Per la sezione Rassegna stampa un altro articolo di un portale di informazione dei farmacisti
Roma, 26 luglio – Era inevitabile che i 1.126,4 milioni di euro che gli italiani tirano fuori dalle loro tasche per coprire la differenza di prezzo tra farmaco di marca e il corrispondente generico e che sono dunque imputabili – come ha rilevato la Fondazione Gimbe solo due giorni fa in un suo rapporto sui ticket – alla scarsa diffusione in Italia dei farmaci equivalenti (peraltro confermata dall’Ocse, che ci colloca al penultimo posto su 27 Paesi sia per valore, sia per volume dei consumi) avrebbero finito per sollevare discussioni, che sono inevitabilmente arrivate.
Il fatto che, pur di avere un farmaco di marca in luogo dell’equivalente, gli italiani preferiscano “bruciare” più di un miliardo e cento milioni di euro desta molte perplessità e non va decisamente giù a molti, come dimostra la nota di don
Mauro Leonardi, sacerdote romano dall’intensa attività pubblicistica,
pubblicata due giorni fa nella sezione Idee della piattaforma Blog Italia dell’Agi, l’agenzia giornalistica diretta da
Mario Sechi.
Un intervento eloquente fin dal titolo (Il paradosso tutto italiano dei farmaci equivalenti), nel quale don Leonardi va alla ricerca delle ragioni per le quali in Italia il mercato dei farmaci generici (sia pur in crescita) è in ritardo rispetto ad altri Paesi, in particolare nelle Regioni del Sud, dove gli abitanti, anche se “mediamente con un reddito medio inferiore, continuano a preferire l’acquisto di un medicinale che sulla scatoletta ha il brand più famoso e dunque più costoso”.
Tra le cause di quella che chiama una “incredibile resistenza al cambiamento”, don Leonardi individua un deficit culturale, che non esita a definire senza tanti giri di parole “ignoranza”. “C’è una sorta di rifiuto aprioristico al nome difficile, che non suona” scrive il sacerdote. Che subito dopo parte lancia in resta, ipotizzando che “una grande responsabilità” per questo stato di cose ce l’abbiano proprio i farmacisti. “È comprensibile che la persona non competente (mi annovero tra queste ultime) ordini in farmacia le medicine che prende da sempre ma è doveroso, a quel punto, che il farmacista dietro al banco segnali al cliente l’esistenza del farmaco generico” scrive al riguardo don Leonardi. “Se, come accade spessissimo, mi servo da tutta la vita in quella farmacia per quale motivo non dovrei fidarmi dell’addetto ai lavori che mi dice ‘Guardi che in questo caso se prende il generico spende il 20% in meno’? Nessun motivo. E qui spunta il secondo ordine di considerazioni che non è più di tipo nozionistico ma morale” scrive don Leonardi, affondando il colpo. “Perché, se esiste un’ignoranza (scusabile) in chi acquista, c’è anche, forse non di rado, una cattiva professionalità in chi serve l’avventore”.
Il duro j’accuse del sacerdote nei confronti dei farmacisti va però ancora oltre, ipotizzando – oltre alla scarsa professionalità – anche un conflitto di interessi: “Perché minor prezzo significa minor percentuale di guadagno. Come può una persona qualsiasi, anziana per esempio, resistere al farmacista che consiglia quello di marca perché garantirebbe di più l’effetto e ‘tanto comunque a lei non importa visto che paga lo Stato’? E a questo punto” conclude don Leonardi “la categoria da considerare non è più quella dell’ignoranza ma quella della morale. E forse anche della denuncia legale”.
L’articolo del sacerdote romano non è ovviamente passato inosservato in casa Federfarma, che ha subito replicato con una lettera dove il presidente Marco Cossolo (nella foto) rigetta le “accuse e supposizioni al limite della calunnia” di don Leonardi, invitandolo “a trascorrere qualche giorno dietro il banco per sentire direttamente le motivazioni più disparate per le quali molti italiani non si fidano dei farmaci equivalenti”.
“L’autore dell’articolo ha ragione a denunciare la scarsa diffusione dei generici in Italia rispetto agli altri Paesi europei”concede Cossolo, ma “sbaglia grossolanamente quando addossa la responsabilità alle farmacie. In farmacia consigliamo sempre i generici“.
Asserzione che Cossolo sostanzia citando le iniziative poste in essere nel tempo dal sindacato dei titolari di farmacia proprio per incentivare la cultura dei farmaci generici. “Abbiamo fatto numerose campagne di informazione fin dalla prima nel lontano 2001 in collaborazione con il Ministero della Salute” ricorda il presidente di Federfarma. “Successivamente abbiamo collaborato anche con Cittadinanzattiva, nella campagna ‘Io Equivalgo’. Spesso, purtroppo, sono i cittadini a rifiutarli perché continuano a considerarli una sottomarca di scarsa qualità. Questo pregiudizio è duro a morire, e sarebbe bello se anche tutti gli altri operatori sanitari incoraggiassero maggiormente l’uso degli equivalenti, tranquillizzando il paziente circa la loro sicurezza ed efficacia. C’è da dire anche che, in alcuni casi, soprattutto gli anziani e i pazienti che assumono più farmaci preferiscono avere sempre la scatoletta a cui sono abituati“.
Nessuna “scarsa professionalità” nè “conflitto di interesse”, dunque, come comprovano tutti gli sforzi condotti dalle farmacie per informare sul valore degli equivalenti, “con l’obiettivo di diffondere quella cultura che manca per consentire ai cittadini di risparmiare senza perdere in salute”, afferma Cossolo, che conclude la sua replica con una richiesta: “Chiediamo alle istituzioni di promuovere una maggiore cultura del generico, in linea con quanto fanno quotidianamente i farmacisti. In Federfarma siamo sempre pronti a collaborare a iniziative e campagne di informazione volte a promuovere l’uso degli equivalenti“.
Tratto da RifDay