Don Massimiliano Nastasi – VI Domenica di Pasqua/ B
At 10, 25–27.34-35.44-48 ⌘ Sal 97 ⌘ 1 Gv 4, 7–10 ⌘ Gv 15, 9–17
La liturgia della sesta domenica di Pasqua, collegandosi alla similitudine della vite e dei tralci della scorsa domenica, presenta la seconda parte del cap. 15 del Vangelo di Giovanni, inserita nell’ultimo discorso al Cenacolo di Gesù prima del suo arresto (Gv 13, 31 – 17, 26). Quest’ultima sezione, in effetti, «in termini di forma e di contenuto, somiglia ad un “testamento” o discorso di addio, in cui un locutore (talvolta un padre ai suoi figli) annuncia l’imminenza della sua dipartita (cfr. Gv 13, 33; 14, 2-3; 16, 16), spesso produce tristezza (14, 1.27; 16, 6.22); egli richiama la sua vita passata, parole ed opere (13, 33; 14, 1015, 3.20; 17, 4-8), esortando i destinatari ad emulare ed anche a fare di più (14, 12), a custodire i comandamenti (14, 15.21.23; 15, 10.14) ed a conservare unità tra loro (17, 11.21-23)» .
L’affermazione del Messia, «Io sono la vite, voi i tralci» (Gv 15, 5), trova compimento nella missione nel mondo – «Vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga» (Gv 15, 16) – passando per il comandamento cristiano: «Chi vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi» (Gv 15, 12). Così presentata essa è la sintesi dell’annuncio del Vangelo, per l’appunto il “testamento” non tanto spirituale, ma costituzionale del Maestro che avrà inizio dopo la Resurrezione: «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (Gv 20, 21). Un κήρυγμα(kérigma), ossia una predicazione non esente dalle future difficoltà – «Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 15, 20) – al punto che «l’enfasi di Gesù sulla necessità di amare tra i suoi seguaci è in relazione alla sua percezione di come il mondo odi lui e quelli che ha scelto dal mondo» .
Il tema di questo ultimo testamento di Gesù è la relazione dei cristiani con il Risorto, la comunione di vita che essi condividono, e la vita di Cristo quale sorgente delle loro opere buone: «Tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda» (Gv 15, 16). Infatti, «la via che conduce a Gesù passa attraverso la comunità dei discepoli. La modalità con cui ci si avvicina ai discepoli è il biglietto da visita per il Signore Gesù e per Dio. In questo senso nel vangelo di Gv vale il principio: “Come il Padre…, così… io voi”. Questo aspetto concerne l’amore, la missione e il dono della gloria (la glorificazione)» . Non è possibile, pertanto, per la realizzazione dell’incorporazione divina, separare la comunità cristiana dal Cristo.
L’amore cristiano, differentemente dal sentimentalismo anche di natura religioso, ha come modello l’esempio dello stesso buon pastore (cfr. Gv 10, 11; 1 Gv 3, 16) e, a sua volta, l’amore di Cristo offre al fedele la capacità di vivere conformemente a questo ideale. Così che l’ἀγάπη, ossia questo amore alto ottenuto non per sforzo umano ma per dono divino attraverso il battesimo, disponga alla vera gioia: «Vi ho detto questo queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15, 11).
Tale capacità di amare perché si è amati di un amore ontologico, ossia che strutturi nell’essere il credente, è ciò che Agostino chiama «capax Dei», la possibilità di conoscere Dio nell’uomo nella «parte più nobile dello spirito umano, parte con la quale esso conosce o può conoscere Dio» , e da questa conoscenza amarlo nel vincolo della carità. Ciò ne scaturisce una comunione intima resa con l’immagine della vite e dei tralci, che porta all’amicizia gioiosa con il Signore: «Vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi» (Gv 15, 15).
Questa caritas strutturale è motivata in maniera diversa dall’esigenza di amore fondata sull’idea di umanità. Appartiene all’ideale dell’uomo il non lasciarsi togliere la tranquillità, l’armonia del suo equilibrio spirituale dall’ingiustizia che sperimenta, mentre «l’esigenza di amare Gesù è motivata in modo completamente diverso, non col ricorso alla forza di carattere e alla dignità della persona, ma con l’idea dell’obbedienza, della rinuncia alla proprie pretese» . Non, pertanto, «come virtù propriadella perfezione dell’uomo, né come iuto portato al bene della comunità, bensì come la vittoria della volontà su se stessa nella situazione concreta di vita in cui l’uomo è confrontato con l’altro».
Il passaggio da servo ad amico di ‘Ădhünāy, poi, è fondamentale per la missione evangelizzatrice perché il credente non proclama un messaggio di speranza, ma la propria vita innestata in quel medesimo vangelo. Una simile apertura è presente anche in Paolo quando descrive alla comunità di Roma i frutti della giustificazione: «Se, infatti, quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più, ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita» (Rm 5, 10). Così anche in Matteo nel riportare le parole del Risorto alle donne al sepolcro vuoto: «Andate ed annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno» (Mt 28, 10), che trova un riferimento in Giovanni: «Salgo al Padre mio e Padre vostro» (Gv 20, 17), sottolineandocome Gesù nella fase finale della sua vita abbia raggiunto un rapporto profondo con i suoi discepoli mai come prima d’allora.Un movimento, pertanto, «più in sintonia con la condizione dei cristiani ai quali si chiede di prestare una cordiale obbedienza considerata come il ruolo nella comunione di vita che condividono: i cristiani “odono” il Figlio esattamente come il Figlio “ha udito” il Padre» .
Questo cambiamento si rende possibile nel mistero personale di Gesù come Figlio di Dio: «amando Gesù il discepolo è amato dal Padre, perché Gesù nell’amore verso il discepolo rivela chi egli è, il Figlio» . Ma è soprattutto nel dono del Paraclito, che è «lo Spirito della verità» (Gv 15, 26), che significa, per l’appunto,«chiamata all’amicizia, nella quale le trascendenti “profondità di Dio” vengono, in qualche modo, aperte alla partecipazione da parte dell’uomo» .
Da amici del Risorto e incorporati nell’amore trinitario, i cristiani possono così dare testimonianza di questa relazione nella gioia sapendo delle avversità che li attendono: «Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me» (Gv 15, 18), perché «l’amore vero conduce alla croce. Ci permette di sopportare grandi pene per l’altro. Quando l’amore è veramente grande, è per gli altri, per tutti» . Essa è «la speranza contro ogni speranza»(Rm 4, 18) che si fonda radicalmente in quel «Rimanete nel mio amore» (Gv 15, 9), come il tralcio rimane unito in tutto alla vite; una unità che «può venire solamente dal Padre mediante il Figlio. Essa ha a che fare con la “gloria” che il Figlio dà: con la sua presenza donata mediante lo Spirito Santo – una presenza che è frutto della croce, della trasformazione del Figlio nella morte e risurrezione» ; il passaggio da lontani a vicini e familiari di Dio.
«Quando poi da nemico uno viene fatto amico, è certo che mentre compie quelle opere che Dio non ama, è nemico di Dio, e ognuno viene reso nemico tanto grave e tanto odiabile quando avrà moltiplicato le opere degni di inimicizia. […] Ma in queste cose osserva soprattutto che Cristo ha abbattuto nella sua carne il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia, che ha riconciliato entrambi con Dio in un solo corpo mediante la croce, e che ha ucciso l’inimicizia sulla croce. […] Dunque, la sua morte ha dato la morte a quell’inimicizia che era tra noi e Dio, e l’inizio della riconciliazione. La sua resurrezione e vita, poi, hanno apportato la salvezza ai credenti» .
Nato a Roma il 2 aprile 1976, sacerdote diocesano. Dottore in Teologia, dopo l’insegnamento IRC e gli studi a Milano e Roma, fino al 2015 è stato Vice Preside dell’Istituto Teologico Diocesano e Direttore dell’Ufficio Catechistico di Mondovì. Ha approfondito Archeologia e Geografia a Gerusalemme e attualmente è Docente di Cristologia presso Istituto Superiore di Scienze Religiose “Ecclesia Mater” della Pontificia Università Lateranense, Guida Biblica per l’Opera Romana Pellegrinaggi e Vicario Parrocchiale di Santa Caterina da Siena in Roma. Autore dei saggi “La cristologia adamitica nella concezione agostiniana. Alla scoperta di un’antropologia della redenzione” (Edizioni Sant’Antonio, Padova 2019) e “La questione del soprannaturale nella concezione agostiniana. Riflessione all’opera De natura et gratia di Agostino d’Ippona” (Edizioni Sant’Antonio, Padova, 2019)