Blog / Lettere | 07 Novembre 2019

Le Lettere di Padre Angelo Vitali – Chiamato e inviato nella missione della carità

Padre Angelo Vitali è un caro amico e sacerdote Monfortano che, come me, è volontario a Rebibbia. Il suo scritto che pubblichiamo qui di seguito racconta con le parole della vita, cosa significa una vita in mezzo ai poveri

Accanto al disagio, immischiato nel disagio, abitando il disagio, senza aver la pretesa di risolverlo, contemplandolo ed osservandolo come parte storica irrisolta, ineluttabile, forse irrisolvibile di questa umanità a cui la Redenzione e la venuta di Cristo sembra non abbia portato grande beneficio. Che sia un male endemico a cui nemmeno Dio possa mettere fine? Sembrerebbe essere una resa incondizionata! “Padre, Lei ha idea di quanto male ci sia nel mondo?” Mi chiede un collaboratore di giustizia in uno dei tanti colloqui in carcere. “Lei Padre, non ha idea; perché io sono il male fatto carne, io impersonifico parte della malvagità del mondo; ma siamo in tanti ad avere questo ruolo, troppi!” “Padre, non mi ricordo più quanti ne ho ammazzati, quanti ne ho mandati ad ammazzare. Mi faccio schifo da solo, penso che il Padre Eterno abbia schifo di me.” “Dì a mio figlio che non si vergogni di suo padre tossico: ho fatto questa scelta e anche se sto morendo non mi pento. Sarebbe troppo semplice! Se Dio c’è o mi accetta come sono o sono cazzi suoi!” . Ribatto sommessamente che forse sono anche “cazzi “ tuoi… “Chiedi perdono a mia madre perché l’ho fatta soffrire più di Maria Santissima ai piedi della Croce. Ma mia madre mi ha amato!” Muore poche ore dopo queste esternazioni. Era malato di AIDS. “A prete: parlaci della morte! Questa notte non vai a letto, stai qui con noi, avvolti da questo silenzio, da questo buio e così ci dici che c’è “nella” e “dopo” la morte. Non ci bastano più le cene, i divertimenti, tutto ciò che ci proponi giorno dopo giorno; è questo il nostro chiodo fisso: la morte” Non sono un sociologo, non uno psicologo, non un semplice operatore sociale, sono un nulla catapultato in questa realtà umana che somatizza, che assorbe, che porta dentro di sé lo stigma del diverso, del particolare, del non qualificabile, del non religiosamente e canonicamente corretto (o morale?). Mi sento un prete alla deriva in questa realtà magmatica sempre pronta ad assumere forme nuove, inedite e non facilmente inquadrabili. Mi lascio trasportare in questa melma eliminando il giudizio, senza emettere sentenze morali, cullandomi in una realtà al limite… Non sono qui per giudicare, per vagliare e normalizzare, ma per ascoltare e cogliere questo grido di disperazione e porlo nel profondo del mio cuore. Se fosse semplicemente questa la mia missione? Accogliere questa montagna di dolore!!! “Non ti azzardare a mancare più di tanto alle celebrazioni eucaristiche del sabato: abbiamo bisogno di una parola forte e penetrante. Il tuo dire, a volte quasi offensivo e molto graffiante ci aiuta a togliere le maschere che abbiamo. Abbiamo bisogno di un Dio che ci denuncia, ma ci ama: di una terapia d’urto che riequilibri la nostra vita. Assetati di un amore, di un amore infinito, che non si nega mai, che è sempre pronto a ripartire perché di ripartenze continue è fatta la nostra vita.” Sono depositario di segreti importanti, porto con me una fatica anche fisica ma soprattutto esistenziale, sento addosso il morso della morte, un morbo mortale. Qui la Resurrezione ha un sapore dolcissimo, il sapore della Vita Eterna dato in dono ai tralasciati dalla storia, alle storie non storie, all’abbandono assoluto che ha conosciuto anche Cristo nel momento della sua Passione. Ormai al tramonto della mia vita, sento questa stessa vita popolata da un’umanità ferita ma importante, sento il regno di Dio venirmi incontro in questi fratelli così strani, così diversi da me, così altro da me, che mi rivelano l’alterità di Dio, questo Dio che viene e che mi sembra sconosciuto. Forse non servivano tanti anni di teologia e di studio: serviva più Epifania di Dio in questi fratelli. Questi fratelli sono un “luogo teologico” che così bene fanno presente il Venerdì Santo e il rifiuto del Cristo. Termino dichiarandomi perfettamente realizzato come missionario Monfortano in questo mondo carcerario e di emarginazione. Ho sempre desiderato terminare la mia vita in questa realtà, Dio me l’ha regalata preparandomi attraverso un lungo cammino propedeutico. E’ a questi fratelli che debbo il continuo e rinnovato entusiasmo della mia vita. Solo dai poveri arriva il cambiamento e la persistente motivazione a vivere e lavorare. Concludo ricordando come da un malato di mente del Santa Maria della Pietà a Monte Mario è giunto al mio cuore un insegnamento che mai dimentico. Preparando il presepe in parrocchia tanti anni fa sparì il bambinello, “bello e paffuto” , scimmiottatura dei bambini poveri, malnutriti e abusati… Lo aveva portato via questo fratello “matto” perché malato, a letto con febbre alta e solo. Lo aveva nascosto sotto le coperte perché era la sua vera coperta del cuore con cui la notte si riscaldava e parlava. Si! Parlava perché se lo teneva stretto al cuore. Un bambinello di gesso ostaggio per una decina di giorni sotto le coperte di un demente. Restituito a tempo scaduto, era passato il Natale, con questo mio amico guarito e contento. Ma il matto chi era: lui o io o noi? Padre Angelo Vitali P.s. : se ti può interessare allego il testamento spirituale di un mio amico tossico morto suicida tanti anni fa, tra i tanti documenti che ho conservato non trovo molto di meglio da meditare e interiorizzare! Fanne l’uso che vuoi.

Roma, 30/07/2019