Articoli / Blog | 30 Dicembre 2020

Blog – Homeland, trovare ciò che ci rende umani non ciò che ci rende terroristi

Attenzione: in questo articolo sono accennati alcuni elementi della trama

Da domani Netflix, che ne ha trasmesso le prime sei stagioni, non darà più la possibilità di guardare “Homeland-Caccia alla spia”: chi non vorrà attendere troppo, per vedere le successive due dovrà rivolgersi a Fox.

La scoperta di Homeland è una delle cose belle che mi ha regalato il Covid e, forse, è la prima volta che dei personaggi mi hanno accompagnato così a lungo. Ieri, quando è morto Peter Quinn, per la prima volta è come se avessi sperimentato, in piccolo, un lutto vero: la mia reazione istintiva è stata cercare in rete altre interpretazioni di Rupert Friend, l’attore che gli dà corpo. La stessa cosa mi era successa con Nicholas Brody, il sergente dei Marine interpretato da Damian Lewis, protagonista delle prime stagioni.

Il senso di una storia, è quella di capire meglio sé stessi, di essere di più sé stessi. Guardi una fiction che sembra lontana mille miglia dalla tua vita ma in realtà ti immergi in un «mondo altro» perché vuoi trovare te stesso. Le luci della stanza si spengono, lo schermo del pc si accenda al punto in cui eravamo rimasti e noi, entrando in profondità nei personaggi e nei loro conflitti, scopriamo la nostra umanità. Si legge un romanzo, si va al cinema o si guarda una fiction per entrare in un mondo nuovo, affascinante, per vivere accanto a un personaggio che, a prima vista molto diverso da noi, in profondità è come noi. Se questo non avviene, la realtà di finzione non illumina la nostra realtà quotidiana e perciò quell’opera «ci annoia», non ci interessa. Sbaglia in maniera grossolana chi pensa che l’anima più profonda dello svago, del gioco, dell’arte sia sfuggire alla vita. In realtà in quel momento si desidera aggiungere profondità ai nostri giorni. Il nostro desiderio di storie è un riflesso del profondo desiderio umano di avere dei percorsi di vita, delle articolazioni di senso dell’esistenza. È l’arte a dare a quei sentieri la loro forma, e perciò a renderceli visibili. La fruizione di una storia appassionante non è mai un esercizio solamente intellettuale, ma un’esperienza che coinvolge profondamente tutta la persona. Per questo quando guardo Inside Out o Soul li trovo troppo cerebrali e non riusciti del tutto.

È stato Saul Berenson (Mandy Patinkin) a darmi le parole per capire perché mi sono così appassionato a questa serie. “Occorre trovare ciò che ci rende umani, non ciò che ci rende terroristi”, dice in un’occasione. Ed è proprio così. Saul Berenson e Carrie Mathison (Claire Danes) mi mancheranno da morire e sto già pensando se spendere i soldi per andarli a guardare su Fox. Perché in questo momento della mia vita, guardarli, è uno dei modi più veri di trovare me stesso