Blog / Gal | 01 Dicembre 2019

Le Lettere di Gal – Vivere l’Incarnazione, per vivere da risorti

In questo inizio di Avvento riflettendo sul mio Dio che si fa bambino, che si fa Uomo, mi è venuta voglia di riflettere sul significato dell’Incarnazione, ma non la Sua, che ormai da quasi cinquant’anni medito, ma … la mia…alla quale non avevo realmente mai pensato.
Prendere un po’ in mano la mia, la nostra incarnazione, dopo che Dio si è fatto carne come me, per rivelare l’uomo all’uomo, come amava dire Giovanni Paolo II (cfr Gaudium et Spes, 22).
Non vi nascondo che mi mette i brividi questo concetto in quanto io nasco con un corpo, mi ci trovo in esso, con esso, sono un corpo e devo riuscire però ad incarnarlo perché non è detto che io, che mi ritrovo nata con questo corpo, riesca appunto a farmi carne: mi hai dato un corpo, ma farmi carne è tutta un’altra storia e allora eccomi a cercare di capire innanzitutto il significato di queste parole all’interno delle Scritture, altrimenti posso creare confusione…
Il termine ebraico che designa il corpo è BASAR, alla lettera “carne”, ma più ampiamente appunto corpo, l’uomo in quanto tale, e include in sé l’idea di spirito, di soffio. E’ qui interessante notare che è l’idea di corpo che abbraccia in sè quella di spirito e non il contrario. Infatti in ebraico il termine “basar” non è utilizzato per esempio per indicare un cadavere. Mentre si può concepire un’anima morta,
il termine basar, invece, designa l’insieme concreto e dinamico delle relazioni: proprio quelle relazioni che fanno esistere l’uomo, vivente!
Questo non significa ovviamente che per la Bibbia non esista una mortalità della carne-corpo, anzi spesso “basar” nella Bibbia è sinonimo di fragilità, di caducità, ma quando il corpo muore diviene altro, non è più “basar” e diviene cadavere; quindi c’è un uomo, c’è vita, dove c’è il corpo con tutte le sue componenti, con tutta la sua globalità fisica, visibile che costituiscono l’uomo nella concezione biblica. La corporeità è proprio l’elemento essenziale nel quale l’uomo si identifica e si esprime: non si riesce a pensarlo diversamente.
Quindi per dirlo con termini nostri e non con i termini biblici, per essere sicuri di intenderci, “basar” indica quel tutt’uno che siamo noi: anima, corpo, psiche, intelligenza, umanità, sentimenti, emozioni. E se vi viene in mente qualsiasi altra cosa possiamo includere anch’essa.
Dio si è fatto carne per farsi definitivamente conoscere dall’uomo e salvarlo (perché fino ad allora lungo la storia di amicizia con il suo Popolo, con i profeti inviati non ce l’aveva fatta …). Se poi possiamo dire:
Dio mi ha voluto così, con questo corpo, significa che questa è l’unica via per trovarlo, per incontrarlo.
“La salvezza passa per il corpo” come ci diceva Giovanni Paolo II, e il corpo è il luogo dell’adempimento della volontà di Dio. “Il creatore ha assegnato come compito all’uomo il corpo”:
è il nostro compito! Sono sempre parole di Giovanni Paolo II nelle sue catechesi sull’amore umano raccolte in “Uomo e donna lo creò” del 1987 ( Città Nuova).
E ancora: “non c’è nessuna Redenzione senza il corpo.”.
Onestamente se ci fermiamo a riflettere su queste frasi, su questi concetti, non so quanti di noi, che cerchiamo di essere cristiani, abbiamo la consapevolezza che il nostro compito essenziale sia quello di vivere e di realizzare il nostro corpo. Ci è chiesto di divenire il nostro corpo, realizzando quell’unicità personale creata e voluta da Dio stesso. Tutto ciò sempre comunque in riferimento all’uomo compiuto al quale noi vogliamo sempre guardare che è Gesù Cristo.
Leggiamo le parole del salmo 40 (nella traduzione dei LXX) e vediamo che dietro al corpo di Cristo c’è Dio, il tu di Dio; dice il salmo infatti: “tu mi hai formato un corpo” quindi non solo il corpo non opacizza ciò che è spirituale, che è divino, ma esso stesso è rimando di trascendenza. Ciò che è più intrinsecamente mio, perché percepisco di non avere nulla di più mio, proprio lui, mi rinvia ad altro da me: e allora in quest’ottica arrivo a cogliere il corpo come dono, la vita come dono, e farne dono a mia volta. Allora il corpo diviene appello e memoriale della vocazione di ogni uomo alla libertà e alla responsabilità .
“Abita la tua carne, la tua umanità! Prendila con te, su di te! Assumi la tua Incarnazione!”sembra dirci Gesù…
Sicuramente ce lo dice in varie occasioni all’interno del Vangelo, una delle quali mi piace qui ricordare : quella che troviamo in Marco, al secondo capitolo, nella famosa scena del racconto del paralitico che viene calato dal tetto da quattro amici e così portato davanti a Gesù.
E li Gesù dice: “dico a te alzati! prendi la tua barella è va’ a casa tua …”
Come a dire: adesso sei stato salvato da me, guarito da me; ora puoi prendere la tua barella, la tua umanità…puoi abitare la tua realtà, la tua carne, assumere la tua incarnazione.
Ad un primo ascolto Il consiglio, l’imposizione quasi, ci sembra un po’ un controsenso: prima Signore mi guarisci, ora posso camminare e tornare a casa con le mie gambe… e invece mi dici di portare la barella con me a casa!…
Pensa che io volevo proprio dimenticarmela quella barella… togliermela dalla vista e dal cuore, non pensarci più, non mi serve più!
Invece tu mi dici di portarmela a casa: quindi ora con le mie gambe posso tornare a casa ma con la mia barella appresso, quasi a dire che questa barella mi ricorderà il mio stato precedente e mi ricorderà che non sono arrivato da te con le mie gambe ma qualcuno mi ha aiutato ad arrivarci. Gratitudine infinita e duratura, quindi, verso questi amici e infine mi ricorderà il mio limite di creatura, i miei limiti… il fatto che cadrò ancora e ancora e lei sarà lì a ricordarmi che sei Tu, solo Tu che mi salvi…mi ricorderà che io sono stato guarito da te, sono stato salvato e quel lettuccio ora non mi serve più, ma è lì per ricordarmi questo evento, questo episodio che con modalità diverse sarà destinato comunque a ripetersi più e più volte nella mia vita…
Ecco che allora portare i propri limiti, le proprie difficoltà, la propria quotidianità, la propria croce vuole dire assumere la propria incarnazione…e porta alla santità… è questa la Santità…!
Ed è proprio in questa realtà difficile della nostra carne che Gesù è venuto a cercarci e che vuole trovarci oggi e poi domani e dopo…
Non per nulla se non stiamo a guardare le immaginette ritoccate e le vite sdolcinate di tanta agiografia un po’ deleteria, i Santi sono stati e sono i più umani tra gli esseri umani…
anche San Josemaría amava ripetere circa i racconti dei santi …”le vite sdolcinate … no!!!”
E allora stare nel mio corpo, accettarlo, accudirlo custodirlo… tutto intero… per me. Perché così saró per l’altro, per gli altri, per Dio.
Con tutta me stessa per:
-Abitare me stessa
-Abitare la Terra
-Abitare il tempo
-Abitare la città.
Per concludere mi piace raccontarvi un interessante analogia che alcuni Rabbini hanno trovato con il “nostro” “basar”…
Basar ha la stessa radice di “bisser” che significa “Annunciare” : quindi nel corpo dell’uomo è insito già l’Annuncio! Il corpo dell’uomo è portatore di un messaggio che è già in nuce un evangelo, una buona notizia; e questo è tanto più evidente dopo che Gesù ci ha salvato nel corpo, mediante l’offerta del suo corpo.
Adesso tocca a noi…

Gal, classe 69, donna. Moglie, mamma, medico. Si ritiene privilegiata per trovarsi a vivere da sempre in un paesino a misura d’uomo. Le piace definirsi figlia del mondo per il vasto respiro dei suoi interessi che spaziano dall’arte alla fotografia, dal viaggio alla lettura. Impetuosa, talora inopportuna, mai diplomatica, sempre in ricerca.