
Blog – Antonio Megalizzi non si limitava a comprendere ma “aiutava a comprendere”
L’Università di Trento ha conferito la laurea Honoris Causa in European and International Studies ad Antonio Megalizzi, ucciso nell’attentato di Strasburgo dell’11 dicembre 2018.
Ogni vita è unica e ogni omicidio è tremendo ma la morte di Antonio Megalizzi che è stata ricordata ieri con il conferimento della laurea alla presenza di Sergio Mattarella appare particolarmente meritevole di una riflessione.
Antonio era giornalista e si trovava a Strasburgo per il progetto internazionale di radio universitarie Europhonica. Con degli amici stava lavorando all’idea di una radio europea, attraverso cui giovani e studenti di ogni paese potessero raccontare in modo assolutamente libero l’Europa ai loro coetanei. Il proiettile sparato da Cheriff Chekatt ha colpito un uomo che con la sua vita, con i suoi progetti, stava offrendo al crimine terroristico la risposta più profonda, la soluzione più efficace: quella della cultura.
Antonio meritava di essere conosciuto per il suo talento e non per un proiettile alla nuca, ma, come dimostra quanto avvenuto in questi anni, quel sangue è stato il combustibile per far ardere la sua causa.
Antonio Megalizzi si può ancora ascoltare: insieme con tanti altri, aveva creato un ponte tra mille radio universitarie, tra mille atenei europei, in cui dei ragazzi parlavano ad altri ragazzi dell’Europa portando i loro coetanei dentro i corridoi, li orientavano tra le commissioni, le istituzioni, i regolamenti e le delibere.
“Mi sono innamorato dell’Unione Europea. Sono molto, molto focalizzato e coinvolto in cose che stanno nascendo fortemente europeiste”, aveva detto Megalizzi nel suo ultimo intervento alla radio per cui lavorava. Amicizia, passione, avventura, rispetto. Lo sforzo per rendere esplicito e chiaro ciò che gli addetti ai lavori raccontavano in modo implicito e oscuro. Fornire agli ascoltatori delle immagini, delle ipotesi di “traduzione”: chi lavora alla radio, soprattutto in una radio giovane, deve riempire ogni parola di passione e di fantasia. Niccolò Carosio, quando non c’erano le immagini televisive, si era inventato la manovra sulle fasce laterali, gli spioventi e i “quasi gol”: Antonio e i suoi amici erano su quella strada a proposito non di calcio ma di Europa.
Sarebbe stato bello parlare di questi valori, umani prima che editoriali, non perché mossi dalla follia omicida: ma, una volta accaduta la strage, non ci si può esimere da dire ciò che è giusto solo per paura della retorica. Perché se ogni vita interroga, se ogni morte violenta scuote, tutto ciò è ancora più vero se un terrorista uccide un giornalista che con il suo lavoro ben fatto, autonomo, indipendente, sganciato da condizionamenti del passato e aperto alle suggestioni del futuro, creava degli spazi di cultura, di riflessione, di dibattito, in cui tutto poteva accadere. Dove l’ascoltatore era condotto per mano ed educato ad accettare che l’impossibile potesse avvenire, che gli uomini potessero imparare ad ascoltarsi e a collaborare. Che l’Europa si potesse fare.