Articoli / Blog | 05 Dicembre 2023

Blog – Paolo Maldini e la teoria del capro espiatorio

In una recente intervista a Repubblica, Paolo Maldini ha parlato del ruolo dell’allenatore spiegando come sia la persona più sola all’interno di una società calcistica. Questa assoluta verità è la ragione per cui gli allenatori sono “i primi a pagare” quando le squadre hanno problemi. Non credo però che Maldini sappia come il suo enunciato sia solo un caso particolare del più generale “principio del capro espiatorio”, importantissima teoria sul funzionamento sociale nella quale René Girard spiega le ragioni profonde dei comportamenti degli uomini e delle donne nelle loro relazioni.
Detto in maniera semplice, questa modello dice che i conflitti, le tensioni, i dissapori, gli insuccessi, che avvengono all’interno di un gruppo, di un’azienda, di una famiglia, di una comunità, e quindi anche di una società calcistica, vengano risolti addossandone le colpe a colui che viene giudicato come maggiormente estraneo al gruppo, al più diverso, ovvero alla persona più sola.
La teoria del capro espiatorio prende il nome da quanto avveniva nell’antichità quando gli animali (appunto “i capri espiatori”) – o a volte addirittura gli uomini – venivano ciclicamente e ritualmente uccisi. I sacrifici umani potevano essere fisici oppure eseguiti in altre modalità. Adesso ci sono i licenziamenti, le emarginazioni, gli isolamenti, le espulsioni più o meno reali e simboliche dai gruppi, e dalla cerchia degli amici, allora c’erano le condanne all’esilio.
Noi amiamo convincerci che una persona sia stata “mandata via” perché non ha ottenuto certi risultati, perché andava male a scuola, non sapeva parlare la nostra lingua, non aveva i documenti in regola, era sporca, povera, poco intelligente, e così via: a volte questo è vero, naturalmente, ma spessissimo la verità è che l’uccisione reale, morale o metaforica che sia, avviene perché quella persona è diversa rispetto a tutte le altre. Viene espulsa, cioè isolata, perché è sola. Ed è sola perché è unica: spesso non per un difetto ma per un pregio. Non ci siamo mai resi conto di quanto ci siano istintivamente antipatiche, e di come vengano isolate all’interno di un gruppo magari solo con ironie e sarcasmi, le persone intelligenti, belle, ricche, dotate insomma di qualche qualità che le renda uniche?
La storia, sia quella piccola e quotidiana che quella grande che entra nei libri di storia, è piena di persone che vengono “fatte fuori” non perché hanno perso ma perché hanno vinto. Proprio perché sono dei vincenti, perché hanno ottenuto risultati brillanti, sono stati ammirati e si sono trasformati in persone uniche: vengono isolati, cioè uccisi, perché sono già soli.
L’esempio più luminoso è quello che racconta la vicenda di Gesù Cristo. Il vero motivo per cui è stato condannato ed ucciso, divenendo così il capro espiatorio dell’intera umanità, era perché veniva riconosciuto come Messia dal popolo, e quindi aveva seguito. È stato ucciso perché era un vincente non perché era un perdente. Ce lo dice il vangelo di Marco quando spiega che Pilato, uomo che ben conosceva le dinamiche dei conflitti umani, “sapeva che i sommi sacerdoti glielo avevano consegnato per invidia” (Mc 15, 10). E quello che vale per Gesù vale per tutti