Blog / Luciano Sesta | 06 Settembre 2019

Le Lettere di Luciano Sesta – Cattolico o kamikaze? Sulla tiepidezza” dell’Occidente

Recentemente, al meeting di Rimini, un teologo cattolico ha denunciato la tiepidezza dell’Occidente, che non avendo nessuna “verità assoluta” da offrire ai giovani, li lascia prede della propaganda islamica dell’Isis. Se un giovane occidentale si lascia cooptare da una cellula terroristica e va a combattere la jihad, infatti, è perché c’è in lui un’ansia di eroismo che non è riuscito a giocarsi altrove, e che, se solo l’Europa la smettesse di mettere da parte la fede cattolica, avrebbe potuto impiegare più umanamente diventando cristiano. Il fondamentalismo, insomma, va combattuto (e sconfitto) sul suo stesso terreno.

C’è senz’altro del vero in questa diagnosi. Ma anche una pericolosa ambiguità. Se chi cerca un ideale forte, per il quale spendere la vita, è indifferentemente un potenziale candidato al cristianesimo o all’Isis, forse c’è qualcosa che non va nello stesso concetto di “ideale forte”. L’alternativa, di fronte ai giovani occidentali, non è solo o potenziali eroi al servizio di grandi ideali o spenti consumatori, magari rassegnati a una vita con lo smartphone in mano. Fra eroismo e tiepidezza c’è anche la sobrietà, rispettosa e non esaltata, di chi si impegna, certamente, ma senza la presunzione di chi giudica tutto alla luce di una netta contrapposizione fra “verità” ed “errore”, senza vie di mezzo. C’è una temperanza, anche nell’entusiasmo, che è più preziosa della determinazione inflessibile di chi non è disposto ai compromessi. La disponibilità a mettersi in gioco per ideali più grandi, il desiderio di eroismo, non sempre va assecondato. Può anche essere pericoloso, come quando, facendo pagare agli altri il prezzo dei “propri ideali”, diventa fanatismo e intolleranza.

Chi non si lascia sedurre ne’ dalle sirene dell’Isis ne’ dal cristianesimo non è necessariamente un tiepido o un relativista. A volte è solo un fanatico di un’altra causa. E se ciò che motiva i convinti attivisti di un determinato ideale – che sia l’ambiente, la Verità Cristiana o la liberazione delle minoranze oppresse – è la stessa spinta che motiva i militanti dell’Isis, allora non si vede con quale criterio dovremmo scegliere una causa piuttosto che l’altra, visto che tutte impegnerebbero comunque un desiderio di eroismo equamente distribuito.

Un esempio ci consente di capire meglio. Secondo l’antico autore cristiano Lattanzio, il fatto che i cristiani disprezzino la morte e siano pronti ad affrontarla con fermezza è una prova evidente della divinità del loro messaggio (Divinae Institutiones, V, 13). Il medesimo disprezzo della morte e la stessa prontezza nell’affrontarla, però, c’è anche nei kamikaze dell’Isis. Una prova evidente della divinità anche del loro messaggio?

Già Agostino di Ippona, opportunamente, faceva notare che a rendere martire una persona non è la mera disponibilità al sacrificio o il fatto che essa soffra o muoia, ma la causa per la quale essa si sacrifica, soffre o muore (“martyres veros non facit poena sed causa”) [Epistula 204, 4]. E nel Vangelo, non a caso, leggiamo non “beati i perseguitati” in quanto tali, ma “beati i perseguitati a causa della giustizia” (Mt 5, 10). 

Luciano Sesta, sposato e padre di quattro bambini, è docente di Storia e Filosofia nei Licei Statali Insegna Antropologia filosofica e bioetica all’Università di Palermo, ed è stato membro dell’Ufficio della Pastorale della Cultura dell’Arcidiocesi di Palermo. Ha pubblicato numerosi saggi nell’ambito della teologia morale, della bioetica e dell’etica