Abele Dell’Orto – Qualche pregio e qualche criticità in “Una giornata di Susanna”
Propongo al blog, con il permesso esplicito dell’interessato e con minime variazioni per non spoilerare la lettura a chi non l’avesse fatta, la mail che mi ha ha inviato il Prof. Abele Dell’Orto
Carissimo don Mauro,
domenica 28 luglio ho ripreso in mano dall’inizio e ho portato a termine la lettura del romanzo “Una giornata di Susanna”, che avevo cominciata qualche mese fa ma che avevo interrotta a causa di altri impegni, e forse, inconsciamente, anche per alcune riserve sul contenuto.
Effettivamente ero rimasto molto perplesso sulla tesi di fondo, che mi si prospettava leggendo i primi capitoli, circa il matrimonio cattolico, in un libro scritto da un sacerdote. Essendo abituato dalla mia lunga professione di insegnante a leggere, pensando anche agli aspetti educativi e alle possibili influenze su lettori giovani e magari sprovveduti, mi sembrava che venisse proposta la tesi che l’amore, anche nelle sue manifestazioni sessuali, fosse superiore ai principi del matrimonio unico e indissolubile, e che quindi venisse, per così dire, giustificata una mentalità individualistica, abbastanza diffusa, che si sottrae, quando insorge un amore nuovo, agli impegni solennemente presi con il sacramento.
Essendo impegnato, dopo il pensionamento dalla scuola, a presentare all’Università della Terza Età di Como i premi Nobel della letteratura, che sto illustrando sistematicamente ad uno ad uno, senza saltarne nessuno, mi trovo a leggere testi anche molto lontani da una visione cristiana della vita. Nel leggerli, mi colloco necessariamente dentro il quadro delle idee dell’autore, e cerco di valorizzare il buono che comunque vi si trova, ma arrivo più volte a giudicarli non adatti da proporre, ad esempio, alla gente semplice della parrocchia.
Orbene, con questa mia forma mentis, la prima parte di “Una giornata di Susanna” mi appariva non adatta a tutti, anche perché non riuscivo a non pensare che l’autore fosse un prete. Vi coglievo invero i caratteri di un “accompagnamento” a persone in crisi, la cui storia va valutata caso per caso, secondo lo spirito dell’insegnamento di Papa Francesco, ma vi vedevo insieme il rischio di ingenerare in altri l’idea, a cui ho accennato, che si può impunemente superare l’unicità e indissolubilità del matrimonio, se capita di innamorarsi di un’altra persona.
La lettura integrale del romanzo, che certamente è tutt’altro che l’esaltazione del libero amore, ha attenuato un po’ questo scompenso, ma non mi ha rimosso le perplessità e l’imbarazzo iniziali.
Ripeto. Da una parte, vedo un prete che conosce ed affronta situazioni difficili e complesse, e comprende la realtà molteplice della vita, ma dall’altra (…) mi è difficile accettare l’esplicito voler “fare l’amore” di Susanna con un altro uomo rispetto al marito, come se fosse una cosa bella e giusta.
Non discuto gli aspetti letterari del romanzo, ma alla mia sensibilità l’aspetto morale e l’aspetto educativo, dal momento che l’autore è un sacerdote, sono apparsi molto discutibili.
Insomma, capisco un prete che discuta di quel problema con una persona che ne è coinvolta, e magari ne parli anche con altri in un contesto adatto, ma nel contesto di un romanzo, che tutti possono leggere, mi è parso rischioso.
Comunque, sono contento di aver letto il romanzo, che mi ha aperto qualche fascia di orizzonte e in più punti mi ha fatto pensare, come mi fanno pensare i Suoi scritti su “Avvenire”.
AugurandoLe una missione sacerdotale pienamente evangelica, Le esprimo con il cuore grande stima e porgo un affettuosissimo saluto “da amico”
Abele Dell’Orto
Carissimo Professore, la ringrazio tanto per l’attenzione che ha dedicato ad un romanzo in cui si intrecciano strettamente, nel cuore della giornata di una cattolica, le ragioni a favore e contro l’adulterio. In ultima analisi, pur riconoscendone l’indubbia qualità letteraria, lei mi addebita una certa “imprudenza”. Ovvero – cito sue parole – pure essendo un libro “che certamente è tutt’altro che l’esaltazione del libero amore” potrebbe in gente semplice “per esempio quella della parrocchia” generare un’idea sbagliata sul matrimonio. Dirò onestamente che questo rischio esiste. Esiste cioè sempre qualcuno che possa fraintendere (anche se non penso alla gente delle parrocchie che, in genere, è assolutamente uguale alle persone qualsiasi che si trovano nella vita quotidiana). Esiste un rischio, anche se è un rischio moderato: le posso dire infatti che non solo molti laici (intendo come mentalità) si sono appassionati a questo romanzo, ma anche molte suore, sacerdoti e monache. Un amico prete mi ha detto: “solo un prete può scrivere un romanzo così, perché solo un prete conosce così bene il cuore dell’uomo”. Devo aggiungere poi che anche tanti cattolici impegnati hanno apprezzato il libro. Uno fra tutti, lo conoscerà sicuramente, è Davide Rondoni (al link la sua recensione). Devo riconoscere tuttavia, ripeto, che un minimo di rischio esista. Perché ho deciso di correre questo rischio scrivendo un romanzo dal finale aperto? Perché un romanzo dall’andamento per così dire classico, una cosa del tipo “peccato, pentimento, confessione” oltre che essere irrealistico nell’orizzonte temporale di un giorno è molto più “imprudente” di quello che ho scritto io. Perché la vita non ha andamenti rettilinei, non problematici, e quindi tutti coloro che hanno una vita vera, tutti coloro che sono realmente coinvolti da storie come quelle di Susanna, si sentono respinti da romanzi “rettilinei”. Li aprono e li chiudono subito perché quella non è “vita” ma “fantascienza”. Io capisco che lei, come professore, abbia avuto un intento educativo. Anch’io ho quell’intento quando predico dall’altare, o faccio catechesi: ma non quando scrivo romanzi. Lei mi dirà: ci sono però preti, o cristiani credenti, che hanno scritto romanzi educativi od apologetici. Giusto, vero, liberi da farli. Faranno molto bene ai cristiani credenti che si sentiranno confermati nelle loro certezze. Ma non toccheranno minimamente chi dal cristianesimo se ne distanzia. Nella pratica, dico, non solo nella teoria. È, in altre parole, quanto ha scritto Rondoni nella sua recensione. Penso d0altra parte che nella società attuale, non solo ci sia posto per tutti, ma ci sia bisogno di persone che sappiano arrivare a “pubblici” diversi. Augurandomi di essere riuscito nel mio compito e nella mia missione sacerdotale, la ringrazio della sua preghiera perché sia “pienamente evangelica”.
Il Prof. Abele Dell’Orto ha accompagnato, per molti anni al Liceo classico “A.Volta” e in altre scuole, innumerevoli giovani nello studio e nella formazione della coscienza. Ha ricevuto nel 2015 l’importante onorificenza comasca “Abbondino d’oro”. Qui una breve biografia su di lui