo” cioè di uno sviluppo che avviene gradualmente. Nel redento infatti, anche se battezzato, rimane il “fomite” delle tre concupiscenze che minacciano questo divenire redentivo, e lo possono rendere vano. “Un’altra cadde tra le spine; le spine crebbero, la soffocarono e non diede frutto… Ma sopraggiungono le preoccupazioni del mondo e l’inganno della ricchezza e tutte le altre bramosie, soffocano la parola e questa rimane senza frutto” (Mc 4,7.19). Le parole della parabola ci dicono che la redenzione del corpo, dono della grazia, implica una risposta umana che può essere letta come una lotta  contro ciò che minaccia di spezzare l’unità della persona. se si rimane nell’alveo semantico della parabola è chiaro che tale lotta consiste nell’ essere terreno per la Parola, cioè per il Verbo incarnato. “Lottare” vuol dire essere una terra che si lascia assorbire dal seme, che al seme si assimila rinunciando a sé stessa per farlo germogliare. Guardiamo Maria. Con la sua maternità ha trasfuso nel Seme Divino che lo Spirito Santo aveva deposto nel suo grembo verginale,  la sostanza di sé, corpo e anima, perché una nuova vita potesse venir fuori. Il detto sulla spada che le trafiggerà l’anima (Lc 2,35) non indica solo un grande tormento: Maria si mette a completa disposizione. Come suolo, si lascia usare e consumare per venir trasformata in colui che ha bisogno di noi per diventare frutto della terra[4]. In tal senso la santa Purezza non è altro che l’etica teologica della sessualità umana studiata precisamente dal punto di vista della trasformazione del terreno in seme: questo è il processo redentivo della persona nella sua dimensione corporale. Una secolare preghiera composta dal card. Bona per alimentare il ringraziamento eucaristico, acquista in questa chiave uno straordinario sapore. La presentiamo con qualche nostro piccolo adattamento: “Nel sacramento scompare la sostanza del pane e del vino e rimangono solo gli accidenti. Anche tu distruggi in te tutta la tua vecchia sostanza, e dalla nuova fatti mordere dolcemente. Egli dà da mangiare la sua vita a tutti, e non fa sottili distinguo di persone. Anche tu sii pane per tutti, abbi sincero zelo per le anime e non andare per il sottile. Cristo si nasconde sotto le umili speci del pane e del vino e per nessun altro spiraglio si lascia intravedere: nascondi anche tu le tue apparenze, ed ama la dolcezza della mitezza e dell’umiltà. Egli è lì esposto alle ingiurie dei peccatori, degli infedeli e perfino delle bestie. Anche tu sottomettiti a tutti, e di fronte a qualsiasi disprezzo e schifezza sappi patire. Egli anche quando le speci si dividono, non si divide e non soffre divisioni. Anche tu in ogni difficoltà, mantieni integro il tuo animo e sii del tutto sereno”.
C’è una lotta, l’abbiamo già detto; e alla luce della fede della Chiesa non è difficile capirne il perché. L’uomo, a causa del peccato di Adamo ed Eva, ha perduto la sua originaria integrità e la sua immortalità. Poiché la persona umana ha rotto la sua alleanza con il Signore, inizia un processo di disintegrazione e di alterazione che, dal punto di vista della sessualità, significa che la dimensione più libera e spirituale dell’ uomo – cioè cuore, intelligenza, volontà – perde la forza di permeare completamente. Ciò comporta che a volte la volontà finisca col aderire a moti, per così dire, “inferiori”, ricercando un bene “privato”, un corpo “privato”, carente cioè dell’intero orizzonte esistenziale. Quella permeazione intensiva ed estensiva di intelligenza, volontà e cuore, che ama Dio sopra ogni cosa e di cui parlavamo prima, nella vita quotidiana e concreta si interrompe: il terreno si chiude. L’uomo, invece di Dio, ama sé stesso o un qualsiasi altro bene creato. E’ questo il focolaio della concupiscenza.
In questa situazione l’uomo trova difficile cogliere l’essenza del corpo umano, e cioè che esso appartiene intrinsecamente a tutta la persona. Per questo poco sopra abbiamo parlato di “bene  privato” e di “orizzonte privato”[5]. Ciò è dovuto a quella ferita avvenuta all’interno della persona a causa del peccato originale; e questa ferita dell’unità originaria crea a propria volta una frattura all’interno delle altre facoltà dell’uomo. E’ ciò di cui parla san Paolo quando scrive: “acconsento nel mio intimo alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un’altra legge che muove guerra alla legge della mia mente” (Rm 7, 22-23). I1 corpo non è più facilmente disponibile all’intera persona, cioè allo spirito, anzi può addirittura divenire una minaccia. Per lo spirito ma non solo. Anche per il corpo stesso. La svolta infatti che la concupiscenza vorrebbe imprimere all’uomo non può essere altro che la corruzione e la morte, e ciò non solo e non principalmente nel senso della conclusione della vita nel suo orizzonte temporale. Se Cristo è via, verità, vita, è chiaro che lasciare che il Corpo Risorto di Cristo permei sempre più completamente il nostro, significa che la minaccia riguarda la profonda capacità dell’uomo ad essere sé stesso. Il poter facilmente realizzare atti di profondo, vero ed autentico autopossesso: in questo senso si capisce perché la concupiscenza derivata dal peccato, pur non essendo in sé stessa un vero e proprio peccato, sia un permanente focolaio di peccato.
Allorché la nostra riflessione passa dall’uomo in sé stesso considerato alle sue relazioni, ed in particolare a quelle mediate dal suo corpo sessuato, è facile rilevare come la concupiscenza sia il vero pericolo alla comunione interpersonale. Se essa già agisce sull’individuo, facendo in modo che una parte di sé agisca “privatamente”, come disgiunta dal resto della persona, con quanta maggior facilità ciò avverrà nel caso della relazione. L’uomo diviso in sé crea divisione fuori di sé. In Eden la comunione interpersonale era possibile e senza alcuna minaccia  perché il “substrato” necessario della comunione, cioè il linguaggio del corpo, era integro. Dopo il peccato originale i1 corpo cessa di svolgere un ruolo “insospettabile” perché ciascuno alla luce della propria cattiva esperienza, esita della capacità del corpo delI’altro. Si è consapevoli di correre il rischio dell’ipocrisia. Non per nulla quando nell’Apocalisse si parla di coloro che “non si sono contaminati con donne”, dei vergini, si dice che “non fu trovata menzogna” in loro (cfr Ap. 14, 4-5). La semplice e immediata capacità di piena comunione reciproca non è possibile, ed ogni linguaggio diretto ha bisogno di una verifica indiretta. Poiché ciascuno sa di recare in sé tendenze buone e cattive, è consapevole di poter introdurre menzogna nella relazione, o di poterne rimanere vittima. Il corpo è la capacità di realizzare il dono di sé nella carne, ma proprio la concupiscenza rischia di deformare il possesso reciproco posto in essere dal dono in un possesso reciproco creato dal dominio. Ecco perché la permanente difficoltà di identificazione con il proprio corpo posta in essere dalla concupiscenza, diviene permanente difficoltà di immedesimazione e di relazione con l’altro. “Normalità” pertanto significa che l’uomo, fatto per valori spirituali che sono oggettivamente superiori a quelli “materiali”,  a causa del peccato originale (cui si aggiungono i vizi e i peccati personali) è a volte attratto più dai secondi  che dai primi. Avviene cioè che ci sia in lui “qualcosa che non va”, qualcosa per cui ciò che è più debole, ha su di lui una forza più forte di ciò che è oggettivamente “più forte”. Esiste un ribaltamento per cui accade a volte all’uomo di essere più facilmente inumano che umano; e quando ciò avviene, è l’uomo che viene sconfitto. E’ esattamente per questo motivo che nasce la necessità della lotta ascetica. Essa difende l’uomo. Gli permette di essere un terreno accogliente. In questi casi è quindi comprensibile  che l’uomo debba fare tutto ciò che è in suo potere per assicurare la vittoria al Corpo di cristo Risorto di cui provvisoriamente sente un più debole fascino. Per assecondare l’operato della Grazia che desidera collocare nel nostro petto il cuore di Cristo, il cristiano deve sapere che ogni tanto gli accadrà di lottare affinché ciò che è in lui oggettivamente più forte lo divenga anche soggettivamente. Questo lavoro ha anche una dimensione “negativa”: si tratta di togliere ai valori inferiori quella  forza di suggestione che ricevono dai sensi e che, non essendo conformi alla verità oggettiva del bene (e della Vita), rendono la vita di chi ne è vittima, oggettivamente peggiore. Per poterlo fare occorre uno sforzo particolare, che una tradizione secolare ha chiamato “ascesi”. L’ascesi non è dunque affatto qualcosa di straordinario, bensì un coefficiente normale ed indispensabile della vita morale dell’uomo (Cfr. Karol Woityla,  Vivere l’ascesi). Ascesi significa semplicemente impegno autentico e senza compromessi a lavorare su sé stessi per lasciare che cristo cresca.
 Studi Cattolici n. 493 – Marzo 2002

[1] C. Caffarra, Etica generale della sessualità, (Ares, Milano 1992) par. 24 “la redenzione del corpo umano”. Quest‘articolo prende molti spunti da quel libro.
[2] Cfr a questo proposito: Ratzinger, Commento teologico al documento “Il messaggio di Fatima”, p. 39.  L’ Osservatore Romano – documenti
[3] Caffarra, ibidem,  pp. 45-6.
[4] Cfr. J. Ratzinger, Maria Chiesa nascente, San Paolo 1998, p.7
[5] E’ una denominazione desunta da Caffarra, ibidem,  p. 28

5 risposte a “IL CORPO DEL RISORTO IN ME [data originale: 7.04.2012]”

  1. Ribelle ha detto:

    “Questa riflessione sulla carne è talmente bella che non c’è molto da
    commentare…(questo spiega forse,perchè nessuno aggiunge commenti!!)
    Io però,vorrei solo aggiungere che “carne”indica ovviamente ed essenzialmente la realtà del “corpo”,ma anche tutto ciò che nella nostra
    vita è fragile,soggetto a limiti e all’usura del tempo.
    A tal proposito ho letto una testimonianza che vorrei proporre ai lettori del blog:è di una madre di famiglia che si “converte” ad un certo punto della vita,ma si ritrova con una serie di scelte già fatte ,di situazioni già avviate e anche di errori fatti sui quali non è possibile fare molta retromarcia…e allora?Cosa significa credere alla risurrezione della carne
    e quindi delle realtà più fragili della propria esistenza?
    “Significa farsi piccoli,piccoli,avere l’umiltà di accettare le realtà che non puoi cambiare e che ti fanno soffrire.anche quelle per le quali ti
    colpevolizzi,affidandole tutte alla sua misericordia,cioè “rinunciando” a
    continuare a pensarci,donandole veramente a Lui,senza riprenderle sempre in mano…).
    Significa accettare anche di avere l’ultimo posto pur di non essere fuori
    dal Suo banchetto..magari pensare che la tua sofferenza è anche una
    purificazione che ti permette un incontro più da vicino,un collirio che rende il tuo sguardo più profondo e capace di capire gli altri,nella segreta speranza
    che dove tanti essere umani non ti hanno valutato e capito, Lui ti
    dirà-amico vieni avanti…”Certamente,il chicco di grano che muore,non è
    molto felice di trovarsi sotto terra!ma proprio laddove si vede che tutto è
    sfacelo e morte,il cristiano è chiamato ad esercitare LA FEDE e LA SPERANZA!
    Che bisogno c’è di avere fede se già io con la mia intelligenza riesco a
    padroneggiare la situazione? Che speranza dovrei avere se la situazione che
    vivo…non è …senza speranza?
    Per vivere così,c’è bisogno di un continuo portare il proprio vissuto
    davanti a Lui,per vederlo in modo soprannaturale…e questo…RENDE POSSIBILE PREGARE SENZA INTERRUZIONE!
    Per vivere così…c’è bisogno di concentrarsi assolutamente,solo sul momento
    presente!vivendo ogni giorno come se fosse l’unico.e l’ultimo!.. e questo…ti fa capire CHE VICINO A LUI,TUTTO HA VALORE E TUTTO PUO ESSERE REDENTO!
    E ti accorgi, che già questi sono piccoli assaggi di quel “latte e miele”
    che sarà l’incontro con Lui,sono già piccoli annunci di risurezione,anche se
    nello stile semplice e povero del Vangelo…”(SC)

  2. Dory ha detto:

    Ok…Dopo che uno legge un articolo così…Si sente piccolo, piccolo.Perchè è un articolo bellissimo, intensissimo che dovrò rileggere perchè, confesso, non l’ho capito tutto. Infatti qui faccio qualche domanda e scusate tutti se sembrerà ingenua…Non è che lo sembra, lo è: nel senso che certe cose, almeno per me, sono proprio nuove. Comincio dal titolo…”Il corpo del Risorto in me”. Nell’articolo si delinea la prospettiva miracolosa e stupefacente per cui – se ho ben compreso – i nostri corpi diverranno membra vive di Cristo pur mantenendo integra la propria individualità fisica e psicologica. Cioè, per dirla “semplice”…Faremo parte della Trinità???? Saremo (UNO – con Dio, Gesù e lo Spirito Santo) ma ognuno di noi manterrà la sua persona?
    Se è così – se ho detto una scemenza chiedo scusa subito perchè il tema è veramente Sacro – che senso ha il “Noli me tangere” di Gesù risorto a Maria? veramente quelle parole lì non le ho mai capite…Che vogliono dire? Perchè Gesù le dice in quel momento? Perchè proprio a Maria? Capisco che quello che scrive qui, Don Mauro, potrebbe spiegare quelle parole ma mi sfugge il come…
    Ritornando al libro mi sembra che in tutto e anche qui ritorni sempre centrale il tema dell’Unità nella diversità…Unità che è garanzia di sincerità dell’Uomo a sè stesso e nelle sue relazioni…Unità che è il “distintivo” interiore del celibato ( forse) perchè testimonia indiretttamente ciò che accadrà di ognuno di noi nel Paradiso? Unità…Che nella Chiesa non c’è. Che non viene insegnata. Che poi non si vive, magari perchè “sei costretto” e pure in quella costrizione vivi la tua fedeltà…
    A volte, la mancanza di unità è peccato sì. A volte però, Don Mauro…è una ferita inferta che devi solo subire…

  3. Dory ha detto:

    Scusate correggo solo la frase: “Che non viene insegnata” in un più giusto: “Che troppo spesso non viene insegnata”…

  4. Mauro Leonardi ha detto:

    @Dory hai capito benissimo. Saremo una solo cosa – un solo corpo – in Cristo. Come il tralcio e la vite (Gv 15). Ci sarà un rapporto reale nel corpo di ciascuno di noi. Questo rapporto reale non è quello sessuale ma sarà infinitamente più ricco e misterioso di quello sessuale. Quello sessuale è un’immagine misera e poverissima, di quello.

    “Noli me tangere”…. non centra nulla. L’abbiamo letto oggi nella Messa. Adesso viene tradotto opportunamente non “non mi toccare” che ha una sfumatura di puritanesimo che non si addice al cattolico, ma – cito dalla nota TOB – :”Gesù vuole indicare a Maddalena che il cambiamento che si opera in forza del suo passaggio al Padre comporta un nuovo tipo di relazioni.

    E’ appunto la relazione di cui ho parlato sopra. In realtà è la relazione che abbia o con l’eucarestia. “Tutto il corpo di Gesù in tutto il nostro corpo”. Solo che quando facciamo la comunione non abbiamo la percezione di quanto accade, se non nella fede.
    Il celibato di Gesù – che è il celibato del mio libro – è esattamente questo.
    Grazie!

  5. Vera ha detto:

    @ padre Mauro… Ciò che dice è talmente forte che mi lascia sempre in silenzio. ” Quello sessuale è un’immagine misera e poverissima di quello”. Non posso fare altro che dire : ” se solo si capisse la pienezza che il Signore ci dà già da ora e che ci darà nel momento in cui Egli sarà Uno in noi !.