Blog / Rassegna stampa | 31 Luglio 2021

Andrea Tornielli – Il Papa emerito e l’irrealismo della “fuga nella dottrina pura”

Tratto da Vatican News, ecco un articolo del direttore editoriale del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede a proposito delle risposte di Joseph Ratzinger alle domande del mensile tedesco Herder Korrespondenz contro la riduzione della fede a ideologia

“L’idea di una ‘fuga nella dottrina pura’ mi sembra del tutto irrealistica”. Il teologo Joseph Ratzinger, Papa emerito, risponde per iscritto alle domande del mensile tedesco Herder Korrespondenz, e ancora una volta sembra volersi smarcare dagli interessati cliché che gli sono stati cuciti addosso. In un passaggio dell’intervista, sul quale quasi nessuno si è soffermato nelle riprese e nei commenti, Benedetto XVI afferma: “Soprattutto, poi, il credente è una persona che si interroga, una persona che deve ritrovare continuamente la realtà di questa fede dietro e contro le realtà opprimenti della vita quotidiana. In questo senso, il pensiero di una ‘fuga nella dottrina pura’ mi appare assolutamente irrealistico. Una dottrina che esistesse solo come una sorta di riserva naturale, separata dal mondo quotidiano della fede e delle sue esigenze, rappresenterebbe in qualche modo la rinuncia alla fede stessa. La dottrina deve svilupparsi nella fede e a partire da essa e non affiancarla”.

Le parole del Papa emerito, come si evince anche nel seguito dell’intervista, fanno emergere il volto di una Chiesa che parla col cuore e lo spirito, perché una Chiesa che parla soltanto con la sua ufficialità dottrinale o il funzionalismo delle sue strutture, finisce per allontanare invece che attrarre.

Già nel 2001, nel libro intervista con Peter Seewald “Dio e il mondo”, l’allora cardinale Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede aveva affermato: “La natura della fede non è tale per cui a partire da un certo momento si possa dire: io la possiedo, altri no… La fede rimane un cammino. Durante tutto il corso della nostra vita rimane un cammino, e perciò la fede è sempre minacciata e in pericolo. Ed è anche salutare che si sottragga in questo modo al rischio di trasformarsi in ideologia manipolabile. Al rischio di indurirci e di renderci incapaci di condividere riflessione e sofferenza con il fratello che dubita e si interroga. La fede può maturare solo nella misura in cui sopporti e si faccia carico, in ogni fase dell’esistenza, dell’angoscia e della forza dell’incredulità e l’attraversi infine fino a farsi di nuovo percorribile in una nuova epoca”.

Sono parole che Benedetto XVI, il Papa del Cortile dei Gentili, aveva ribadito anche nel dialogo con i giornalisti sul volo che lo stava portando a Praga, il 26 settembre 2009, ricordando che il non credente e il credente hanno bisogno l’uno dell’altro. E che “il cattolico non può accontentarsi di avere la fede, ma deve essere alla ricerca di Dio, ancora di più, e nel dialogo con gli altri ri-imparare Dio in modo più profondo”.

Il credente che non sa già tutto ma si fa domande di fronte alla realtà della vita quotidiana, la fede che non è un possesso acquisito una volta per tutte, ma un cammino e uno sviluppo, ben lontano da qualsiasi fuga nella dottrina ridotta a riserva naturale separata dal mondo. Il credente che ha bisogno delle domande e dei dubbi del non credente, per non ridurre la propria fede a ideologia, a schema: sono temi che più volte da teologo, cardinale e poi Papa, Benedetto XVI ha approfondito. Ed è uno sguardo che ritroviamo più volte nelle parole del suo successore Francesco. Ad esempio nel dialogo da lui condotto con i sacerdoti, i religiosi e le religiose in Duomo di Milano il 25 marzo 2017, quando aveva invitato chi evangelizza a essere libero dai risultati e a non rattristarsi per le sfide che la Chiesa si trova a vivere oggi, mettendo in guardia proprio dal rischio di trasformare la fede in ideologia.

“È bene – aveva detto Francesco – che ci siano le sfide perché ci fanno crescere. Sono segno di una fede viva, di una comunità viva che cerca il suo Signore e tiene gli occhi e il cuore aperti. Dobbiamo piuttosto temere una fede senza sfide, una fede che si ritiene completa, tutta completa: non ho bisogno di altre cose, tutto fatto… E si ritiene completa come se tutto fosse stato detto e realizzato”. “Le sfide – aveva aggiunto in quella occasione Papa Bergoglio – ci aiutano a far sì che la nostra fede non diventi ideologica. Ci sono i pericoli delle ideologie, sempre. Le ideologie crescono, germogliano e crescono quando uno crede di avere la fede completa, e diventa ideologia. Le sfide ci salvano da un pensiero chiuso e definito e ci aprono a una comprensione più ampia del dato rivelato”.