Alessandra Bialetti / Blog | 15 Agosto 2019

Le Lettere di Alessandra Bialetti – Se Maometto non va alla Montagna

Sap 18, 6-9; Eb 11,1-2.81-19; Lc 12,35-40

Il titolo può sembrare stravagante ma è ciò che ho vissuto entrando alla messa domenicale nella parrocchia romana vicino casa dove presta servizio un sacerdote che spende la sua vita tra gli ultimi avendo realizzato, tra l’altro, un progetto per il recupero di ex detenuti e persone con vari disagi. Ecco spiegato il titolo: in questi giorni che non mi reco in carcere perché non viene celebrata la messa in reparto, i detenuti “vengono a me” e insieme, in altro luogo, in altra chiesa, celebriamo l’Eucarestia per ricordarmi e ricordarci che siamo sempre in unità fuori e dentro le sbarre. Sembra un altro “tiro” del giocoliere che si diverte proprio a mostrarci come la nostra vita sia un cammino unico con tante deviazioni e tanti incroci ai quali finiamo per rincontrarci, riconoscerci e continuare il percorso. A distanza di una settimana, ritorna il tema del gregge come quella scritta sul portale che parlava di un solo ovile. Il piccolo gregge, oggi, nella parrocchia romana è quel gruppo di ex detenuti e mi fa sorridere di gioia questo pensiero. Arrivano su un pulmino che li trasporta in chiesa dalla comunità che li accoglie e sono immediatamente riconoscibili: portano sul viso la sofferenza, il disagio, la fragilità. Sono segni inconfondibili di un percorso in salita, riconosciamo subito chi soffre anche se a volte facciamo finta di non percepire o ci fa troppo male vedere. Si mettono sempre dalla stessa parte, forse per sentirsi gruppo, per provare un senso di appartenenza che li faccia sperimentare meno soli, forse non si sentono degni di “mischiarsi” ai cosiddetti normali. Ma oggi sono loro a costituire quasi la maggior parte dell’assemblea: gli ultimi, gli sbagliati, i caduti, gli esclusi. Mi chiedo se invece sia il nostro sguardo di “regolari” a tenerli lontani, a mettergli addosso la paura di non essere accolti, etichettati, classificati come i disagiati di turno. Forse sì. Forse il nostro modo di guardare gli altri deve cambiare perché ognuno si senta a casa propria, non si debba mettere da parte per fare gruppo ma si possa “mescolare” insieme agli altri, a un’unica tavola, un’unica mensa, un unico cammino. Il vangelo è chiaro: “Non temere piccolo gregge”. Non dobbiamo temere di essere quelle comunità che accolgono gli invisibili, i discriminati, quelli che hanno sbagliato, quelli che hanno pagato e che cercano ora riscatto, quelli che non hanno voce, che per la loro diversità ci fanno paura e fanno scattare le difese. Il sacerdote ci ricorda che l’altro ci appartiene, a noi è demandata la sua custodia, è nostra eredità e non sempre e solo degli altri. Non siamo padroni perché il compagno di cammino non è un servo ma un bene che ci è affidato.

Il ministrante accanto al sacerdote è un ex detenuto. Tiene le mani giunte dall’inizio della celebrazione, non si stanca di tenerle così. Mani che probabilmente pulite non sono, che hanno compiuto reati, che hanno fatto del male, che non hanno seminato germi di bene oggi sono mani giunte in preghiera che verranno aperte solo al momento di preparare la mensa e al Padre Nostro quando si farà abbracciare da quel pastore che non disdegna il suo piccolo gregge ma lo rende popolo di elezione. Gli ex detenuti raccolgono le offerte, anche quei piccoli spicci che nei loro facili reati non erano nemmeno considerati perché attratti dalle grandi ricchezze. A loro Gesù, affida la raccolta del poco, sicuro che non lo intascheranno ma lo raccoglieranno per chi vive una difficoltà e un disagio. Ha dell’incredibile questo Cristo che si fa accompagnare all’altare da un ex detenuto e si affida a chi di affidabile non ha dimostrato nulla. Per entrare tra gli “eletti” non si devono passare esami di idoneità, nessuna prova di essere all’altezza, i più bravi, i più retti. Non ci sono prove da superare perché Cristo passa e chiama chiunque, perché il suo gregge è fatto di lebbrosi, storpi, impuri, indegni. Siamo noi a sottoporre continuamente gli altri a prove estenuanti per far parte di comunità in cui tutti si possano sentire al sicuro perché sono stati lasciati fuori i “pericolosi” senza comprendere che è il piccolo gregge a essere grande perché aperto a tutti, senza etichette ed esclusioni.

Il sacerdote ci fa sorridere con una battuta: “Il vangelo ha cinque tacche come il cellulare, prende ovunque, ha sempre campo”. E’ un chiaro, chiarissimo invito a non lasciare le parole del Cristo in chiesa dopo una bella celebrazione ma a viverle continuamente, in ogni luogo, soprattutto fuori, nelle strade, negli angoli più dimenticati, nelle periferie più disperate. Il vangelo deve essere un “sempre” che fa lievitare la nostra vita, la domenica in chiesa non basta.

Arriviamo al Padre Nostro nella sua nuova formula del “non ci abbandonare alla tentazione”. Oggi questa parola risuona forte in me: non ci abbandonare alla tentazione di considerarci il grande gregge dei giustificati, dei giusti, dei “già a posto”, dei salvati per i nostri meriti, degli autoreferenziali, di chi guarda i piccoli da lontano con scherno e giudizio. Facci invece sperimentare l’essere piccolo gregge che ha bisogno di aiuto, sostegno, di essere accudito, visitato, ricercato, salvato. Perché è a questo piccolo popolo di zoppicanti che tu, Cristo pastore e viandante, vuoi consegnare il tuo regno.

Se Maometto non va alla montagna, la montagna va a Maometto. E oggi, in quel piccolo gruppo di ex detenuti possiamo trovare la risposta alla domanda che con ironia e provocazione tanti mi pongono. “ma una volta fuori dal carcere torneranno ai reati?”. Non lo sappiamo, sappiamo solo che in questa comunità parrocchiale, la vita sta trovando riscatto, le mani giunte del ministrante probabilmente non ruberanno più, le monetine della questua non verranno intascate e il piccolo gregge seguirà un nuovo cammino accanto al suo pastore. Un pastore orgoglioso, un Cristo che sorride e prova commozione perché, ancora una volta, rilancia sulla fiducia.

 

Vivo e lavoro a Roma dove sono nata nel 1963. Laureata in Pedagogia sociale e consulente familiare, mi dedico al sostegno e alla formazione alla relazione di aiuto di educatori, insegnanti, animatori. Svolgo attività di consulenza a singoli, coppie, famiglie e particolarmente a persone omosessuali e loro genitori e familiari offrendo il mio servizio presso diverse associazioni (Nuova Proposta, Rete Genitori Rainbow, Agedo). Credo fortemente nelle relazioni interpersonali, nell’ascolto attivo e profondo dell’essere umano animata dalla certezza che in ognuno vi siano tutte le risorse per arrivare alla propria realizzazione e che l’accoglienza della persona e del suo percorso di vita, sia la strada per costruire relazioni significative, inclusive e non giudicanti.