
Le Lettere dal carcere – I minorenni in carcere
Per il Blog “Come Gesù”: questa settimana vorrei condividere con voi qualche riflessione che mi hanno chiesto di scrivere sul carcere per i minorenni.
Spesso i giovani che entrano in carcere da minorenni sono ragazzi difficili. Non credo però che siano cattivi. Penso che lo diventino dopo, stando in galera. Nella stragrande maggioranza dei casi i detenuti minorenni vengono da nuclei familiari complicati. Molti di loro hanno solo sfiorato l’amore di un padre o di una madre. Molti di loro non hanno conosciuto l’amore di una famiglia. Hanno solo conosciuto la parte più cinica della società. Penso che abbiano conosciuto prima la cattiveria innocente dei bambini, poi quella dispettosa dei ragazzi e alla fine quella malvagia del carcere.
Credo che molti giovani detenuti diventeranno da adulti dei delinquenti perché in carcere si sentono soli e indifesi. E si convincono che nel mondo nessuno gli voglia bene.
La prima volta che entrai in carcere avevo sedici anni e l’impatto fu tremendo. Fu anche la prima volta che un gruppo di guardie mi massacrò di botte. A dire la verità un po’, ma solo un pochino, me lo meritavo. Avevo tirato un piatto di patate in faccia al brigadiere. Non lo dovevo fare. Ma era stato più forte di me. Non riuscivo a stare zitto se offendevano mia madre. E il brigadiere mi aveva chiamato figlio di puttana perché mi ero lamentato, avevo fame, che le patate erano poche e crude. Mi ricordo che le guardie entrarono in cella e mi saltarono addosso tutte insieme. Mi riempirono di calci e pugni. Soffrii più per le parolacce che mi dicevano che per le botte. Non dissi però nulla. Non gridai. E non mi lamentai come facevano gli altri ragazzi quando venivano picchiati. Non diedi alle guardie questa soddisfazione.
Loro s’incazzarono ancora di più. E mi picchiarono ancora più forte. Mi ricordo che mi rannicchiai in un angolo e mi coprii il viso e la testa con le gambe e le braccia. Il pestaggio durò dieci minuti, ma mi parve un’eternità. Quando andarono via piansi come un ragazzino, perché in fondo, anche se avevo commesso quella cazzo di rapina in un ufficio postale con una pistola giocattolo, ero solo un ragazzo. Avevo dolore dappertutto, ma quello che mi faceva più male era l’umiliazione e l’impotenza. Mi ricordo che giurai a me stesso che da grande mi sarei vendicato di tutti e di tutto, contro la società e il carcere. E credo di esserci riuscito perché quando uscii dal carcere da maggiorenne avevo appreso la cultura e la mentalità per diventare un criminale.
Pensavo che certe cose nelle carceri minorile non accadessero più, ma un giovane detenuto pugliese, Andrea, mi ha raccontato che le cose non sono cambiate così radicalmente dai miei tempi. Adesso nelle carceri minorili le punizione non sono più fisiche come in passato, sono molto più sottili. E spesso più che sul corpo ti picchiano sul cuore e sull’anima.
Sono convinto che le carceri minorili sono delle vere e proprie fabbriche di delinquenza, per creare i detenuti che riempiranno le carceri da adulti. Non credo che ci sia la possibilità di migliorare o riformare le carceri minorili, si può solo abolirle perché chiudere un ragazzo in una cella è un crimine ancora più brutto di quello che lui ha commesso.
Penso spesso che forse se non fossi stato in carcere da minorenne non sarei diventato il criminale che sono diventato dopo. Non ne sono però sicuro. Forse lo sarei diventato lo stesso, ma una cosa è certa: i giovani sono più influenzabili degli adulti. E durante la mia carcerazione da minorenne è cresciuto il mio odio verso lo Stato e tutte le istituzione che lo rappresentano.
Carmelo Musumeci
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