
Blog – Il terribile contesto sociale di Squid Game e di The 8 Show
Squid Game e The 8 show hanno molti punti di contatto e parecchie diversità. Entrambi coreani, con evidenti analogie riguardo ai soggetti e agli obiettivi, hanno però differenze evidenti che si rivealno soprattutto nel tono e nel livello della spettacolarizzazione. La crudezza a volte inguardabile di certi passaggi contenuta in entrambe le serie spinge a interrogarsi sulla società sud-coreana o, in generale, su una società dove essere disperati, soffocati dai debiti e sull’orlo del suicidio, è una piaga sociale. Queste serie – e non è un caso: basti pensare a Parasite – nascono in un paese dove l’infelicità endemica si manifesta in una vera e propria epidemia di suicidi.
Sia in Squid Game che in The 8 Show i protagonisti sono persone così disperate da voler liberamente partecipare a un gioco dove si vince il montepremi a rischio della vita. I personaggi finiscono inconsapevolmente nell’ingranaggio dello spettacolo ma poi – e questo è l’interrogativo più terribile che tormenta lo spettatore – scelgono continuamente di rimanere a giocare. Si ritorna alla società precristiana degli antichi romani, quando si andavano a vedere i gladiatori che si ammazzavano al Circo: lì, è vero, alcuni si trovavano in quella situazione perché obbligati ma molti sceglievano liberamente di combattere perché non avevano altro modo di vivere.
The 8 Show e Squid Game martellano costantemente su quest’idea: per quanto sia terribile quello che ci sta accadendo nel gioco, la nostra vita qui dentro è migliore di quella che ci aspetta là fuori. Questo dovrebbe farci riflettere su come il cristianesimo abbia portato a migliorare le nostre condizioni di vita. Per quanto ce ne possiamo lamentare, dobbiamo riconoscere che la nostra attuale civiltà consente ancora a tutti (o a “quasi tutti” purtroppo…) di avere un livello di vita tale da considerare la scelta di partecipare a giochi come Squid Game o a The 8 Show come pura follia