Le Lettere di Luciano Sesta – Se sono “malati” gli omosessuali, lo siamo tutti… Due parole sul cattolicesimo “darwiniano” di Silvana De Mari
La dott.ssa Silvana De Mari, molto amata in alcuni ambienti cattolici, è impegnata da parecchi anni a dimostrare che l’omosessualità è una grave malattia
Questo, in sintesi, il suo ragionamento:
1) il sesso è un mezzo escogitato dalla natura al fine della procreazione;
2) ma poiché gli omosessuali ricorrono al sesso senza poterlo usare a scopo procreativo;
3) ne deriva che gli omosessuali vivono una sessualità “malata” e “immorale”, perché “deviata” dal suo scopo naturale
A prescindere dal carattere non cristiano, ma semmai “darwiniano” di questa visione, in cui la sessualità, da espressione personale dell’amore è ridotta a mezzo biologico di perpetuazione della specie, si provi a sostituire, nel ragionamento fatto sopra, la parola “eterosessuali sterili” o “in età non più procreativa” alla parola “omosessuali”. Il risultato sarà che non solo gli omosessuali, ma anche tutti gli eterosessuali che hanno rapporti sessuali non procreativi, assumono un comportamento sessuale “malato” e “contro natura”. E questo non soltanto in particolari situazioni come l’età non più fertile, ma anche nella maggior parte dei casi durante l’età fertile, visto che i giorni del ciclo in cui i rapporti sono potenzialmente procreativi sono 5-6 sui 30 totali.
Dimenticando che la sessualità non è un “mezzo” che gli esseri umani “userebbero” strumentalmente per un determinato fine, ma parte integrante di quel tutto che è il rapporto di amore fra due persone, alla De Mari sfugge che la procreazione è una possibile conseguenza dell’amore sessuale, non il suo scopo esclusivo. Se in questo ambito gli esseri umani si distinguono dagli animali, infatti, è perché solo loro possono “fare l’amore”, a differenza degli animali che si “accoppiano” solo ai fini della riproduzione. Come dimostra il fatto che nelle altre specie animali ci sono i periodi di “estro”, in cui cioè gli esemplari avvertono l’istinto di accoppiarsi solo nei periodi fertili. Gli esseri umani, al contrario, fanno l’amore, e del tutto naturalmente, anche nei periodi non fertili del ciclo femminile. Non avendo i periodi di “estro”, la sessualità umana non è dunque finalizzata esclusivamente, e nemmeno principalmente, alla procreazione.
La De Mari, a questo punto, sembra non avere più scampo: o riduce il sesso a procreazione, ma allora non c’è più differenza fra l’uomo e gli animali; oppure ammette che il sesso, al di là della biologia, è espressione personale dell’amore, non potendo però più distinguere, a questo punto, la sessualità eterosessuale da quella omosessuale. O dunque assume una visione darwiniana incompatibile con la prospettiva cattolica che lei dichiara di voler “difendere”, oppure ammette, con il cattolicesimo, che la sessualità è espressione dell’amore, ma allora non può negare, a questo livello, che anche l’amore omosessuale può avere la sua dignità.
Costretta all’angolo dalla sua stessa logica, la De Mari si affretta a precisare che le persone omosessuali, diversamente da quelle eterosessuali che assecondano madre natura, sono più esposte delle persone eterosessuali a contrarre malattie veneree o patologie genitali e anali. Queste patologie, per la De Mari, sono una chiara “ritorsione” con cui madre natura cerca di far ravvedere gli omosessuali, che spesso, accecati dal vizio, non sono in grado di capire i rimproveri che ricevono. Ora, però, così conclude trionfalmente la De Mari, se un comportamento provoca statisticamente conseguenze dannose sulla salute, allora significa che è tanto “innaturale” quanto “immorale”.
Ci sono tanti comportamenti che provocano danni alla salute e persino rischi per la propria vita, ma che nessuno si sognerebbe di considerare “innaturali” o “immorali”. I vigili del fuoco e chi lavora esposto ad agenti atmosferici dannosi assumono un comportamento da cui possono derivare, e in taluni casi derivano certamente, danni alla loro salute. Il fumo provoca danni alla salute, ma questo non lo rende “gravemente immorale”. Anche il parto ripetuto di donne generosamente impegnate a vivere la loro “apertura alla vita” può provocare lacerazioni gravi e danni alla salute, ma la De Mari si guarda bene dal considerare “innaturale” e “immorale” la procreazione di numerosi figli. Che ci siano statistiche che informano sui rischi per la salute associati all’attività omosessuale non dimostra che l’omosessualità è innaturale e immorale più di quanto le statistiche sui rischi dell’attività missionaria in luoghi ostili al cristianesimo dimostra che andare in missione in certi luoghi sia immorale e innaturale. La moralità di un comportamento prescinde dalle possibili conseguenze che questo comportamento provoca sulla salute. Lo sappiamo tutti. Se dunque la De Mari cita i danni alla salute come prova di immoralità del solo comportamento omosessuale ma non di altri comportamenti, ciò avviene perché ha già deciso, sin dall’inizio, di criminalizzare il comportamento omosessuale a prescindere dalle sue conseguenze sulla salute. Come ragionamento non è il massimo del rigore. E come comportamento non è il massimo della lealtà.
La logica dei nostri ragionamenti, come si può vedere, è spietata. Soprattutto quando non la si rispetta nella sua “natura”, che è quella di essere un mezzo finalizzato a capire la realtà prima ancora di giudicarla. Quando, non rispettando la ragione in questa sua funzione naturale, la usiamo più per demonizzare un fenomeno che per comprenderlo, ecco le conseguenze. Biologicamente forse meno dolorose di una patologia rettale, ma, senza dubbio, logicamente e scientificamente più imbarazzanti
Luciano Sesta, sposato e padre di quattro bambini, è docente di Storia e Filosofia nei Licei Statali Insegna Antropologia filosofica e bioetica all’Università di Palermo, ed è stato membro dell’Ufficio della Pastorale della Cultura dell’Arcidiocesi di Palermo. Ha pubblicato numerosi saggi nell’ambito della teologia morale, della bioetica e dell’etica