Articoli / Blog | 30 Ottobre 2020

Agi – L’attentato di Nizza e il confine tra blasfemia e libertà religiosa

Un uomo armato con un coltello ha decapitato una donna, ucciso un pensionato di 70 anni, una donna, e ferito molte altre persone. È avvenuto nella cattedrale Notre-Dame di Nizza. Erano le 9 di questa mattina. Secondo fonti di polizia l’assalitore è stato fermato, ferito e ora sarebbe in ospedale. Non si esclude la presenza di complici.

Anche se il motivo dell’attacco è ancora poco chiaro, il sindaco di Nizza Christian Estrosi ha detto che “tutto lascia supporre un attentato terroristico”.

Di certo arriva a pochi giorni dalla decapitazione di Samuel Paty che era stato “punito” da un diciottenne ceceno, ucciso dalla polizia durante il tentativo di arresto, per aver mostrato agli alunni vignette su Maometto in una lezione di educazione civica.

Samuel Paty insegnava educazione civica, storia e geografia e, durante una lezione sulla libertà d’espressione, aveva mostrato in classe alcune caricature del profeta Maometto tratte dal giornale Charlie Hebdo. La cosa si era risaputa e c’erano state proteste sia sui social che direttamente al personale della scuola. Nessuno però poteva immaginare la tragica fine nella quale sarebbe incorso il malcapitato.

L’uccisione di Paty era stata preceduta a Parigi, il 25 settembre, dall’accoltellamento da parte di un 25enne di origine pakistana di due passanti vicino alla vecchia redazione del giornale satirico francese Charlie Hebdo. L’opinione pubblica aveva collegato l’attacco all’inizio del processo – cominciato il 2 settembre – alle persone accusate di essere coinvolte nell’attentato del 2015 alla redazione del settimanale satirico, oltre che nella successiva sparatoria a sud di Parigi in cui rimase uccisa una poliziotta, e nel seguente attacco a un supermercato kosher, dove vennero uccise altre quattro persone.
Questi fatti ci impongono di pensare ai limiti tra “diritto alla blasfemia” – che la Francia vanta come ripetutamente dichiarato anche recentemente da Macron – e la libertà religiosa. Non accettare che il diritto di libertà religiosa comporti necessariamente un “divieto di bestemmia” porta con sé costi altissimi da pagare, in termini di vite umane e di instabilità nella vita sociale e politica.
Basta sapere che la parola blasfemia è sinonimo di “bestemmia” per capire subito che, proprio perché esiste ed è fondamentale il diritto alla libertà religiosa, non può sussistere alcun diritto ad offendere il credente di un’altra religione. L’esercizio di ogni libertà incontra il limite del rispetto degli altrui diritti e questo principio indiscutibile deve essere tutelato nella maniera più rigorosa in uno stato che si onora di essere laico nel senso di essere pluralista, neutrale ed imparziale rispetto alle diverse fedi religiose dei propri cittadini.

Qualsiasi significato si attribuisca alla parola blasfemo, prima o poi si evidenzia che tale atteggiamento ha un contenuto offensivo e di conseguenza che ogni cittadino ha diritto ad essere protetto da quell’offesa. Tale azione di protezione dello Stato non solo non è contraria al principio della libertà religiosa ma la protegge. Diversamente, ferire dei credenti con la blasfemia (non importa a quale fede appartengano) immette una dose di violenza nella società che alla lunga è impossibile non esploda in una violenza simile o anche maggiore. La libertà religiosa è possibile solo se non si offende nessuno.

Negare il diritto alla blasfemia non significa negare il diritto alla critica o anche alla satira: ma esistono dei confini che vengono stabiliti dalle leggi e, in caso di denuncia, vengono valutati dai giudici. Avere consapevolezza di tutto ciò significa essere un paese civile.

Tratto da AGI