Se “mi” racconto mi conosci – Il prete e i ragazzi del Rione Sanità che fanno scoprire i tesori dell’arte
L’orchestra sinfonica tutta di bambini che il 1 ottobre del 2011 accoglie il presidente Napolitano con le note dell’Inno di Mameli è diventata una specie di immagine simbolo di cosa si può fare anche in un quartiere pieno di problemi come quello napoletano della Sanità, se si investe sui più giovani e lo si fa con intelligenza e impegno. E le spiegazioni chiare e per niente cantilenanti delle guide turistiche della cooperativa La Paranza – tutti ragazzi sui vent’anni che magari a scuola andavano malissimo ma che oggi potrebbero insegnare la storia di Napoli ai professori che ogni anno li bocciavano – incantano i visitatori delle Catacombe di San Gennaro e di quelle di San Severo e San Gaudioso al pari delle cripte e delle basiliche che si incontrano lungo il percorso sotterraneo.
Che i giovani siano la speranza di ogni comunità è facile dirlo. E altrettanto facile è che chiunque faccia discorsi contro le mafie ripeta che solo offrendo alternative ai giovani più esposti all’occasione del reclutamento potranno essere sconfitte cosche e ‘ndrine. A Napoli, in un quartiere come quello della Sanità, che la criminalità camorrista la conosce per esserne stato infestato da sempre (meno di tre anni fa il video dell’omicidio di un pregiudicato, ripreso dalle telecamere di un bar, fece il giro del mondo) c’è un prete che tutte quelle belle cose non le dice. Le fa. Don Antonio Loffredo, 52 anni, napoletano del quartiere Vicaria, parroco dal 2001 della chiesa di Santa Maria e poi anche delle altre quattro che sono nei dintorni, non vuole essere definito un sacerdote che «recupera i ragazzi difficili in un quartiere di camorra». Perché non ritiene che ci siano ragazzi difficili e ragazzi facili, ma solo ragazzi. E perché non accetta di definire la Sanità un quartiere di camorra, ma un quartiere dove c’è anche la camorra, come in tutto il resto della città, ma anche un’infinità di bellezze storiche, artistiche e architettoniche che altre parti di Napoli se le sognano.
Così ha pensato di investire sulle due cose migliori che ha trovato: i giovani e il patrimonio. L’orchestra dei ragazzini, la Sanità Ensemble, è uno dei frutti di quest’investimento, così come lo è La Paranza o la cooperativa Iron Angels, dove ragazzi che hanno imparato il mestiere di fabbro e incisore recuperano e riciclano rame realizzando opere artistiche. E come lo è anche la Casa del Monacone, un bed and breakfast ricavato da un vecchio convento accanto alla basilica di Santa Maria e gestito sempre da una a cooperativa di giovani.
Altro che recupero di ragazzi difficili o parrocchia che fa da luogo di aggregazione. «Qui – dice don Antonio – si fa impresa civile, moderna. Che produce beni e servizi. Che produce lavoro». E lo produce senza aver mai ricevuto – ma nemmeno chiesto – denaro pubblico. La formazione è tutta opera di volontari, architetti, ingegneri, maestri di musica, professori universitari. I progetti invece sono stati finanziati sempre da privati, soprattutto fondazioni, compresa la Clinton Foundation. Luigi Malcangi, segretario della onlus L’Altranapoli, che da sempre lavora accanto al parroco, spiega che «in sei anni sono stati investiti quattro milioni di euro», realizzando tra le altre cose un laboratorio teatrale, uno spazio attrezzato per far fare il doposcuola ai bambini, e recentemente anche uno studio di registrazione. «Da poco abbiamo vinto un bando del ministero dell’Università con un progetto di tecnologia applicato all’arte». Don Antonio ne è entusiasta. Aspettava una cosa del genere da quando ha conosciuto il sociologo statunitense Richard Florida ed è rimasto affascinato dalla sua teoria delle tre T indispensabili per la crescita economica di una comunità: talento, tolleranza, tecnologia. «Nei nostri ragazzi talento ne abbiamo quanto ne vogliamo, e pure la tolleranza non ci ha mai fatto difetto. Mancava la tecnologia, e adesso, con questo bando del Miur, abbiamo anche quella».
Sembra stia per dire: e chi ci ferma più. Non lo fa ma probabilmente lo pensa. Anche perché ora il «modello Sanità» comincia a essere esportato anche in altri quartieri di Napoli. Una cooperativa di ragazzi della Sanità e dei Quartieri Spagnoli (altra zona che di problemi ne ha molti) ha avuto assegnato il convento San Francesco, attiguo all’Università Suor Orsola Benincasa, a metà strada tra la collina del Vomero e il centro storico: vi dovranno realizzare un ostello, un ristorante con cucina a chilometro zero e il progetto prevede anche il recupero dell’immenso giardino interno che dovrebbe diventare un orto botanico.
Tratto da Corriere della Sera – Buone Notizie