Articoli / Blog | 19 Aprile 2015

L’Huffington Post – 700 morti: se la notizia del giorno è la notizia di ogni giorno

Non è più la notizia del giorno è la notizia di ogni giorno. Cambia solo il numero dei morti e le miglia di distanza dalle nostre coste o da quelle dell’Africa o da quelle di Malta. Un mio amico che non sapeva nulla, mi chiedeva se oggi se n’era ribaltato un altro. Abbiamo guardato insieme i siti on line di notizie e l’abbiamo trovato subito, è il primo del giorno. Di questo giorno.

E stavolta il numero è considerevole.

Un peschereccio proveniente dall’Egitto con a bordo circa 700 migranti si è capovolto nella notte tra sabato e domenica nel Canale di Sicilia, a circa 60 miglia a nord della Libia. Un mercantile dirottato nella zona ha recuperato solo 28 superstiti, per cui si teme che il bilancio del naufragio sia poco meno di 700 vittime.

Dobbiamo cominciare a smettere di parlare di emergenza perché non è più una circostanza imprevista e improvvisa: è roba quotidiana. È roba che dentro non ha cose ma persone come noi. Disperati come – forse – noi non siamo. Dobbiamo passare al secondo significato della parola emergenza, ovvero all’atto dell’emergere: ciò che emerge. Allora sì, secondo questo significato, siamo in piena emergenza: emergono cadaveri.

Gira un video semplice semplice su facebook. È fatto di carta e forbici ed ha come colonna sonora il rumore di mare registrato. È amatoriale, ma non nel senso tecnico del termine: è proprio fatto con amore. C’è una bambina di fronte al mare e ai suoi abitanti che fa tante domande al papà. Quelle domande a ripetizione che fanno solo i bambini e alle quali sanno rispondere solo i genitori. Sanno rispondere fino a un certo punto perché arriva il momento in cui neanche loro sanno più.

Un tempo erano le domande sul come nascevano i bambini che facevano tacere i nostri genitori. Oggi fanno tacere le domande su come muoiono certe persone. Prima tacevamo per imbarazzo, ora tacciamo per vergogna e le parole non ci vengono proprio.

La bambina chiede “chi sono” e “cosa sono”. Un uomo morto è un “chi è”, migliaia di uomini morti è un “cosa sono?”. Tragedia del mare? Il singolare è poco. Emergenze? Non più. Problema politico? Troppo semplice e riduttivo. Problema sociale? Direi “dramma sociale”. Cosa sono migliaia di uomini morti? Chiede bene la bambina. Tace bene il papà.

Le chiacchiere, le polemiche, i J’accuse, lasciamoli ai politici che anche oggi si dedicano al triste lavoro di distribuirsi gli uni gli altri colpe e croci da portare. Ognuno vede nei morti per naufragio la possibilità di riempire il vuoto che trova nella coscienza dell’antagonista politico.

Ma 700 morti, e tutti quelli che li hanno preceduti, sono troppi per qualsiasi coscienza. Una sola coscienza non ha lo spazio sufficiente. Dobbiamo fermarci tutti. Tutti. Ogni fede, religione, stato, lingua, credo, cultura. Non è un problema dei paesi che si affacciano sul mediterraneo perché non è “un problema”: è la nostra realtà del 2015. Il terzo mondo arriva. Non è riuscito a scalare la classifica economica, sociale, ma è riuscito a scalare i bordi delle navi, dei gommoni, dei pescherecci. E se vede una nave che li avvicina – anche se non è la costa – è sempre qualcosa da scalare. E si girano, tutti insieme, e tutti insieme si ribaltano. Non è più una questione di terzo o primo mondo. È una questione dell’unico mondo che c’è: il nostro e il loro. È sempre stato così, solo che ora emerge. È un’emergenza, sì. Da prima pagina e da secondo significato.

 

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