Papa Francesco – Messa di Pentecoste e Angelus
Una forte esortazione ad accogliere i doni dello Spirito Santo. Nella Messa solenne della domenica di Pentecoste, presieduta stamani in una Basilica di San Pietro gremita di fedeli, Papa Francesco ha ricordato nell’omelia che, così come accadde agli apostoli, anche oggi lo Spirito guida alla verità, rinnova la terra e dà i suoi frutti. Il Pontefice ha quindi sottolineato il peccato di chiudersi all’azione della grazia. Il servizio di Giancarlo La Vella:
“Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi… Ricevete lo Spirito Santo”. Le parole di Papa Francesco, riprese dal Vangelo di Giovanni, risuonano profetiche in una Basilica di San Pietro raccolta e attenta; parole che attualizzano la prodigiosa discesa dello Spirito, annunciata da Gesù, sugli Apostoli nel giorno della Pasqua e della Pentecoste. La Chiesa di oggi, come quella nascente di allora, continua a riceverne i doni:
“La Parola di Dio, specialmente quest’oggi, ci dice che lo Spirito opera nelle persone e nelle comunità che ne sono ricolme: guida a tutta la verità, rinnova la terra e dà i suoi frutti”.
Questi i tre aspetti fondamentali dell’azione dello Spirito. Prima di tutto “guida alla verità”. Gli apostoli comprendono che la morte di Gesù non è la sua sconfitta, ma l’espressione estrema dell’amore di Dio, amore che, nella Resurrezione, vince la morte ed esalta Gesù, come il Vivente, il Signore, il Redentore dell’uomo, della storia e del mondo. Questa – dice il Papa – è la Buona Notizia da annunciare a tutti. Poi ancora: il dono dello Spirito Santo che “rinnova la terra”, un aspetto che si riflette direttamente nel rapporto tra l’uomo e la totalità del mondo che ci circonda, al quale lo Spirito Creatore ha dato vita.
“Il rispetto del Creato è un’esigenza della nostra fede: il ‘giardino’ in cui viviamo non ci è affidato perché lo sfruttiamo, ma perché lo coltiviamo e lo custodiamo con rispetto”.
Ma questo è possibile – ricorda Francesco – solo se accettiamo di essere rinnovati dallo Spirito; solo allora possiamo vivere la libertà dei figli, in armonia con tutto il Creato, e in ogni creatura possiamo riconoscere un riflesso della gloria del Creatore.
Infine, è fondamentale aprirsi allo Spirito che “dà i suoi frutti”. Solo se l’uomo – dice il Papa – abbandona i particolarismi e gli egoismi, che bloccano l’azione della grazia di Dio, “lascia irrompere in sé lo Spirito di Dio e i suoi doni”. E il Santo Padre elenca le nove virtù gioiose, che San Paolo definisce “frutto dello Spirito”: “amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé”. “Camminare secondo lo Spirito”, dice il Santo Padre, è dunque un programma di vita.
“Il mondo ha bisogno di uomini e donne non chiusi, ma ricolmi di Spirito Santo. La chiusura allo Spirito Santo è non soltanto mancanza di libertà, ma anche peccato. E ci sono tanti modi di chiudersi allo Spirito Santo: nell’egoismo del proprio vantaggio, nel legalismo rigido – come l’atteggiamento dei dottori della legge che Gesù chiama ipocriti –, nella mancanza di memoria per ciò che Gesù ha insegnato, nel vivere la vita cristiana non come servizio ma come interesse personale”.
“I doni dello Spirito – conclude il Papa nell’omelia – sono stati elargiti in abbondanza alla Chiesa e a ciascuno di noi, perché possiamo vivere con fede genuina e carità operosa, perché possiamo diffondere i semi della riconciliazione e della pace, capaci di lottare senza compromessi contro il peccato e la corruzione e di dedicarci con paziente perseveranza alle opere della giustizia e della pace”.
Anche nel giorno di Pentecoste, Papa Francesco ha seguito “con viva preoccupazione” e “dolore nel cuore” le vicende dei “numerosi profughi nel Golfo del Bengala e nel mare di Andamane”. Dopo la recita del Regina Coeli, il pensiero del Pontefice è infatti andato alle migliaia di persone che negli ultimi giorni si sono riversate sulle coste di Indonesia, Malaysia e Tailandia, proprio mentre tante altre di etnia Rohingya fuggono dalle persecuzioni in Myanmar:
“Esprimo apprezzamento per gli sforzi compiuti da quei Paesi che hanno dato la loro disponibilità ad accogliere queste persone che stanno affrontando gravi sofferenze e pericoli. Incoraggio la Comunità internazionale a fornire loro l’assistenza umanitaria”.
Ha ricordato poi che cent’anni fa, il 24 maggio 1915, l’Italia entrava “nella Grande Guerra, quella strage inutile”, come la definì Benedetto XV:
“Preghiamo per le vittime, chiedendo allo Spirito Santo il dono della pace”.
In Salvador e Kenya, ha poi aggiunto, sono stati proclamati ieri Beati un vescovo e una suora. Mons. Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador, venne ucciso in odio alla fede “mentre stava celebrando l’Eucaristia”:
“Questo zelante pastore, sull’esempio di Gesù, ha scelto di essere in mezzo al suo popolo, specialmente ai poveri e agli oppressi, anche a costo della vita”.
La suora italiana Irene Stefani, delle Missionarie della Consolata, “ha servito la popolazione keniota – ha evidenziato il Pontefice – con gioia, misericordia e tenera compassione”:
“L’esempio eroico di questi Beati susciti in ciascuno di noi il vivo desiderio di testimoniare il Vangelo con coraggio e abnegazione”.
Così come fecero gli apostoli che, cinquanta giorni dopo la Pasqua, “furono colmati di Spirito Santo”: da questa “effusione”, ha spiegato Francesco, i discepoli “vengono completamente trasformati”:
“Alla paura subentra il coraggio, la chiusura cede il posto all’annuncio e ogni dubbio viene scacciato dalla fede piena d’amore. E’ il ‘battesimo’ della Chiesa, che iniziava così il suo cammino nella storia, guidata dalla forza dello Spirito Santo”.
Quell’evento, ha proseguito, “cambia il cuore e la vita degli apostoli e degli altri discepoli”: la prima comunità cristiana, “non più ripiegata su sé stessa”, inizia infatti “a parlare alle folle di diversa provenienza” della Risurrezione di Gesù. “E ognuno dei presenti – ha sottolineato il Pontefice – “sente parlare i discepoli nella propria lingua”. Il dono dello Spirito cioè “ristabilisce l’armonia delle lingue” perduta a Babele e prefigura la dimensione universale della missione degli apostoli”.
“La Chiesa non nasce isolata, nasce universale, una, cattolica, con una identità precisa ma aperta a tutti, non chiusa, un’identità che abbraccia il mondo intero, senza escludere nessuno: a nessuno la madre Chiesa chiude la porta in faccia, a nessuno! Neppure al più peccatore, a nessuno! E questo per la forza, per la grazia dello Spirito Santo. E la madre Chiesa apre, spalanca, le sue porte a tutti perché è madre”.
Lo Spirito Santo effuso a Pentecoste nel cuore dei discepoli è infatti “l’inizio di una nuova stagione”, quella “della testimonianza e della fraternità”, quella che viene da Dio, “come le fiamme di fuoco che si posarono sul capo di ogni discepolo”. Era – ha ricordato il Papa – “la fiamma dell’amore che brucia ogni asprezza”, “la lingua del Vangelo che varca i confini posti dagli uomini e tocca i cuori della moltitudine, senza distinzione di lingua, razza o nazionalità”:
“Come quel giorno di Pentecoste, lo Spirito Santo è effuso continuamente anche oggi sulla Chiesa e su ciascuno di noi perché usciamo dalle nostre mediocrità e dalle nostre chiusure e comunichiamo al mondo intero l’amore misericordioso del Signore. Comunicare l’amore misericordioso del Signore: questa è la nostra missione! Anche a noi sono dati in dono la ‘lingua’ del Vangelo e il ‘fuoco’ dello Spirito Santo, perché mentre annunciamo Gesù risorto, vivo e presente in mezzo a noi, scaldiamo il cuore nostro e anche dei popoli avvicinandoli a Lui, via, verità e vita”.
Affidandosi alla “materna intercessione di Maria”, presente “come Madre in mezzo ai discepoli”, il saluto finale del Papa ai presenti in Piazza San Pietro è andato – “nel giorno anche di Maria Ausiliatrice” – alla comunità salesiana, affinché “il Signore gli dia forza per portare avanti lo Spirito di San Giovanni Bosco”, ai fedeli provenienti dalla Bretagna, da Barcellona, da Freiburg, al coro dei ragazzi di Herxheim, e alla comunità Dominicana di Roma.