Blog / Sandokan | 23 Luglio 2016

Le Lettere di Sandokan – Pokemom

Non mi fate domande, non ne so molto più di voi. Solo i rudimenti: il tipo in figura è Pikachu.

Chi è Pikachu, vi chiederete? Lo so. Io lo so: è un Pokemon! E spero vi basti.

Sono andato a cercare informazioni sul suo conto e mi sono scoraggiato: la pagina wiki che parla di lui è più lunga di quella che parla di William Shakespeare. Oddio no, forse più lunga no. Però dovrebbe, perché Pikachu lo cercano tutti, mentre Shakespeare non se lo legge più nessuno.

Ecco un’altra cosa che so: Pikachu lo cerca un sacco di gente nei posti più impensati: a Central Park e anche attorno a casa mia. Ma perché lo cercano? Non vi saprei dire. E come c’è finito Pikachu a casa mia? Boh.

Ma il peggio non è questo. Mia madre vuole sapere. Legge i giornali, vede la TV e, giustamente, si allarma. Ha appena levato gli acari dal materasso e si potrebbe ritrovare coi Pokemon tra i cuscini del divano. Questo pensa e la mia spiegazione deve partire da qui.

“Tuo padre non li vuole in casa, vero?”, parla con me ma guarda mio padre che fa cenno di “sì” con la testa per riflesso, un po’ come accade quando ti tirano una martellata al ginocchio e tu lo muovi senza sapere perché. Mia madre chiede “vero?” e lui risponde “sì” con la testa da cinquantadue anni. Forse per i primi dieci anni avrà detto di “sì” con la bocca, ma poi avrà deciso che non valeva la pena sprecare il fiato e si è dato al calcetto o a roba simile: là il fiato serve per correre.

“Ma che cosa sono questi Pokemon, che ai miei tempi non c’erano?”, mi fa.

Ecco, lo sapevo, me l’ha chiesto. Dopo tutti i soldi che ha speso per farmi studiare si aspetta che io sappia rispondere a quello che qualunque bambino di cinque anni sa benissimo. Non la posso deludere. Che avreste fatto voi al mio posto? Avreste risposto “non lo so” deludendo una madre? Non ci credo. Ho messo in moto il cervello, ho cercato un bambino di cinque anni e ho provato a farmi spiegare da lui ciò che non sapevo.

Per fortuna mio nipote è libero da impegni. Ha appena rovesciato un bicchiere d’acqua sul divano e cerca un’occasione per cambiare discorso.

Mi avvicino, chiedo e lui inizia a raccontare trame incomprensibili e storie magnifiche: devi catturare i Pokemon per strada (per strada?) con le Pokeball che prendi nei Pokestop e poi metti i Pokemon nei Pokedex … poi le uova si schiudono, ci sono le caramelle (le caramelle?) e la polvere di stelle (la polvere di stelle?).

Tu lo guardi mentre entra in dettagli incomprensibili e capisci che parla come uno che ha autorità, non come gli scribi e gli altri bambini dell’asilo. Sa cose che altri non sanno, è evidente.

Mi sento come se fossi davanti a un bancario che prova a spiegarmi l’utilità di accettare la sua proposta di investimento. Non lo posso interrompere per chiedere delucidazioni.

Se lo interrompi lui reagisce in due modi: se ti crede dotato di cervello ricomincia daccapo la spiegazione ripetendo esattamente, parola per parola, quello che tu non avevi capito prima, volendo intendere che non esiste modo migliore per spiegarlo di quello che tu non hai compreso a causa della tua scarsa attenzione; se invece lo interrompi con domande sbagliate tipo “chi è Pikachu?”, lui smette di parlarti mostrando chiaramente, con tale gesto di disprezzo, che non ha tempo da perdere con un deficiente come te.

Arriva fino alla fine e tu ne sai meno di prima, ma con più parole in testa per spiegare ciò che non sai. E, così come sei, nudo come lei ti ha partorito, torni da tua madre e inizi a rovesciarle addosso un discorso senza senso, però con una sicurezza tale da lasciarla a bocca aperta: d’altra parte sei uno che ha studiato e le cose che non sa le sa dire.

Lei rimane impressionata dalla tua scienza e dalla tua eloquenza, che è ciò che si aspetta da suo figlio, e mostra di aver compreso tutto quello che le interessava di sapere e mi interrompe così: “Posso stare tranquilla allora, ho capito. Grazie”.

“Grazie a te, mamma”.