Se “mi” racconto mi conosci – La favola del bambino sordo che aiuta gli altri a sentire
Quando due genitori si ritrovano con un figlio nato sordo, qui in Italia, spesso non sanno cosa fare. Si sentono in difficoltà. Li trattano come malati. Io dico: dovete accettarli come sono! Lasciateli muovere, fateli esprimere, e li capirete. Ma quale malattia. E’ solo una diversità». Conoscere Roberto E. Wirth significa incontrare un vincente che ha scommesso con la vita su diversi tavoli e non ha perso una mano. La sua diversità, prima di tutto. E’ nato sordo profondo nel 1950, quinta generazioni di albergatori che hanno segnato la storia dell’ospitalità non solo in Europa ma anche, per esempio, al Cairo col mitico hotel Semiramis. La prima scommessa vinta è quella della comunicazione: impossibile non capire quest’uomo alto, elegante e atletico come un attore americano. La sua energia espressiva supera ogni ostacolo, bastano poche battute e la sua voce, sostenuta da rapidi gesti, diventa «normalissima». La carica gli permette di dirigere da 34 anni ogni giorno, e nel minimo dettaglio, l’Hotel Hassler di Roma a Trinità dei Monti, albergo-culto amato da Woody Allen, Melanie Griffith e Antonio Banderas, Bill Gates, Madonna, e sono solo alcuni nomi. «Non ho l’udito ma ho sviluppato una grande, immediata capacità di percezione. Mi sento come un’ aragosta che si orienta e capisce utilizzando le antenne»
Lo scoglio iniziale lo trovò in famiglia, in quel padre tutto d’un pezzo, modello inevitabilmente da seguire, Oscar Wirth: «Non posso dire che mi capisse. Aveva una evidente difficoltà, con me. Quando gli dissi che avrei voluto fare anch’io l’albergatore, provò a scoraggiarmi. Rispose subito: “Mi sembra difficile. Il nostro lavoro è basato sulla comunicazione: capire ed esprimersi in più lingue, comandare…”. Da adolescente studiavo a Milano in una scuola specializzata per sordomuti. Tornavo a Roma, magari prendevo un gelato con la famiglia. Sono sempre stato un comunicatore, cominciavo a raccontare gesticolando, com’ero ormai abituato. E mio padre: “metti le mani sotto il tavolo”». Frutto della tipica educazione formale che ha scarsa dimestichezza con i sentimenti e con le diversità. Eppure il ritratto paterno ora troneggia all’ingresso: «Lui era fatto così, ma era mio padre e volevo imitarlo». Com’era, essere un bambino sordo profondo? «Giocavo molto spesso con me stesso. Ero convinto di parlare. Mi raccontavo storie, molto spesso in solitudine».
Poi cominciarono le scommesse. Il trasferimento negli Stati Uniti, col sostegno di sua madre Carmen Bucher, anche lei erede della stessa dinastia di albergatori che discendeva dal bisnonno di Robert E. Wirth, Franz-Joseph Bucher, nata a New York e quindi più allenata a una società che non sottolinea le diversità: «Provai a studiare in una scuola alberghiera in Italia ma mi scoraggiai, non riuscivo a seguire cosa diceva il professore. Poi ho scelto gli Stati Uniti. Volevo mettere a fuoco la strada da imboccare nella vita. Sono riuscito a entrare alla Cornell University e mi sono laureato in Hotel Management. Lì ho trovato la mia identità. Ho capito che sarei davvero stato un albergatore. Sentivo dentro di me una grande energia: posso farcela, sono forte». E la famosa diversità? «Con i sordomuti mi sentivo normale, “uguale”. Con gli altri percepivo la differenza». E oggi? «Oggi no. Qui in Italia quando scoprono che sono sordomuto mi dicono ancora: “mi dispiace”. Ma mi dispiace di che? A me non dispiace, anzi ormai dico: e chi se ne frega!»
Negli anni americani, la percezione della «differenza» lo ha spinto a un’altra scommessa: insegnare American Sign Language, la lingua dei segni usata negli Stati Uniti, ai gestori di diversi hotel. Poi la direzione di alberghi a Washington, Los Angeles e Honolulu: «Lì ho presieduto la Silent Aloha Association, che radunata sordi e sordomuti». Infine il ritorno in Italia, la decisione di guidare l’hotel di famiglia, di acquistare le quote del fratello e diventarne proprietario unico. Da 34 anni l’Hassler è il suo lavoro, la sua casa, le sue radici e il suo futuro.
Poi, nel 1992, l’istituzione della borsa di studio «Robert Wirth» per giovani sordi meritevoli che intendono specializzarsi nell’ambito della sordità infantile. E dal 2004 la nascita del Centro di assistenza per bambini sordi e sordociechi Onlus (il nuovo nome assunto quest’anno, dopo Roberto Wirth Fund Onlus) diretto dalla dottoressa Stefania Fadda (www.cabss.it). Qui Wirth ha scommesso qualcosa che riguarda il se stesso bambino isolato, mal compreso dal padre: il centro assicura servizi di supporto psicologico ai bambini nati in quella condizione e soprattutto alle loro famiglie, programmi di intervento precoce , progetti in ambito psicopedagogico, indicazione di percorsi abilitativi e riabilitativi. Scopo, come si legge nel progetto: «Raggiungere un positivo sviluppo cognitivo, affettivo-emotivo, sociale, comunicativo e linguistico per un’ottimale qualità della vita». Insomma, il traguardo tagliato da Wirth. Ora i bambini assistiti nel laboratorio multisensoriale in via Nomentana 56 sono sessanta ogni anno, altri cento vengono seguiti nelle scuole dell’infanzia, primaria e media soprattutto nel 173° Circolo didattico: «Finanzio con la mia quota il progetto, poi ci sono altri contributori, i fondi del 5 per mille. Se arriveranno altri contributi, aumenteremo i servizi anche a casa, come vorremmo. Sono orgoglioso, di tutto questo». E «tutto questo» perchè? «Sono stato aiutato. E adesso voglio aiutare. Contribuire a far capire ai genitori che i loro figli possono avere una vita normale. Mi trattavano da malato, e quando gesticolavo c’era chi pensava che fossi uscito da poco da un manicomio». Invece il 31 luglio 2012, tra pochi giorni, riceverà a Las Vegas uno degli 8 premi internazionali di Deafnation che raduna un milione di non udenti nel mondo.
Ma le scommesse no, non sono finite. Roberto Wirth ha un nuovo progetto, per i suoi due gemelli di vent’anni, un ragazzo e una ragazza, la sesta generazione: «Imporre il brand Hassler nel mondo, aprire altri alberghi a Milano, a New York, non so dove altro… Cercherò soci internazionali e credo che ce la farò». Come non credergli, dopo tutta questa vita.
Tratto da Corriere della Sera – Buone Notizie