Il diario di Sandokan – Bellezza
Esprimermi sulla bellezza di chi non amo, da un po’ di tempo, non mi va più. Non che ci sia nulla di sbagliato o di ingiusto nel farlo, solo che mi sembra di fare un torto a qualcuno. A qualcuno di cui non potrei dire lo stesso. Alla sorella della ragazza di mio cugino, per esempio, che è grassa e ha i denti storti. E gli occhiali spessi.
Delle volte lei si lamenta di essere brutta, quando qualcuno la prende in giro o non si ricorda dei suoi compleanni, mentre di quelli di sua sorella si ricordano tutti. Che si fa in questi casi? Come la si può consolare? Certo, le si può dire che ha tante qualità, che se dimagrisse un po’ e si acconciasse in un altro modo forse sarebbe diverso. Forse. Ma sono parole che non fanno squillare il suo telefonino. E allora mi dico che è meglio lasciar stare, e lasciar fare a chi sa vedere davvero cose che noi facciamo solo finta di vedere, o di sognare per lei. Lo facciamo per noi in fondo, per essere cortesi e perché smetta di lamentarsi. Non sappiamo tacere noi, noi che non vorremmo mai che nostra figlia somigliasse a lei. Noi che siamo contenti che nostra figlia abbia i denti dritti e gli occhi azzurri.
Dire che una ragazza è “bona” poi, mi è sempre sembrato volgare. Anche se l’ho fatto e continuo a farlo, qualche volta, perché so come si fa a essere volgari. Oppure ho voglia di volgarizzare discorsi o rapporti che sembrano troppo elevati. Perché la volgarità torna utile a ricordarci chi siamo. Come mi ha colpito quella frase di Turgenev che lessi qualche tempo fa:«L’apparizione della volgarità è spesso utile nella vita: smorza i toni troppo alti, modera i sentimenti di superbia e di umiltà, ricordando che alla volgarità sono spesso affini».
Mi sembra volgare, per esempio, dire che Belen è “bona” (e lo è, datemi retta), anche se forse lei vuole sentirselo dire e se lo aspetta da tipi come me.
Sto imparando invece a descrivere la bellezza di chi amo, e l’effetto che la sua bellezza ha su di me. Per me è come se si trasfigurasse, se io la vedessi come riesce a essere solo per me. Come se nessuno potesse vederla come la vedo io: con seni floridi che non ha, con pensieri profondi che interessano solo me, con piccole cose da raccontare che a me sembrano le avventure di Sandokan. Spero che chi amo si accorga dei miei sguardi, e che non mi umili rifacendosi le tette o comprandosi un Monclair. Che se lo compri pure, se gli va, che si rifaccia pure le tette, se questo la fa star bene. Ma che non lo faccia per me. Non deve fare nulla per me. Per me è perfetta.
Non ci pensate mai alla sorella della ragazza di mio cugino, in Cielo? Ai tipi come lei? Non so perché mi vengono in mente queste cose, così, come se pensare a cose del genere fosse la cosa più naturale del mondo. Mi rendo conto di sembrare un po’ contorto, a volte. Ma vi giuro che sono semplice, a mettersi a guardare le cose dal mio punto di vista.
Dicevo della sorella della ragazza di mio cugino. Avrà una bellezza che nessun occhio vide né orecchio udì, tranne gli occhi e le orecchie di coloro che hanno provato ad amarla. E che la presenteranno agli altri che non la conoscevano, così come io provo a presentare le mie cose, i miei amici, i miei amori a chi abbia voglia di amarli per me, con me e in me. Un po’ come ripete il prete a Messa.
Perché questo è un discorso che comincia dalle donne, ma che finisce per riguardare le persone tutte. E poi i luoghi.
E’ bella la mia casa? La mia città? La mia vita? Sono belli i miei mobili? Le lenzuola del mio letto? I miei vestiti? E le tue cose? Sono belle le tue cose? Forse sono un po’ dozzinali quelle enciclopedie comprate a rate da tuo padre che occupano spazio nella tua scrivania da decenni. Mi ricordo quando veniva il rappresentante dei libri a casa e io, bambino, facevo i compiti mentre mio padre saldava la rata. Il tizio gli diceva: «lo trovo sempre a studiare, questo bambino». Era contento mio padre.
Vi vorrei portare a case dei miei, a mostrarvi quei volumi che non servono più a niente – perché ora c’è Internet – e mi piacerebbe che riusciste a vedervi la faccia di mio padre che ride agli elogi del rappresentante di libri su di me. Sarebbe uno sguardo capace di far nuove tutte le cose, anche una vecchia enciclopedia che nessuno apre più.