Angel Rodríguez Luño – Amoris laetitia: Linee dottrinali per un discernimento pastorale
Dopo l’intervento di Antonio Spadaro su Amoris Laetitia pubblichiamo quello di Angel Rodriguez Luño
L’Esortazione Apostolica Amoris laetitia fornisce le basi per un nuovo e quanto mai necessario rilancio della pastorale familiare in tutti i suoi aspetti. Il capitolo VIII si riferisce a quelle delicate situazioni in cui maggiormente si manifesta la debolezza umana. La linea proposta da Papa Francesco può essere riassunta con le parole che compongono il titolo del capitolo: “Accompagnare, discernere e integrare la fragilità”. Siamo invitati a evitare giudizi sommari e atteggiamenti di rifiuto e di esclusione, e a assumerci invece il compito di discernere le diverse situazioni, avviando con le parti interessate un dialogo sincero e pieno di misericordia. “Si tratta di un itinerario di accompagnamento e di discernimento che «orienta questi fedeli alla presa di coscienza della loro situazione davanti a Dio. Il colloquio col sacerdote, in foro interno, concorre alla formazione di un giudizio corretto su ciò che ostacola la possibilità di una più piena partecipazione alla vita della Chiesa e sui passi che possono favorirla e farla crescere. Dato che nella stessa legge non c’è gradualità (cf. Familiaris consortio, 34), questo discernimento non potrà mai prescindere dalle esigenze di verità e di carità del vangelo proposte dalla Chiesa»” (1).
Sembra utile ricordare alcuni punti, da tener presenti perché il processo di discernimento sia conforme agli insegnamenti della Chiesa (2), punti che il Santo Padre presuppone e che non intende affatto cambiare.
Per quanto riguarda i sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia, la Chiesa ha sempre e dovunque insegnato che “chi è consapevole di aver commesso un peccato grave, deve ricevere il sacramento della Riconciliazione prima di accedere alla Comunione” (3). La struttura fondamentale del sacramento della Riconciliazione “comporta due elementi ugualmente essenziali: da una parte, gli atti dell’uomo che si converte sotto l’azione dello Spirito Santo: cioè la contrizione, la confessione e la soddisfazione; dall’altra parte, l’azione di Dio attraverso l’intervento della Chiesa” (4). Se fosse del tutto assente la contrizione perfetta o imperfetta (attrizione), che comprendono il proposito di cambiare vita e di evitare il peccato, i peccati non potrebbero essere perdonati, e se ciononostante l’assoluzione venisse data, essa sarebbe invalida (5).
Il processo di discernimento deve essere coerente anche con la dottrina cattolica sull’indissolubilità del matrimonio, il cui valore e attualità vengono fortemente ribaditi da Papa Francesco. L’idea che le relazioni sessuali, nel contesto di una seconda unione civile, siano lecite, comporta che questa seconda unione venga considerata un vero matrimonio. Ma allora, si entra in oggettiva contraddizione con la dottrina sulla indissolubilità, secondo la quale il matrimonio rato e consumato non può essere sciolto, neppure dalla potestà vicaria del Romano Pontefice (6); se, invece, si riconosce che la seconda unione non è un vero matrimonio, perché vero matrimonio è e continua ad essere solo la prima unione, allora si assumono uno stato e una condizione di vita che “contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia” (7). Se, inoltre, la convivenza more uxorio nella seconda unione viene considerata moralmente accettabile, si negherebbe un principio fondamentale della morale cristiana, secondo il quale le relazioni sessuali sono lecite soltanto all’interno del matrimonio legittimo. Per questa ragione, la Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede del 14 settembre 1994 diceva: “Il fedele che convive abitualmente «more uxorio» con una persona che non è la legittima moglie o il legittimo marito, non può accedere alla Comunione eucaristica. Qualora egli lo giudicasse possibile, i pastori e i confessori, data la gravità della materia e le esigenze del bene spirituale della persona e del bene comune della Chiesa, hanno il grave dovere di ammonirlo che tale giudizio di coscienza è in aperto contrasto con la dottrina della Chiesa” (8).
Papa Francesco ricorda giustamente che possono darsi azioni gravemente immorali dal punto di vista oggettivo che, sul piano soggettivo e formale, non siano imputabili o non lo siano pienamente, a causa dell’ignoranza, della paura o di altre circostanze attenuanti, che da sempre la Chiesa ha preso in considerazione. Alla luce di questa possibilità, non si potrebbe affermare che colui che vive in una situazione matrimoniale cosiddetta “irregolare” oggettivamente grave, sia necessariamente in stato di peccato mortale (9). La questione è delicata e difficile, perché sempre si è ammesso che “de internis neque Ecclesia iudicat”, sullo stato più intimo della coscienza neppure la Chiesa può giudicare. Per questa ragione, la Dichiarazione del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi circa il canone 915, citata da Papa Francesco (10), nella quale veniva precisato che nel divieto di ricevere l’Eucaristia sono compresi anche i fedeli divorziati risposati, spiegò accuratamente che cosa si doveva intendere per peccato grave nel canone 915. Il Testo della Dichiarazione dice: “La formula «e gli altri che ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto» è chiara e va compresa in un modo che non deformi il suo senso, rendendo la norma inapplicabile. Le tre condizioni richieste sono: a) il peccato grave, inteso oggettivamente, perché dell’imputabilità soggettiva il ministro della Comunione non potrebbe giudicare; b) l’ostinata perseveranza, che significa l’esistenza di una situazione oggettiva di peccato che dura nel tempo e a cui la volontà del fedele non mette fine, non essendo necessari altri requisiti (atteggiamento di sfida, ammonizione previa, ecc.) perché si verifichi la situazione nella sua fondamentale gravità ecclesiale; c) il carattere manifesto della situazione di peccato grave abituale” (11).
La stessa Dichiarazione aggiunge che non si trovano in tale situazione di peccato grave abituale i fedeli divorziati risposati che, non potendo interrompere la convivenza per cause gravi, si astengono dagli atti propri dei coniugi, rimanendo l’obbligo di evitare lo scandalo, dato che il fatto di non vivere more uxorio è di per sé occulto (12). Negli altri casi, nell’accompagnamento pastorale di questi fedeli bisogna tener presente anche che sembra molto difficile che coloro che vivono in una seconda unione possano avere la certezza morale dello stato di grazia, poiché solo mediante l’interpretazione di segni oggettivi tale stato potrebbe essere conosciuto dalla propria coscienza e dal confessore. Inoltre, si dovrebbe distinguere tra una vera certezza morale soggettiva e un errore di coscienza che il confessore ha il dovere di correggere, come si è detto prima, poiché nell’amministrazione del sacramento il confessore è non solo padre e medico, ma anche maestro e giudice, compiti questi che certamente deve svolgere con la massima misericordia e rispetto, e cercando innanzitutto il bene spirituale di colui che si accosta alla confessione.
I punti che abbiamo ricordato, appartenenti all’insegnamento multisecolare della Chiesa, e in molti casi anche al suo magistero ordinario e universale, non impediranno ai sacerdoti di impegnarsi, con spirito aperto e cuore grande, in un cordiale dialogo di discernimento. Come scrive Papa Francesco, si tratta di “evitare il grave rischio di messaggi sbagliati, come l’idea che qualche sacerdote possa concedere rapidamente «eccezioni», o che esistano persone che possano ottenere privilegi sacramentali in cambio di favori. Quando si trova una persona responsabile e discreta, che non pretende di mettere i propri desideri al di sopra del bene comune della Chiesa, con un Pastore che sa riconoscere la serietà della questione che sta trattando, si evita il rischio che un determinato discernimento porti a pensare che la Chiesa sostenga una doppia morale” (13). Al contrario, ben consapevoli della grande diversità e complessità delle situazioni particolari, i principi dottrinali sopra esposti dovrebbero aiutare a discernere qual è il modo migliore di aiutare i fedeli a intraprendere un itinerario di conversione che li porti ad una maggiore integrazione nella vita della Chiesa e, quando possibile, alla recezione dei sacramenti della Penitenza e della Eucaristia.
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(1) Francesco, Esortazione Apostolica postsinodale Amoris laetitia, 19-III-2016, n. 300. La citazione interna è del n. 86 della Relazione finale del Sinodo del 2015.
(2) Il Santo Padre così lo dice esplicitamente in Amoris laetitia, n. 300
(3) Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1385.
(4) Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1448.
(5) Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 1451-1453; Concilio di Trento, Sess. XIV, Doctrina de sacramento paenitentia, cap. 4 (Dz-Hü 1676-1678).
(6) San Giovanni Paolo II, nel suo Discorso alla Rota Romana del 21-I-2000, n. 8, dichiarò che questa dottrina è da tenersi come definitiva.
(7) San Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Familiaris consortio, 22-XI-1981, n. 84.
(8) Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica circa la recezione della Comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati, 14-IX-1994, n. 6.
(9) Cf. Francesco, Amoris laetitia, n. 301.
(10) Cf. Ibid., n. 302.
(11) Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, Dichiarazione circa l’ammissibilità alla Santa Comunione dei divorziati risposati, 24-VI-2000, n. 2.
(12) Cf. ibidem. Non è fuori luogo ricordare che non si può esigere ai fedeli che vivono in una seconda unione l’assoluta garanzia che mai più avranno relazioni. Basta che abbiano il proposito fermo e sincero di non averle. Talvolta può succedere che questo proposito lo abbia soltanto uno dei coniugi. In questo caso, a seconda dell’età e delle altre circostanze, può essere sufficiente perché possa accedere ai sacramenti, cercando sempre di evitare lo scandalo.
(13) Francesco, Amoris laetitia, n. 300.
Tratto da Eticaepolitica.net
Angel Rodríguez Luño è professore di Teologia Morale Fundamentale e Decano della Facoltà di Teologia alla Pontificia Università della Santa Croce. Da molti anni è consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede e Membro Ordinario della Pontificia Accademia per la Vita.